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 2008  luglio 14 Lunedì calendario

Ci sono date e momenti della vita che spesso la memoria richiama anche se non sempre quel che rivedi e ripensi ha segnato la tua esistenza

Ci sono date e momenti della vita che spesso la memoria richiama anche se non sempre quel che rivedi e ripensi ha segnato la tua esistenza. Il 14 luglio del 1948 è una di queste date. Avevo 24 anni e dirigevo la Cgil in Sicilia. C’era stata, nel 1947, la strage di Portella della Ginestra e in quegli anni tanti dirigenti sindacali erano stati uccisi dalla mafia. Voglio dire che la mia testa e il mio animo erano già allenati ad eventi terribili: nella mia città, nel 1943, avevo anche assistito a un bombardamento violento con tanti morti. Eppure quel 14 luglio (a Palermo è la festa di Santa Rosalia con processioni e giochi pirotecnici) mi torna alla mente non solo per l’attentato a Togliatti, per la reazione popolare che si manifestò con uno sciopero che sembrava, ma non era, insurrezionale, per lo sconvolgimento che produsse nella società e nei nostri pensieri. Quella data mi torna alla mente perché ho presente il salone-mensa della Cgil dove si svolse il Comitato direttivo in cui fu sancita la scissione sindacale. Rivedo la faccia di un Di Vittorio turbatissimo e di un Giulio Pastore tesissimo. E poi tanti volti: i segretari Fernando Santi e Renato Bitossi e gli anziani, il cattolico Rapelli e il socialista Mariani, il torinese Giovanni Parodi l’amico di Gramsci nei giorni dell’occupazione della Fiat, Giovanni Roveda (sarà sindaco di Torino), Teresa Noce, il genovese anarco-sindacalista Antonio Negro e altri. E’ il 1948, ed erano trascorsi solo quattro anni dalla stipula del patto di unità sindacale firmato a Roma il 3 giugno del 1944 dal comunista Giuseppe Di Vittorio, il dc Achille Grandi e il socialista Emilio Canevari. La data del «Patto» è importante perché ci ricorda anche che il 22 aprile di quell’anno 1944 si costituì il primo governo di unità nazionale, presieduto da Badoglio, che vide insieme comunisti, socialisti e democristiani. E il 18 giugno, con la liberazione di Roma, si formò il Governo Bonomi con Togliatti, De Gasperi e Saragat ministri. Il Patto sindacale cioè è un atto di straordinario rilievo da iscrivere, però, nel quadro politico che vede i tre grandi partiti di massa protagonisti della nuova democrazia italiana. Cioè ha un retroterra tutto politico. Certo, il fatto che in quel contesto si diede vita all’unità sindacale sembra delineasse una strategia di lungo periodo non riferibile solo alle ragioni della guerra e del dopoguerra. Si tenga presente che anche sul piano internazionale, durante la guerra, i sindacati inglesi e poi quelli americani strinsero rapporti con le organizzazioni sovietiche e via via si lavorò per superare la Fsi (Federazione sindacale internazionale di area socialdemocratica) e l’Internazionale sindacale a direzione comunista. E a ridosso degli accordi di Yalta, nell’ottobre del 1945, a Parigi nacque la Fsm (Federazione sindacale mondiale) a cui aderì la Cgil, presieduta da Walter Citrin (capo delle Trade Unions) e segretario generale fu eletto il francese Louis Saillant. Ho fatto questa premessa per dire che l’unità sindacale sul piano nazionale e su quello internazionale fu condizionata dai rapporti politici che si stabilirono negli anni della guerra e nel dopoguerra. Infatti, se è vero che in Italia la rottura della Cgil si concretizza nei giorni dello sciopero del luglio del 1948, e anche vero che essa si comincia a manifestare nel momento in cui si allenta e poi si spezza l’unità antifascista. Comunisti e socialisti nel giugno del 1947 non sono più al governo. E l’iniziativa Usa con il Piano Marshall delinea una strategia che via via metterà in crisi la Fsm e la Cgil. E’ anche vero che nel giugno del 1947 a Firenze si svolse il primo Congresso unitario nazionale della Cgil e fu un grande avvenimento (io vi partecipai) nel quale non si manifestano segni di ciò che sarebbe avvenuto solo un anno dopo. Segni che, invece, si manifestarono in una riunione del Comitato direttivo della Cgil nel dicembre del 1947 (vi partecipai) in cui si discusse proprio del piano Marshall. La discussione fu aspra per motivi di sostanza, sia per motivi formali sull’ordine dei lavori. Era ormai chiaro che si andava verso scelte di campo e il Piano Marshall fu un’occasione per tutti. La guerra fredda infatti si fa sempre più fredda. Nel settembre del 1947 i partiti comunisti si riuniscono e fanno nascere il «Cominform», un ufficio di informazioni, dicono, ma è il momento in cui il Pcus detta una linea che prevede l’inasprimento di tutti i rapporti politici: si va verso il patto Atlantico e quello di Varsavia. E’ chiaro che l’unità sindacale, nata nel clima che abbiamo ricordato, non può reggere. I sindacalisti democristiani costituiscono la «Libera Cgil» e poi la Cisl. Successivamente socialdemocratici e repubblicani costituirono la Fil e poi la Uil. E nel gennaio del 1949 nella riunione del Comitato esecutivo della Fsm svoltosi a Roma si concretizza la scissione sul piano internazionale. Passarono molti anni prima che si «normalizzassero» i rapporti tra le tre centrali sindacali e si trovasse un terreno comune su temi essenziali per il mondo del lavoro. E solo dopo la stagione delle lotte sindacali del ”68-’69 si riparla di unità, non più come momento di una iniziativa di cui i partiti sono protagonisti, ma come spinta che viene dal forte movimento dei lavoratori. I metallurgici sono all’avanguardia e danno vita alla Flm unitaria. Ma anche questa stagione si esaurisce e le «ragioni» della divisione prevalgono su quelle dell’unità. La guida di Agostino Novella e poi quelle di Luciano Lama e Bruno Trentin, (Di Vittorio era scomparso nel 1957) sono state decisive per garantire nella Cgil l’unità e progettare un futuro comune al sindacato italiano. Il quale seppe mantenere una sostanziale unità di azione tra Cgil, Cisl e Uil, anche in momenti difficili come quelli in cui il governo di Bettino Craxi mise in atto (1984) il famoso decreto di S. Valentino con il quale si modificava la scala mobile. Lo scontro tra Craxi e Berlinguer fu durissimo, ma Lama, Carniti e Benvenuto nel sindacato seppero contenere la polemica entro i recinti dell’unità. Sessant’anni dopo la scissione, il tema dell’unità si dovrebbe riproporre dato che nelle mutate condizioni sociali e politiche, il sindacato attraversa una crisi di identità, anche se resta, a mio avviso, la forza organizzata più forte e più democratica, soprattutto se guardo la sfera politica. Eppure il tema dell’unità sindacale non è nemmeno sfiorato da Cgil, Cisl e Uil. Quel che appare è una vischiosità di apparati autoreferenziali, l’assenza di un dibattito reale sul futuro del movimento dei lavoratori nella società di oggi. Il sindacato non è più condizionato dai partiti, ha lo spazio per riproporsi come forza essenziale in una battaglia per dare al mondo del lavoro un ruolo ben diverso da quello che oggi ha. E sollecitare il Paese nel suo complesso a fare i conti con la modernità e la socialità così come si configurano in una economia globalizzata. Insomma, cadute le ipoteche dei partiti, perché il sindacato italiano non si unifica? E’ questa la domanda che, a mio avviso, si pone ancora dato che non c’è mai stata una risposta.