Il Sole 24 Ore 8 luglio 2008, Antonio Dini, 8 luglio 2008
Boom del turismo medicale. Il Sole 24 Ore 8 luglio 2008 Sembrano resort a cinque stelle e alberghi di lusso
Boom del turismo medicale. Il Sole 24 Ore 8 luglio 2008 Sembrano resort a cinque stelle e alberghi di lusso. E in un certo senso lo sono: alcuni dei più grandi e nuovi complessi ospedalieri realizzati in Thailandia, in India, in Malaysia, a Singapore e negli Emirati arabi sono il frutto più appariscente del cambiamento radicale in atto nel settore medicale a livello planetario. In Thailandia, ad esempio, il Bumrungrad International, il più grande ospedale privato del Sud-Est asiatico, offre trattamenti di eccellenza di chirurgia toracica e generale con personale addestrato e certificato in Europa, Giappone e negli Stati Uniti, a un terzo o un quinto del costo che si pagherebbe negli Usa, in una struttura immersa nel verde e curata nei più piccoli dettagli anche estetici. Singapore, che ha 7 ospedali pubblici di medicina generale, 11 specializzati e 12 cliniche private frutto nella metà dei casi di accordi con grandi gruppi ospedalieri americani come il John Hopkins Group, non è da meno e può vantare nel complesso personale che parla 22 lingue diverse, educato e gentile «nella miglior tradizione asiatica». Li unisce infatti, oltre all’eccellenza del personale medico e delle attrezzature tecnologiche, anche l’attenzione per i pazienti: accanto agli ospedali è sorta un’intera filiera di aziende e strutture per l’accoglienza, che a differenza di quanto accade di solito in Occidente si prende cura, oltre che del corpo, anche dello spirito. Il viaggio dei pazienti occidentali comincia nei grandi e moderni aeroporti internazionali asiatici, che nel corso dell’ultimo anno hanno accolto in Thailandia 680mila pazienti, 460mila a Singapore e più di un milione a Chennai, la capitale indiana dell’industria ospedaliera. Si passa poi al comparto alberghiero e turistico, che offre strutture a quattro o cinque stelle per i parenti e gli accompagnatori dei malati: nei pacchetti degli ospedali è compreso nel prezzo, oltre al viaggio, anche l’ospitalità per i giorni immediatamente precedenti e successivi all’operazione. Per la degenza c’è poi un’intera industria del benessere, che in molti paesi asiatici è parte integrante della cura. Resort per trattamenti non solo cosmetici con medicina tradizionale: massaggio ayurvedico, agopuntura, riflessologia plantare, Thai chi chuan, Quigong, moxibustione e decine di altre pratiche. Singapore e India, in particolare, sfruttano la sinergia con le locali industrie farmacologiche e hi-tech per la produzione di medicine, apparecchiature ospedaliere d’avanguardia, sistemi avanzati di trattamento dei dati medicali. Senza contare l’opportunità che viene colta anche dai big della farmaceutica e della tecnologia occidentali. La maggior parte degli ospedali si sottopone poi a uno dei vari schemi di certificazione internazionale presso le diverse associazioni indipendenti (negli Usa la Joint Commission International e in Gran Bretagna il Trent Accreditation Scheme) e i pazienti, tramite Internet, possono trovare rapidamente la clinica specializzata più adatta, con costi più bassi che non in Occidente, trattamento migliore, attese infinitamente più brevi. A San Francisco il prossimo 9 settembre si riunirà per la prima volta la Medical Tourism Association, con un migliaio di delegati provenienti da tutto il mondo. In agenda, per l’associazione non-profit, c’è un punto sopra gli altri: come trasformare il turismo medicale in un sistema di outsourcing per i servizi sanitari e assicurativi dei Paesi sviluppati. Il business del turismo medicale è infatti molto di più che non la singola prestazione chirurgica, anche se quello è il motore che lo fa muovere. « una delle grandi opportunità per l’Asia oltre che per l’America latina – dice Oded Shenkar, docente di management alla Ohio State University, che da trent’anni studia il tessuto delle aziende in Cina ed Estremo Oriente – anche se ce ne rendiamo conto solo adesso: è la salute che si è trasformata in un prodotto e come tale segue le regole della globalizzazione». «La spinta maggiore – aggiunge Josef Woodman, autore di "Patients Beyond Borders", la Lonely Planet del turismo medicale – viene dal fatto che milioni di baby boomers stanno invecchiando negli Usa e in Europa, e cercano alternative economiche ai costosi trattamenti medici in patria. E li cercano anche le loro assicurazioni». Simmetricamente alla Cina, dove il 39% della popolazione rurale e il 36% di quella urbana non può permettersi cure mediche professionali, negli Usa infatti 43 milioni di persone sono prive di assicurazione medica e 120 milioni di copertura per le cure dentali. Le prime assicurazioni statunitensi stanno per questo testando programmi pilota per offrire copertura assicurativa a prezzi più bassi facendo leva sull’outsourcing delle prestazioni in Asia o America latina. Nel caso la soglia dei costi per le procedure mediche si abbassasse in maniera significativa, secondo un recente studio di McKinsey, il flusso di pazienti ospedalizzati potrebbe crescere dagli attuali 60-85mila a un massimo di 8 milioni, con un risparmio netto di 51 miliardi di dollari. La spinta non è solo economica, anche se l’idea di rimpiazzare una valvola cardiaca spendendo 10mila dollari (il prezzo dell’Apollo Hospital in India) anziché 200mila negli Usa o in Europa è tentatrice. C’è anche una questione di eccellenza e soprattutto di tempo: le liste di attesa dei grandi centri europei e americani possono durare anni, invece gli ospedali asiatici curano tutto in poche settimane. Accanto, però, ci sono le aree grigie del turismo medicale per operazioni di chirurgia estetica senza certificazioni e soprattutto quella del trapianto di organi alcune volte su base illegale. Il mercato mondiale delle prestazioni mediche è enorme: vale il 9% del Pil planetario, più di mille miliardi di dollari solo negli Usa. Secondo la Sanità indiana, il business del turismo medicale solo in quel Paese potrebbe valere da qui al 2012 un miliardo circa, mentre l’irlandese Research and Markets stima che il mercato globale possa arrivare per il 2010 a contare 780 milioni di pazienti che migrano dai Paesi ricchi agli emergenti (o da quelli più poveri verso le eccellenze) per trovare cure spendendo nel complesso 40 miliardi di dollari. La crescita, che il National Center for Policy Analysis statunitense indica al 15-20%, poggia su cifre stimate intorno ai 60 miliardi di dollari includendo tutta la filiera, compresi i trasporti. E secondo uno studio del gruppo australiano Macquerie, l’opportunità nella sola Asia è di arrivare a 3 miliardi nel 2012. Anche al netto dei turisti operati in emergenza e dei figli della diaspora che rientrano nella madrepatria per farsi curare, la quota di turisti medicali cresce comunque, seguita dalla joint-venture tra gruppi ospedalieri occidentali e asiatici o latino-americani (Messico, Brasile e Costa Rica) e dall’interesse crescente delle assicurazioni. I sistemi di certificazione stanno maturando e adesso manca solo la certezza legale del rispetto delle responsabilità in caso di incidenti per far viaggiare a pieno regime questo mercato. Antonio Dini