La Stampa 7 luglio 2008, Giuseppe Salvaggiulo, 7 luglio 2008
La guerra della sabbia. La Stampa 7 luglio 2008 Se paghiamo la Germania per liberarci dei nostri rifiuti, perché non pagare l’Albania per prenderci la sua sabbia? Certo che si può, e presto lo faremo, perché Lecce ha bisogno di sabbia per il suo litorale disastrato, Brindisi non gliela vuol dare e da sette anni non si trova una soluzione
La guerra della sabbia. La Stampa 7 luglio 2008 Se paghiamo la Germania per liberarci dei nostri rifiuti, perché non pagare l’Albania per prenderci la sua sabbia? Certo che si può, e presto lo faremo, perché Lecce ha bisogno di sabbia per il suo litorale disastrato, Brindisi non gliela vuol dare e da sette anni non si trova una soluzione. La guerra della sabbia - tra isterismi politici, rigurgiti campanilistici e schizofrenie giurisprudenziali - ha già fatto troppi danni. E altri ne farà, se non si trova una soluzione nei prossimi sei mesi. La spiaggia da salvare è quella di San Cataldo, a otto chilometri da Lecce sull’Adriatico: graziose villette e una decina di stabilimenti balneari in un paio di chilometri. Negli anni, la spiaggia è arretrata di decine di metri, inghiottita dal mare. Erosione costiera, si chiama il fenomeno idrogeologico. A causarlo l’innalzamento del livello del mare e la secca dei fiumi che trasportano detriti, con il generoso contributo umano sotto forma di costruzioni abusive, rimozione della flora e abbattimento delle dune di sabbia, due argini naturali. Risultato: nel 2001, della spiaggia di San Cataldo resta ben poco. Una sottile lingua di terra per un paio di file di ombrelloni. E in alcuni punti nemmeno quella: le mareggiate si infrangono direttamente sul ciglio della strada. I bagnanti si dileguano, gli operatori sono in crisi. Il Comune di Lecce presenta un piano di salvataggio. Si tratta di fare un trapianto di sabbia che i tecnici chiamano «ripascimento». Buona idea, la Regione la finanzia con 5 milioni di euro presi dai fondi europei. Resta solo da decidere dove prendere la sabbia da «trapiantare» a San Cataldo. Da Punta Penne, la spiaggia di Brindisi: sui fondali al largo - spiegano gli esperti - c’è un giacimento di sabbia disponibile. Lecce e Brindisi distano appena quaranta chilometri, la sabbia è compatibile e il lieto fine pare garantito. Fatto l’appalto, la ditta vincitrice avvia i lavori. E tutto fila liscio, finché la notizia non giunge all’orecchio dei brindisini. I quali, di regalare ai cugini leccesi 200 mila metri cubi di sabbia (diecimila grandi camion), non ci pensano proprio. Le associazioni ambientaliste organizzano una catena umana sul bagnasciuga. Un chilometrico girotondo a difesa della sabbia, con diecimila firme raccolte, diretta radio e riprese tv da un aereo per immortalare il grande evento. In città si organizzano presidi e manifestazioni e compaiono ovunque striscioni di protesta. Uno anche allo stadio, in curva: «La sabbia non si tocca». La mobilitazione è trasversale e la difesa della sabbia diventa un simbolo. «La resistenza all’ennesimo sopruso - spiega Giorgio Sciarra, responsabile di Italia Nostra -: è vero che a San Cataldo c’è un problema, ma è lo stesso che hanno le nostre coste. Che senso ha danneggiare quelle brindisine per salvare quelle leccesi?». In effetti, risalendo la costa a Nord di Brindisi, il panorama non è meno desolante che a San Cataldo: baraccopoli abusive, sbancamenti selvaggi delle dune di sabbia, spiagge malridotte. Anche qui gli stabilimenti si difendono dal mare come possono, alzando precarie massicciate. Dietro la guerra della sabbia riemergono atavici campanilismi. Lecce e Brindisi, in apparente sintonia nel sogno di un «Grande Salento», si riscoprono irrimediabilmente diverse. Quanto Lecce si specchia nel suo splendore barocco, tanto Brindisi si strugge nel suo destino di città colonizzata, prima dalla grande industria, poi dalla criminalità organizzata. Se nella Prima Repubblica Brindisi esprimeva i leader politici e «comandava» sui cugini, ora la situazione è invertita. Brindisi arriva a reclamare la restituzione della colonna di Sant’Oronzo, donata a Lecce 4 secoli fa. E Lecce rivendica le facoltà universitarie distaccate a Brindisi qualche anno prima. La disputa trova nei Palazzi due agguerriti interpreti. A Michele Errico, presidente della Provincia di Brindisi e ambientalista del Pd, si contrappone Adriana Poli Bortone, ex ministro di An che inizia la guerra da sindaco di Lecce e, non più ricandidabile, oggi la prosegue come vicesindaco con ampi poteri. I due si scambiano parole di fuoco. Errico paventa «danni irreversibili» e la Poli Bortone replica: «Non sa leggere le carte e ha forti pregiudizi». In mezzo la Regione, che prima dà il via libera a Lecce, poi ci ripensa di fronte alle barricate di Brindisi e alla fine scontenta un po’ tutti. Per fare chiarezza basterebbe approvare il piano regionale delle coste (obbligatorio per legge), ma dopo due anni la giunta Vendola è ancora inadempiente. Il pasticcio non può che approdare in tribunale. La Procura di Brindisi apre un’inchiesta penale, mentre tutti gli attori presentano ricorsi al giudice amministrativo. E nemmeno il Tar si sottrae alla commedia: nel giro di un anno, prima dà due volte ragione a Lecce, suscitando l’esultanza della Poli Bortone («Avanti tutta, questo è un punto fermo»). Poi, a sorpresa, ribalta il risultato accogliendo il ricorso di Brindisi e azzerando tutto: la sabbia non si tocca perché «l’intervento produrrebbe danni pari, se non superiori, agli eventuali benefici». A questo punto, e sono passati sette anni dall’inizio della storia, è Errico a festeggiare «una vittoria di civiltà contro i prepotenti». Atto finale? Macché. Mentre gli avvocati affilano le carte per il secondo round al Consiglio di Stato, la Poli Bortone ha in serbo l’ultimo colpo di scena. «Brindisi non ci vuol dare la sabbia? Ci spiace, ma la prenderemo dall’Albania». Grazie ai buoni rapporti con il presidente albanese Sali Berisha, avvia la pratica ufficiale. Benvenuti, rispondono gli albanesi, che in passato hanno già contribuito a rianimare la spiaggia greca di Corfù. La sabbia albanese è a disposizione. Un esperto del Comune di Lecce parte per le prime analisi: Durazzo non va bene, Valona è perfetta. Ora la Poli Bortone attende la risposta definitiva. Bisogna fare presto: a fine anno scade il termine per usare i 5 milioni di finanziamento. Poi si perderà tutto: soldi, spiaggia, faccia. Giuseppe Salvaggiulo