Giorgio Dell’Arti, Epoca più o meno il 1993, 12 luglio 2008
di Giorgio Dell’Arti Milano. La Sandra Mondaini, così brava, così spigliata, e si scopre che ha solo la quinta elementare! Ma come ha fatto? Come fa? Per esempio, come fa a non dire qualche sfondone quando la intervistano sui giornali o in tv? E a sembrare sempre così appropriata, a modo, insomma - come dire? - almeno "diplomata"? E pensare che noi passiamo la vita a raccomandare ai nostri figli: studia, leggi! A proposito: avrà almeno letto dei libri nella vita, la Mondaini? O no? ’Mica tanti
di Giorgio Dell’Arti Milano. La Sandra Mondaini, così brava, così spigliata, e si scopre che ha solo la quinta elementare! Ma come ha fatto? Come fa? Per esempio, come fa a non dire qualche sfondone quando la intervistano sui giornali o in tv? E a sembrare sempre così appropriata, a modo, insomma - come dire? - almeno "diplomata"? E pensare che noi passiamo la vita a raccomandare ai nostri figli: studia, leggi! A proposito: avrà almeno letto dei libri nella vita, la Mondaini? O no? ’Mica tanti. Vediamo: ho letto "Senza famiglia" - l’autore come si chiama? - poi Berto, "Il male oscuro", per via della depressione, lo sa che io soffro, ho sofferto di depressione. Poi certi romanzi della Morante, non mi ricordo i titoli, mi aiuti lei...” "La storia". ’Sì, "La storia" non m’è piaciuto, mi pare che ci sono un sacco di trucchi per avere successo, no, quell’altro...” "L’isola di Arturo". ’No, neanche” "Menzogna e sortilegio". ’Ecco, bellissimo. Poi l’intervista a Falcone, però l’ho lasciata lì, si soffre troppo, se leggere vuol dire soffrire tanto, eh no, allora meglio di no”. E basta? ’Secondo me, basta. Non mi ricordo altro”. I copioni di teatro non li leggeva? ’Guardi con i copioni di teatro facevo così. Intanto c’è una settimana di prove al tavolo, in cui si leggeva tutti insieme. In quella settimana, più o meno, imparavo la parte. Poi incidevo la parte sul registratore e stavo ad ascoltare, mentre guidavo la macchina, mentre prendevo il sole, e così la imparavo. In televisione per fortuna c’è il gobbo. C’è questo fatto, che io leggo una pagina, arrivo alla fine e non ho capito niente. Questo è il problema”. Neanche pagine facili facili? Lei faceva il teatro di rivista, non dovevano essere copioni così complicati. ’E la testa mi si svuota, che cosa le devo dire, vuoto, vuoto assoluto. Uno domanda: ma mentre leggi a che pensi, che cos’è che ti distrae, passano le mosche, ti distrai guardando le mosche o guardando fuori della finestra? E io rispondo - nessuno mi crede - non penso a niente, le mosche non c’entrano niente, vado avanti a leggere fino alla fine della pagina e ho la testa completamente vuota. Dentro la mia testa, in quei momenti lì, non c’è niente. Arrivo in fondo alla pagina e non ho capito niente”. Questa sua famiglia, che non l’ha fatta andare oltre la quinta elementare, sarà stata una famiglia povera, che magari non aveva i mezzi. ’Neanche questo. Papà era un intellettuale, un pittore. Intellettuale non col titolo di studio, s’era fatto da solo. Però un uomo di cultura, importante. Beh, gli fanno ancora le mostre, Giaci Mondaini. Giaci, cioè Giacinto. Eccolo qua, lo guardi” Appare la foto del padre, un bel signore con una gran barba e il cappello di paglia. ’Papà bazzicava le Tre Marie in corso Vittorio Emanuele, c’era Marco Ramperti, c’era Boccasile. Passa una bella ragazza bruna, nipote di una ricca argentina, questa ragazza abitava con la zia all’Hotel de la Ville, siccome passava tutti i giorni, mio padre e i suoi amici si mettono a chiamarla: "La bambola! Ecco la bambola di corso Vittorio Emanuele"”. Sua madre. ’Mia madre, Josephina Lombardini, argentina figlia di emigrati italiani. Fanno a mio padre: "Dài, che non hai il coraggio di fermarla". Mio padre subito, detto fatto, si alza dal tavolino del bar e le va vicino. Attaccano a parlare fitto, lui la accompagna dal dentista. Dopo un mese si sposano. Dopo un anno nasco io”. Famiglia ricca? ’Sei mesi all’anno, cioè quelli in cui papà lavorava. In quei sei mesi avevamo la macchina, andavamo a sciare, giravamo in barca. Poi arrivava l’inverno e ci tagliavano la luce, il telefono, eccetera. Non è giusto dire che eravamo poveri. Per il fatto che non ho studiato, io ho tante attenuanti, però di queste attenuanti non ne voglio neanche una. E’ più onesto dire: non ho studiato e non ho attenuanti”. Racconti della scuola. ’Abitavamo in via Pacini, qui a Milano. Mi mandarono a scuola alla "Leonardo Da Vinci". Era il 1937. Mamma mi teneva per mano e prendevamo il 4, tre fermate ed eravamo a scuola. Entravo in classe e per quattro-cinque ore non capivo niente”. Perché? ’E perché, perché. Avevo sonno, qualche volta la sera papà mi portava al cinema e la mattina avevo sonno. Sarà stato anche questo. Avevo la testa vuota. Ero distratta. Passavano le ore, la maestra parlava e io niente. Arabo. Tornavo a casa, mi mettevo in cucina, o in salotto, con i libri e i quaderni e, niente. Il pomeriggio andava via così. Io imbambolata con la testa vuota, con i libri davanti, inutili”. I suoi non l’aiutavano? ’Papà stava fuori fino a notte alta. Mamma era argentina, come faceva ad aiutarmi. Guardi qua le pagelle” Sulle pagelle la Sandra ha "sufficiente" in tutte le materie (che alle elementari è come dire zero) e un "lodevole" in Disciplina e in Igiene. ’Ero pulita. La maestra, una signora molto distinta, molto elegante, ma tetra, non scendeva nemmeno in cortile a fare la ricreazione con noi, mandava a chiamare papà. "Questa bambina è intelligente, ma, purtroppo, non capisce niente". Si chiamava Luigia Zecchini. Non posso dire, era una brava maestra. Era contenta di chiamare papà e parlarci, perchè papà era a quell’epoca un uomo famoso, un intellettuale. La maestra mi promosse di anno in anno, fino alla quinta, secondo me solo per poter convocare mio padre e parlarci. Questo la riempiva di soddisfazione. Magari si sarà anche chiesta: ma come mai questa qui, figlia di un intellettuale, non capisce niente?” Come mai? ’Chi sa. Mi lasciavano molto libera”. Questo era un male? ’Sì, un male”. Come un male? Non si devono lasciare i bambini liberi? ’Le altre famiglie opprimevano i bambini. Li tenevano chiusi in casa, li obbligavano. A me pareva che questo fosse amore. Li amavano e perciò li costringevano. Adesso non c’entra niente, ma a un certo punto dopo la guerra mamma e papà si separarono e a causa di questo una quantità di persone mi chiusero la porta in faccia. Ero figlia di separati! Io andavo dai genitori delle mie amiche, dicevo: "Sa, io sono figlia di separati. Sa, io ho tanto bisogno di essere amata"”. In casa non facevano tragedie perchè andava male a scuola? ’Papà ci teneva che studiassi, ma era anche molto pratico. Diceva: se la bambina non capisce, non capisce. Avevo imparato a scrivere e mi sforzai di copiare la calligrafia di papà, che era così bella. A quello ci sono riuscita. In quinta poi non mi ammisero agli esami”. Bocciata. Ripetè? ’Sì. C’era la guerra, eravamo sfollati sul lago di Como, a Faggeto Lario. Stavano insieme in una sola aula i bambini di tutte le classi, dalla prima alla quinta, maschi e femmine. Figurarsi. Il maestro era un uomo piccolino, con i riccioli. In quella confusione presi la licenza di quinta elementare. Ma all’esame per essere ammessa alla prima delle superiori - non lo so se si chiamava già scuola media - mi respinsero. E fine della scuola”. Le dispiace? ’Guardi, le dico questo: avrei potuto essere un grande avvocato, un grande detective. Io sto sempre a ragionare che se succede qualcosa, una ragione c’è. Ho fatto mille ragionamenti sul male che hanno fatto a Enzo Tortora. Però le dico pure questo: se avessi studiato, sarei risultata una donna noiosa, petulante, presuntuosa, saccente. Sarebbe uscito fuori il peggio di me”. Non ha avuto complessi nella vita? Per esempio, gli altri andavano avanti a studiare e lei no. ’No, nessuno faceva caso a questo. Eravamo tutti ignoranti, ignorantissimi. Un sacco di mie amiche non erano andate oltre la quinta”. E quando ha cominciato a fare teatro? I colleghi, gli autori, i registi... Lei teneva nascosta questa faccenda, vero? ’Se me lo chiedevano, lo dicevo. Mi seccava che i miei amici facessero delle gaffes, dandomi titoli che non mi spettavano. Tre anni fa m’è pure venuto in mente che nella cosa poteva pure esserci qualche elemento di cui andare orgogliosa. Così non ho più esitato ad ammetterlo. Però non sono stata io a voler fare teatro, è stato mio padre a spingermi. Io ero carina, lui mi aveva adoperato tante volte come modella, a otto mesi avevo posato per il francobollo della campagna anti-tbc, poi a 14 anni avevo fatto la modella per Borsalino, la donna-volpe di Renard, la pubblicità per Luxardo. Questo mi dava una certa sicurezza sul fatto che ero carina. Ma ero molto silenziosa, chiusa, piena di paure. Marcello Marchesi disse a mio padre che metteva su una commedia con Tino Scotti dove c’erano tre sorelle. Disse: "Perchè non mi mandi la Sandrina?" Lui rispose subito di sì. Io non volevo a nessun costo, pensavo: meglio due sberle che il teatro. Andai all’Olympia per il provino, le altre due sorelle erano Franca Rame e Anna Maria Annicelli. Non volevo, non volevo. Eravamo poveri, avevo un buco sotto una scarpa, ero piena di paura. Avevo diciotto anni. Ci fecero il provino e diedero a me la parte della sorella che aveva più battute, quella più lunga. Io inseguii Marchesi, lo scongiurai di dare quel ruolo a una delle altre due”. Senta, si sarà trovata in società con gente che faceva discorsi, discussioni.. ’Ah, mi viene da ridere. Ero amica di professoroni, Leone Piccioni, Carpitella. Questi parlavano, citavano frasi in greco. Io gli dissi: guardate che ho la quinta elementare. Altre volte, se la conversazione si faceva difficile, tossivo, dicevo d’aver sete, andavo in cucina a prendere un bicchier d’acqua sperando che si dimenticassero. Ma tante volte l’ho detto francamente: ehi, io ho la quinta, non la fate tanto lunga”. Come fa a sembrare una che ha fatto almeno il liceo? ’Ho sempre frequentato gente che parlava bene. Sono stata ad ascoltare”. Il suo Sbirulino ha a che fare con tutto questo? ’Sì. Sbirulino è il bambino appena venuto al mondo e che non può andare avanti altrimenti comincia a capire”. Che cosa pensava di fare, da ragazza, con la sua quinta elementare? ’Io volevo sposarmi e avere figli. Io avevo, io ho così bisogno degli altri”. Suo padre era antifascista. ’Sì”. Lei invece ha una fama diversa. ’Io sono stata fascista. Mi commoveva l’alzabandiera, il fatto di difendere la patria. Ma la politica la detesto, ho sempre sentito la politica come qualcosa che ti consente di tenere il piede in due scarpe. Sarò stata fascista, ma Berlinguer mi piaceva”. Che farà con questo piccolo filippino che ha affiliato. Deve studiare o no? Studiare è importante o no? ’Come si fa a non studiare oggi? Oggi, se non studi, sei tagliato fuori. Giammarco deve studiare per forza, noi gli daremo il nostro cognome. "Mondaini" se sarà medico o avvocato, "Vianello" se farà il calciatore”. Sente di aver perso qualcosa? ’Per il fatto di non aver studiato? No, per quello no. Quello che ho perso per quello, oggi non mi sarebbe servito a niente. Ho guadagnato cose che mi servono di più. E’ come con i cani di razza e i cani bastardi. I cani di razza stanno lì mogi mogi, tanto hanno la razza. I bastardi, invece, sempre con le orecchie dritte, sempre attenti”. Dalla televisione si impara qualcosa? ’La tv aumenta solo la confusione”. Ha imparato qualcosa dal cinema, dal teatro? ’Ho imparato molto da Macario, che era umile e sapeva quello che poteva e quello che non poteva fare. I giovani comici di adesso mi dànno fastidio, non hanno disciplina. E dire che i secchioni li ho sempre detestati”. Da che cosa ha imparato, allora, quello che sa? ’Mah. Dalla vita forse, no? Vivendo si impara tanto. Io sono molto colta, di vita”. Giorgio Dell’Arti