Giuseppe Legato, La Stampa 13/7/2008, 13 luglio 2008
Omar uomo: «Sono marcito in carcere per sette anni ma era giusto che pagassi per il disastro che ho fatto»
Omar uomo: «Sono marcito in carcere per sette anni ma era giusto che pagassi per il disastro che ho fatto». Bambino impaziente: «Conto i giorni che mi separano dalla libertà, dalla vita vera che ho perso fino a oggi per colpa di quella maledetta sera». Bambino cresciuto: «Erika? Non mi interessa. Le nostre strade si sono divise per sempre e non da ora». Ragazzo in crisi: «Se ripenso a quel giorno? Ancora oggi non mi spiego che cosa sia successo. Ancora oggi faccio fatica a capire». Omar che ha rimosso: «Quello però è il passato, ora sono un uomo nuovo». Omar Favaro, 24 anni, da Novi Ligure. Omar di «Erika e Omar» appendice criminale tra le più efferate degli ultimi 30 anni di cronaca. Come Doretta Graneris e Guido Badin, come Rosa Bazzi e Olindo Romano: l’amore come collante per compiere un massacro. Parla dal carcere in cui è detenuto da quando è diventato maggiorenne. Casa circondariale di Quarto, provincia di Asti. Non è più un adolescente nascosto da un giubbotto blu ai flash dei fotografi. E’ un ragazzo di corporatura robusta, barba di qualche giorno, ma curata. Capelli lunghi, castano chiari, occhi verdi. «Eccomi qua. Cercavate me?», chiede al consigliere regionale del Pd Angelo Auddino che ha visitato il carcere. Esce dalla cella che condivide con un coetaneo prossimo alla scarcerazione: 12 metri quadri, un letto a castello, colori accesi – le inferriate alla porta e alle finestre sono tinte di giallo – un fornellino da campeggio per cucinare i pasti, un comodino con un televisore 14 pollici per sentirsi ancora attaccati al mondo esterno dal quale è uscito quella sera del 21 febbraio del 2001 quando - assieme ad Erika - uccise la madre e il fratellino della ragazza con cento coltellate. Mancano un anno e otto mesi. «Poi sarò fuori e mi riprendo la vita». Maglietta gialla e jeans chiari, scarpe da tennis e sguardo fisso. «Ditemi, prego». Allora Omar. Partiamo da qui. Come si trova in carcere? «Mi sono trovato bene fin da subito. Tutti – dal direttore ai secondini – mi hanno trattato come speravo. Non mi hanno fatto mancare nulla. Posso dire di aver goduto di tutti i privilegi possibili di un carcere». Per esempio? «Ospitalità innanzitutto. Cordialità. Mi sono sentito protetto fin dall’ arrivo. Protetto, non viziato». Se lo aspettava? «Direi che lo speravo. Quando sono arrivato qui dal Ferrante Aporti di Torino avevo paura che mi succedesse qualcosa, che gli altri detenuti mi prendessero di mira. So benissimo che la mia storia la conoscono tutti. Sarebbe stato facile diventare un bersaglio. Non è andata cosi». Dice di aver goduto di tutti i privilegi. Eppure Erika è uscita dal carcere più di una volta. Lei invece non hai avuto permessi. Invidioso? «Di Erika non mi importa nulla. E’ da tempo che ho deciso di pensare soltanto a me stesso, al mio percorso. E’ da tempo che non misuro la mia vita in funzione della sua. Qui dentro ho capito che tipo di errore abbia fatto. Lo so, ho combinato una cosa mostruosa. Ma so anche che ho pagato e che adesso voglio uscire per riscattarmi. Ora mi sento una persona nuova, migliore». Deve essere stata una strada difficile. O no? «Questi anni di prigionia, mi riscattano per il futuro, non per il passato. Ma era giusto che pagassi. Chi sbaglia non può farla franca. E’ la prima cosa di cui mi sono reso conto». Si è sentito solo in carcere? «Momenti difficili ce ne sono stati, non posso nasconderlo. Mi hanno aiutato molto i miei genitori». La vengono a trovare spesso? «Non mi hanno abbandonato, non mi hanno lasciato solo mai. E’ guardando loro e tutto l’amore che mi danno che riesco a fare progetti per il futuro. Ho tante idee per la mia seconda vita». Ecco, che cosa vuole diventare Omar da grande? «Per adesso riorganizzo l’archivio della biblioteca del carcere, ma in questi anni ho studiato. Mi sono diplomato in informatica. Quello che mi hanno insegnato mi servirà quando sarà libero». Ha paura di non farcela una volta fuori da qui? «Paura no. Ma ho bisogno di aiuto. Gli stessi giudici che mi hanno giustamente condannato mi devono aiutare a riscattarmi e a trovare lavoro. E’ a loro che mi rivolgo». Si spieghi meglio..... «Voglio che non mi abbandonino. E’ facile, dopo quello che ho combinato, essere bollati a vita come assassini. E io non voglio che vada a finire cosi. Non voglio che la gente mi releghi in un angolo con un solo sguardo. Voglio riprendermi la mia vita senza subire l’ombra di quella che mi sono lasciato alle spalle. Senza essere odiato né compatito». Eppure quel massacro non ha ancora un movente. Ci pensa ancora? «Mi chiedete perché l’ho fatto. E io me l’aspettavo. Questa domanda me l’hanno posta in molti, ma ancora oggi non trovo una risposta. Ci penso, ma non so spiegarmi che cosa sia scattato. Adesso anche i ricordi cominciano a sfuocarsi». Mancano un anno e otto mesi. Dovrà pazientare ancora. «Non c’è problema. Continuerò a contare i giorni che mi separano dalla libertà. Voglio un’altra occasione. Credo di essermela guadagnata. Solo io, da subito, ho detto la verità su quella maledetta sera». Stampa Articolo