La Stampa 13 luglio 2008, MARCO SODANO, 13 luglio 2008
Meno profitti se l’azienda passa a figli e nipoti. La Stampa 13 luglio 2008 Spesso i profitti dei padri non ricadono nelle tasche dei figli, come se la capacità di guidare un’impresa non fosse cosa che si eredita
Meno profitti se l’azienda passa a figli e nipoti. La Stampa 13 luglio 2008 Spesso i profitti dei padri non ricadono nelle tasche dei figli, come se la capacità di guidare un’impresa non fosse cosa che si eredita. Ne è convinto, per esempio, il patron di Esselunga Bernardo Caprotti: un paio d’anni fa, passati gli ottanta, dichiarò che nesssuno dei suoi discendenti era in grado di succedergli. Il figlio lasciò Esselunga, e da allora s’è scatenata la corsa all’acquisto della catena di supermercati. Oggi Banca d’Italia conferma la sua teoria: quando viene il momento di lasciare le redini meglio cercare un buon manager - un estraneo, che sarà senz’altro scelto per ragioni di capacità - che affidarsi ai parenti in nome del «figliolo, un giorno tutto questo sarà tuo». Lo studio di Bankitalia nel mondo della piccola e media impresa italiana è arrivato alla conclusione che se un’impresa passa dai genitori ai figli si perdono due punti di redditività. L’istituto di via Nazionale ha verificato le performance d’impresa nei casi di successione familiare nell’arco di un decennio. Non sono state prese in considerazione le grandi dinastie (per quelle è disponibile una casistica ampia) ma le piccole meno conosciute. E la banca centrale le ha fotografate nel momento dell’addio del fondatore. Il risultato non lascia spazio a dubbi: l’effetto successione sulla redditività dell’impresa è negativo, ma lo è molto meno se il successore non è parente del fondatore. Il Roa - return on assets - dopo la successione di padre in figlio cala in media di 2,84 punti percentuali (dal 9,91 al 7,06%) quando il timone resta in casa. Al contrario, se la guida passa a un estraneo l’indice scende solo di 0,87 punti rispetto alle capacità del fondatore. Il campione indagato rappresenta il cuore della produttività italiana: si tratta di circa 3.500 imprese manifatturiere che hanno sede tra Veneto, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo e lavorano nei settori più tradizionali del made in Italy. Dall’abbigliamento, al legno, dalla produzione di mobili alla meccanica ai prodotti in plastica. L’ufficio studi ha accoppiato una serie di interviste ai dati di bilancio del decennio 1993-2003. Sono circa 230 le aziende da cui, nel decennio preso in esame, è uscito il fondatore. Così, è chiaro che un manager estraneo è più bravo a gestire il passaggio e anche più capace di ottenere buoni risultati quando si tratta di ristrutturare aziende in difficoltà. L’effetto negativo del passaggio di mano è confermato anche quando la successione si verifica nel momento di massima redditività, anche se Banca d’Italia ha corretto il dato della sua ricerca tenendo presente che negli anni immediatamente successivi a quelli in cui c’è un picco di ricchezza, di solito si torna indietro. La statistica insegna che a certe condizioni, una variabile tende primo o poi a tornare intorno al proprio valore medio. Statistica o meno, la conclusione degli autori della ricerca non si muove: il deterioramento della performance è confermato, così come risulta più marcato il peggioramento della redditività nei casi in cui la successione avviene in settori caratterizzati da una più intensa competizione. «Tutto questo sarà tuo, figlio mio. Ma procurati un buon ad». MARCO SODANO