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 2008  luglio 13 Domenica calendario

PARIGI

A Place Vendôme gli altri camminano, lui vola. Un ragazzo normale, sneaker, jeans, camicia blu di velluto setoso, ma il passo è leggero, l´andamento elegante, come se si muovesse a cinque centimetri da terra e, dunque, invece di 1,87 fosse alto 1,92. Un gigante. Roberto Bolle non sbuffa, non suda, non soffre il caldo e, davanti a un´insalata creativa, la prima cosa che addenta è la fetta di bacon abbrustolito. «Con gli esercizi che ho da fare, brucio tutto in un secondo», dice. In realtà, mangia poco di più: qualche foglia, una scaglia di parmigiano e, alla fine, di dolce e caffè neanche a parlarne. In barba al risparmio energetico, nella hall del bell´albergo hanno acceso il caminetto e sparano aria gelida dai condizionatori. Manca l´albero di Natale e l´illusione dell´inverno in pieno luglio è perfetta. Bolle non teme neanche il raffreddore, la camicia è generosamente sbottonata sul petto glabro dove l´obiettivo di Bruce Weber, che di corpi maschili se ne intende, ha efficacemente indugiato. «Per me è il migliore», dice Bolle, che è stato anche fotografato da Annie Leibovitz, David Bailey e Deborah Turbeville. «Ha scattato a Miami, Cannes, New York, Berlino. Forse ne faremo un libro». il suo momento, non più solo danza: è ambasciatore dell´Unicef, è stato testimonial di Gap negli Usa, è sulle pagine dei giornali patinati insieme a Claudia Schiffer per una pubblicità di Ferragamo realizzata da Mario Testino, il fotografo preferito da Lady D, e in tv con uno spot in cui "vola" per l´acqua Fiuggi. Ha appena trionfato all´Opéra Garnier, sotto la cupola affrescata da Chagall, come étoile ospite in quella Dame aux camélias audacemente coreografata nel 1978 da John Neumeier su musiche di Chopin. Il mese scorso è stato gladiatore al Colosseo con il suo spettacolo, Bolle & friends (che, dopo Napoli, arriva stasera a Piazza Duomo, Milano, e il 18 luglio a Capri). «Un evento unico, speciale, magico», ricorda. «Ballare all´interno di quelle antiche mura, un monumento che è simbolo dell´Italia nel mondo, è stato un privilegio. C´era un´energia palpabile nell´aria, un´atmosfera che è difficile ritrovare anche nei palcoscenici prestigiosi. Mi ha stregato, rapito. Un´emozione che vale un´intera carriera e rafforza il mio impegno: portare la danza fuori dai teatri, a un pubblico più vasto. Perché in Italia quest´arte, con l´eccezione della sola Fracci, è sempre rimasta elitaria. Bisogna andare avanti, dare ai giovani esempi da seguire, far parlare i media del nostro mondo». Ci riesce benissimo, soprattutto da quando, dopo il trionfo al Metropolitan, è entrato nella tana del lupo cattivo. Afferra al volo: «Allude a Anna Wintour, la direttrice di Vogue America? Anch´io la immaginavo così dopo aver visto al cinema Il diavolo veste Prada. "Stia tranquillo, oggi non morde, lo fa solo qualche volta", mi ha detto il suo assistente personale mentre mi accompagnava da lei. una donna determinata, non ama perdere tempo, sa quel che vuole. Non potrebbe essere diversamente nella sua posizione. Mi ha invitato a una serata al Metropolitan Museum. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione hollywoodiana, un altro mondo, anche per uno come me abituato alle serate importanti. Julia Roberts, Tom Cruise, David Beckham, George Clooney. Al mio tavolo c´erano Rupert Murdoch e Lagerfeld, Valentino e la Schiffer. Quella sera era anche il compleanno di Clooney, siamo finiti in un locale a cantare happy birthday. Non è il mio ambiente, ma è stato divertente. Per me è un gioco, il problema è che loro si prendono tremendamente sul serio. un mondo effimero (ben illustrato nel reportage sul numero di luglio di Vogue America). La cosa migliore è entrare e uscire. Farne parte a tempo pieno deve essere delirante».
Trentatré anni, e ha già contato tutte le stelle. Si è inchinato davanti alla regina Elisabetta («Mica una volta sola, almeno tre, anzi quattro») e Giovanni Paolo II, ha stretto la mano e conversato amichevolmente con Lady Diana. Nulla più da invidiare ai suoi idoli, Nureyev e Mikhail Baryshnikov. «Non me lo aspettavo così questo mondo, non a questi livelli», mormora con gli occhi incollati sull´insalata. «Il mio sogno, ovvio, era quello di ballare ai massimi livelli, però a volte la realtà supera la fantasia. Non avrei mai immaginato, ad esempio, di avere una serata tutta mia al Colosseo, presente la massima carica dello Stato, o di ballare al Giubileo della regina, alle Olimpiadi o a Piazza San Pietro. Eventi straordinari che mi hanno arricchito come uomo e come artista. Pochi hanno queste chance, quindi suppongo di aver avuto anche un pizzico di fortuna».
La favola che l´avrebbe trasformato nel prince charming della danza iniziò nel 1981. Aveva sei anni, e già affrontava giornate lunghe, impegnative, estenuanti. «Mai noiose, però», interrompe. «In realtà non c´è mai stato un aspetto della mia preparazione artistica che abbia odiato. Gli esercizi alla sbarra forse, non certo le prove. Il training quotidiano, anche se poco creativo, non è mai routine. Più che noioso è impegnativo, perché ogni mattina devi confrontarti con te stesso, con un corpo che risponde sempre in maniera diversa, e sottoporti alla disciplina che la professione richiede. Di questo ti rendi conto fin da bambino. Non esegui mai gli esercizi nella stessa maniera, non finisci mai di scoprire la tecnica più idonea al tuo fisico. La parte della formazione, dello studio, della lezione, è sempre impegnativa, allora come oggi. stato duro, ma da bambino, con due lezioni a settimana, poteva ancora assomigliare a un gioco. Poi il trasferimento a Milano, che angoscia. Lasciare la famiglia contro la mia volontà e vivere da solo in città mi terrorizzava. Volevo ballare, mi sosteneva la passione, ma sinceramente dagli undici ai quattordici anni non ero così sicuro di riuscire. Ci furono momenti in cui pensavo: non ce la farò. Il distacco fu drammatico, ne risentivo emotivamente. A livello fisico, invece, il periodo duro iniziò più tardi, verso i sedici-diciassette: oltre alla scuola di ballo, c´era il liceo scientifico, corso serale per studenti lavoratori. A mezzanotte arrivavo a casa sfinito. stato il periodo più difficile di tutta la mia storia. Nel passaggio dalle medie alle superiori, quando non riuscivo neanche più a tornare a casa una volta a settimana, quasi gettai la spugna. Mi feci iscrivere al liceo di Vercelli, pensavo che la mia avventura milanese fosse terminata lì. Ma come rinunciare a tutto dopo aver lavorato tanto? Sarei riuscito a soffocare una passione così forte? Per fortuna c´era l´altro lato della medaglia, le gratificazioni, le speranze, i sogni. Quando entri nella scuola della Scala ti senti un privilegiato, è un mondo dorato per un ballerino, vivi nel ventre del teatro, con la possibilità di avere accesso alle opere, di sbirciare dietro le quinte, di annusare il trionfo. Incominci a capire che quello è un mondo magico. Riuscire ad arrivare dove molti vorrebbero e quasi nessuno riesce dà una spinta incredibile, è la prima consapevolezza di aver raggiunto un traguardo».
A quattordici anni pensava di mollare, a quindici incontrò Nureyev. Lo trasformò nel Tadzio di Morte a Venezia. «Già, il mio incontro con il mito. Da quel momento in poi non ci furono più tentennamenti. C´erano mille leggende intorno a lui, la fuga dalla Russia, gli amori, le frequentazioni, il cinema. Essere scelti, farsi correggere da Nureyev era il massimo per un adolescente che voleva fare il ballerino. Arrivò alla Scala per rimontare il suo Schiaccianoci. Il nostro fu un incontro del tutto casuale. Mi ero fermato fuori orario in sala prove, lui entrò per fare i suoi allenamenti – a cinquant´anni non tralasciava una lezione. Quando lo vidi, intimidito, feci per andar via. Mi disse di restare, di continuare gli esercizi. Ero agitatissimo, mi sentivo al di fuori della realtà tanto ero emozionato».
Non c´è niente nel suo racconto che faccia pensare a un´adolescenza ordinaria, tantomeno scanzonata. Niente che lasci immaginare lunghi, noiosi pomeriggi cercando di mandare a memoria Pascoli o Carducci. Mai un riferimento alle vacanze estive, alle settimane bianche, ai flirt coltivati con lunghe lettere o telefonate chilometriche. «Mi mancava la routine degli altri ragazzi, un po´ più di tempo per me, per una vacanza», ammette. «Nelle ore di pausa tra un esercizio e l´altro dovevo preparare le interrogazioni per la sera. Il rilassamento può costare caro a un ballerino; se si ferma due giorni, ha bisogno di altri due per recuperare, allora meglio evitare. Non puoi mai staccare, neanche quando vorresti. Se tutto è filato liscio, lo devo ai miei. Mi mandarono loro da Trino Vercellese a Milano. Mi diedero la possibilità di accedere a questo mondo senza traumi. Sono stati aperti, di questo non finirò mai di ringraziarli. Oggi i ragazzi hanno altre ambizioni, pretendono di entrare nel mondo dello spettacolo senza nessuna preparazione, un´illusione alimentata dalla tv spazzatura. Lei vede mai un´opera o un balletto in prima serata? Quanto spazio dedica la televisione pubblica alla lirica, alla musica sinfonica o alla danza? E allora come può un ragazzo sentirsi stimolato a intraprendere una carriera tanto impegnativa, quando scopre che potrebbe diventare una celebrità anche senza saper far nulla? Il varietà va benissimo, l´arte è un´altra cosa».
Per ogni ballerino che diventa famoso come Bolle, ci saranno sempre centomila cantanti pop che vendono milioni di dischi e riempiono stadi con uno sforzo minimo. una lotta impari. A questo punto quella del ballerino più che una passione è una vocazione. «I sacrifici sono tanti. Disciplina, volontà, dedizione: non riusciresti a reggere la pressione e le difficoltà senza una motivazione forte». Ovvio, allora, che ci sia una crisi delle vocazioni. «Qualcosa sta cambiando, anche in Italia», puntualizza. «C´è un grande interesse dei giovani verso la danza. Molti più iscritti nelle scuole, anche se le prospettive occupazionali sono tutt´altro che rosee». Che succede a un certo punto, si va in pensione? «Le donne a 49 e gli uomini a 52 anni, un´età molto alta. Qui in Francia si va a 42, un limite ragionevole. Musicisti, cantanti e attori possono continuare a vita, noi no, abbiamo dei limiti fisici. doloroso, difficile da accettare, perché a vent´anni non hai quella maturità scenica e artistica che si conquista solo più tardi, quando si avvicina l´ora dell´addio alle scene. Paura? No, sono consapevole, come del resto gli atleti, che l´età può essere un limite. L´importante è vivere intensamente, giorno per giorno, le emozioni che la carriera ti offre, senza mai tralasciare nulla. Aggrapparsi ai momenti meravigliosi. Un giorno, forse, potrei fare l´attore. Magari diventare direttore di una compagnia come quella della Scala. Oppure sparire».