La Repubblica 13 luglio 2008, LEONARDO COEN, 13 luglio 2008
Benvenuti ad Astana utopia nella steppa. La Repubblica 13 luglio 2008 Le sette e trenta di uno splendido pomeriggio di luglio, senza il temibile vento della steppa e il caldo asfissiante che abitualmente affliggono Astana, la capitale del Kazakistan, colpevole di un clima infame: meno quaranta gradi d´inverno, più quaranta d´estate
Benvenuti ad Astana utopia nella steppa. La Repubblica 13 luglio 2008 Le sette e trenta di uno splendido pomeriggio di luglio, senza il temibile vento della steppa e il caldo asfissiante che abitualmente affliggono Astana, la capitale del Kazakistan, colpevole di un clima infame: meno quaranta gradi d´inverno, più quaranta d´estate. Che sia un regalo di compleanno per i dieci anni di questa giovanissima e stupefacente capitale? Lo skyline di Astana sembra infatti ricalcare quelle immaginate nei fumetti di Moebius, celebre per avere ispirato le scenografie di Blade Runner: così kitsch ed esagerata da rasentare il sublime. E l´irrealtà. Dieci anni fa qui non c´era altro che un´anonima polverosa città di provincia del Kazakistan centrosettentrionale, massacrata dalla devastante edilizia sovietica, e 280mila abitanti che credevano assai poco al futuro, frastornati da un drammatico presente. Oggi gli abitanti sono almeno 700mila e il futuro è schierato all´orizzonte, tra stravaganti e ambiziose costruzioni avveniristiche, disposte sul territorio comunale secondo il piano urbanistico del giapponese Kisho Kurokawa, scomparso nell´ottobre del 2007 all´età di 73 anni. Astana è il suo capolavoro, dopo il complesso risanamento di Tokyo. Una città concepita non a cerchi d´espansione ma su due assi portanti paralleli, a quadranti successivi. Integrati da una serie di incredibili strutture. Come il Khan Shatyry Entertainment Centre, il Centro di divertimenti Mercato Reale: un fantasmagorico tendone trasparente alto 150 metri partorito dalla fervida fantasia dello studio Foster&Partners di Londra, che sorgerà sulla riva destra del fiume Ishim e coprirà un´area vasta più di dieci campi da football, in grado di accogliere 10mila persone. La copertura in efte, tessuto speciale molto flessibile, garantirà una sofisticata e costante termoregolazione sui 20-25 gradi, rendendo la piccola città racchiusa sotto l´immenso tendone un paradiso artificiale: scuole, ospedale, centri sportivi, sale da concerto, centro commerciale, minigolf, persino una giungla, una spiaggia sabbiosa e un lago artificiale. Le auto saranno bandite, confinate in dieci garage di dodici piani disposti a corona attorno al Khan Shatyry, collegati con ponti pedonali. Il Khan Shatyry aprirà il 16 dicembre, per la festa dell´Indipendenza. Ma è solo uno dei 650 cantieri che in questo momento lavorano a pieno regime in città, 24 ore al giorno, ritmi frenetici da Metropolis di Fritz Lang. Il premuroso ufficio stampa londinese ingaggiato dalla presidenza kazaka fornisce alcune cifre: 1700 gru operative, investimenti per 70 miliardi di dollari, 40mila ettari di foresta già piantata attorno alla città per proteggerla dal famigerato vento della steppa. Una compagnia andalusa di flamenco presenta la Carmen di Bizet nell´auditorium sotterraneo della mirabolante piramide che il presidente (a vita) Nursultan Nazarbayev ha voluto edificare per il Congresso delle religioni del mondo (si tiene ogni tre anni ad Astana). I millecinquecento spettatori accolgono gli artisti con intensa partecipazione emotiva, il che non impedisce ai loro telefonini di squillare imperterriti durante lo spettacolo. Il rumoroso pubblico va in visibilio per l´abilità dei venti ballerini, il flamenco è travolgente, la coreografia minimalista: alla fine il soldato disertore José, geloso della gitana Carmen che flirta col torero Escamillo, pugnala l´eroina che muore tra le sue braccia. L´entusiasmo esplode, il bis è concesso, per qualche minuto danza e passione si mescolano magicamente anche tra gli spettatori kazaki. Fuori, le ombre della sera tardano a calare mentre i raggi del tramonto si riflettono sulle vetrate della piramide che in realtà si chiama Palazzo della Pace e della Concordia ed è alta quanto un edificio di venticinque piani, 62 metri d´altezza e altrettanti di larghezza. Così luccicante, sembra un´icona massonica. Nazarbayev la «pensò» nel 1998, il sogno del presidente fu affidato alle cure di Foster. Il grande architetto dovette lavorare al galoppo, visto la fretta che il presidente aveva: «Voglio che il progetto sia pronto per l´anno Duemila. Sarà consacrata alla pace e alla convivenza tra le religioni». Una necessità, in un Paese che ospita 130 etnie, da quelle russe a quelle mongole, dove musulmani, ortodossi, cattolici, protestanti, ebrei e altre venticinque credenze riescono a non farsi la guerra santa: quando Giovanni Paolo II si recò in visita ad Astana, fu accolto come uno di casa. E nelle chiese dove andava c´erano più musulmani che cattolici. La frammentazione etnica di un Paese vasto quanto l´Europa occidentale ma abitato da appena sedici milioni di abitanti non impedisce il processo di "cementificazione" dell´identità nazionale e della pace religiosa portata caparbiamente avanti da Nazarbayev, a scapito delle libertà, e simbolizzato dalla cementificazione reale di Astana, "vetrina"del Paese: che vuole dimostrare al mondo di essere ricco, importante e potente, al crocevia di una delle aree strategicamente più cruciali del mondo per via delle fonti energetiche e delle materie prime. Nel Kazakistan il petrolio sgorga sempre più copiosamente, le riserve sono enormi, l´economia tira ma un vero sviluppo ancora non c´è, per non parlare della democrazia, molto controllata, per usare un eufemismo. «Costruendo un nuovo Stato, passando dall´economia pianificata a quella di mercato, dal regime totalitario alla democrazia», mi racconta lo stesso presidente Nazarbayev, «avevamo bisogno di nuova gente, di nuovi quadri. E di una nuova capitale. All´inizio l´idea non venne accettata. Fu respinta dal Parlamento. Io capivo perché. Era il 1994: crisi, inflazione galoppante, non si pagavano né stipendi né pensioni. Non mi capivano nemmeno a casa mia. I negozi erano vuoti, mancava l´elettricità, le fabbriche erano ferme e avevamo due milioni di disoccupati: dovevamo trovare un´idea forte, ispiratrice per tutti, per uscire da questo tunnel. Trasferire la capitale era un segnale, una sfida, ma anche il modo di sbarazzarci di quella burocrazia statale che non accettava i cambiamenti necessari per rilanciare l´economia. Oggi Astana è una città di giovani, l´età media è di 32 anni, qui sta nascendo un´élite dirigente del tutto nuova». L´equazione ideologica di Nazarbayev è, a suo modo, semplice e convincente: sedurre gli investitori stranieri, convincerli che puntare su Astana non è una scommessa bensì una certezza. Andare oltre l´economia del petrolio. Stimolare l´immaginazione. Come hanno fatto gli architetti. Propaganda e cultura urbanistica sono sempre andati a braccetto, nei regimi in cui a comandare sono le piccole caste scaturite dalle vecchie nomenklature sovietiche prontamente convertitesi al capitalismo. La piramide della Pace si trova in linea d´aria di fronte al palazzo presidenziale, da cui dista un paio di chilometri: fu completata in diciotto mesi, grazie a duemila muratori e all´esercito che venne impiegato per ultimare i lavori, e inaugurata il primo settembre del 2006. La facciata è in granito chiaro, grigio-argento, incorniciato da una griglia a forma di diamante (altro riferimento massonico) di acciaio tubolare: il tutto poggiato su una sorta di collinetta che la eleva di altri 15 metri, e che rievoca la tipica vegetazione della steppa. Sotto la punta. Lì troneggia la Camera centrale, modellata sul Consiglio di Sicurezza dell´Onu, capace di accogliere duecento delegati. Vi si arriva percorrendo una sorta di scalinata addobbata a giardino pensile, con vetrate celestiali e gialle - i colori nazionali kazaki - disegnate da Brian Clarke, che rivelano immagini in controluce di colombe in volo verso il sole radioso, posto nel cuore della cuspide: l´emblema centrale della bandiera del Kazakistan. L´allegoria è la cifra costante del progetto urbanistico che configura la nuova Astana. In mancanza di miti, importante è crearne di nuovi. Si dice spesso che una città ha una biografia collettiva e che se ne parla come fosse una persona. Ma il passato di Astana è sbiadito, persino il nome è cambiato quattro volte, in appena 178 anni di storia. Nacque come avamposto cosacco, nel 1830: si chiamava Akmolinsk. Il forte, posto sull´antica carovaniera che collegava l´Asia centrale alla Siberia, assunse ben presto una notevole importanza commerciale, soprattutto per il traffico di bestiame. Il nome resiste sino al 1961, quando Krusciov tenta di trasformare la Repubblica sovietica del Kazakistan nel granaio dell´Urss, dopo aver sfruttato le zone desertiche (ma non del tutto) per i test nucleari. La città è ribattezzata Tselinograd e s´ingrigisce nella sovietizzazione. Il crollo dell´Urss e l´indipendenza rimescolano le carte. Nel 1992 terza identità: Akmola, che dura appena sei anni. Nazarbayev, il padre padrone del Kazakistan, vuole trasferirvi la capitale, abbandonando la sismica Almaty, mille chilometri più a sud est, e l´eccessiva vicinanza con la Cina (meno di 50 km). Nazarbayev ha in mente progetti grandiosi per l´umile Akmola. lungimirante. Confida nel boom energetico. Coi petromiliardi vuole trasformare Akmola nella Brasilia centroasiatica per irradiare in tutto il Paese e nel mondo l´immagine del successo economico del Kazakistan (e, quindi, il suo). Ha già pronto il nuovo nome: Astana. Vuol dire «capitale». Ma anche, nel lessico tradizionale dei nomadi kazaki, «luogo dove si decide». Dove le tende mobili - le yurtà della steppa - fanno sosta. Astana, la visione dell´avvenire di un uomo del passato. Eccola, Astana la Capitale, la Grande Yurtà Urbana delle orde diventate metropolitane: dimensioni infinite, piazze vaste, il senso di un monumentalismo di brezneviana memoria. LEONARDO COEN