Maria Giulia Minetti, La Stampa 16/7/2008, 16 luglio 2008
Del colore viola prediletto da Carla Bruni Sarkozy nelle sue ormai numerosissime apparizioni pubbliche ufficiali va detto, per incominciare, che non è viola-viola, ma piuttosto viola-porpora, o viola-melanzana, o viola-fiordaliso, o viola-prugna
Del colore viola prediletto da Carla Bruni Sarkozy nelle sue ormai numerosissime apparizioni pubbliche ufficiali va detto, per incominciare, che non è viola-viola, ma piuttosto viola-porpora, o viola-melanzana, o viola-fiordaliso, o viola-prugna. E questo non per sfuggire di stretta misura al viola stretto, quello dei paramenti quaresimali e funerari, lugubre per funzione e fama, ma perché quel viola funebre e funesto non «dona», riverbera sull’incarnato un riflesso livido, ben più immediatamente nocivo d’una supposta, futura disgrazia. Lo stupore che accompagna le esibizioni violette della prima dama di Francia, raddoppiato ieri dall’audacia mostrata dalla rediviva Ingrid Betancourt nel presentarsi al marito di lei e presidente in carica con un abito del medesimo colore (ma nel suo caso, santiddio, cosa potrebbe capitarle di peggio di quello che le è già successo quando è stata rapita, e con addosso un normalissimo pantalone kaki?), lo stupore, dicevamo, è tutto maschile, frutto d’ignoranza. Non c’è donna che ignori il ricorrente indulgere dei sarti alle seduzioni del viola («Quest’anno va il viola» è un titolo che torna un anno sì e uno no - e spesso ogni anno - su tutte le riviste di moda), e se poi di donne in viola non ce n’è in giro molte, è solo perché il viola è un colore «impegnativo», che «stanca», e addosso a donne particolarmente imponenti «fa monsignore». Pigolii concitati anche dai giornalisti americani davanti al viola-ciclamino prediletto da Michelle Obama, e inevitabile citazione - del libro della scrittrice afro-americana Alice Walker, «Il colore viola», appunto. Trattandosi di un libro pieno di disgrazie terribili si potrebbe anche pensare a un titolo simbolico, e invece no: il colore violetto in questione è quello di certi fiori di campo, un colore tanto bello, secondo una delle protagoniste, da segnalare il desiderio di Dio di recare gioia alle sue creature. Ma ci sono gli irriducibili, quelli che moda o non moda, Dior o non Dior (a proposito, Carla Bruni veste Dior e Dior quest’anno adopera molto viola, aspettate l’anno prossimo, e magari la vedrete in verde) il viola l’aborrono. Preferenze, buon senso, libera scelta: niente gli interessa, solo la superstizione li condiziona, e la superstizione dei teatranti al viola si oppone compatta. Diceva Eduardo De Filippo: «La superstizione è sinonimo di ignoranza, ma la superstizione non porta male». Il viola sì, invece. Tanto timore per il viola, spiegano gli storici, deriva dall’uso medievale di sospendere gli spettacoli durante la Quaresima, periodo segnato dai paramenti viola di chiese e preti. I teatranti, poveracci, erano costretti a tirare la cinghia per quaranta giorni, infreddoliti, affamati, disoccupati, l’occhio a quei paramenti lugubri, emblema della loro miseria. Migliaia gli aneddoti sulla superstizione della gente di teatro, rari invece quelli che riguardano lo sport, che pure è teatro anch’esso. Tra gli eroi della superstizione calcistica, il presidente del Cagliari, Cellino, che chiese e ottenne il dicembre scorso, nella partita Cagliari-Livorno, il pallone estivo bianco-rosso al posto di quello invernale giallo-viola. «Pure per me il viola porta sfiga», gli scrisse su internet un tifoso solidale, firmandosi con la sola iniziale «P». Ma né Cellino né «P.» ci hanno spiegato che scongiuri attuano quando la loro squadra gioca contro le maglie viola della Fiorentina. Chissà come soffrono! Un consiglio, dunque, a Carla Bruni, Michelle Obama, Ingrid Betancourt e anche a tutte le altre donne che si vestono in viola. Non fatelo se dovete assistere a una partita del Cagliari (probabilità remota), non fatelo a un matrimonio (per non evocare nuances funebri), ma soprattutto non fatelo a teatro. Da spettatrici e, peggio, da attrici. Racconta Franco Zeffirelli che l’unica che osò sfidare la sorte, Eleonora Duse, ne fu fulminata. Quando morì, il 21 aprile del 1924, su un palcoscenico di Pittsburgh, indossava un abito viola. Stampa Articolo