Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  luglio 06 Domenica calendario

Telecom a caccia di frequenze. Corriere della Sera 6 luglio 2008 Attorno a Telecom Italia si sta costruendo un inaspettato consenso: il governo stanzia 800 milioni per le reti di nuova generazione; Fastweb firma accordi di collaborazione; l’Autorità delle Comunicazioni benedice; l’Antitrust non eccepisce; i soci eccellenti perdono la metà del capitale investito e nemmeno la scontano in bilancio

Telecom a caccia di frequenze. Corriere della Sera 6 luglio 2008 Attorno a Telecom Italia si sta costruendo un inaspettato consenso: il governo stanzia 800 milioni per le reti di nuova generazione; Fastweb firma accordi di collaborazione; l’Autorità delle Comunicazioni benedice; l’Antitrust non eccepisce; i soci eccellenti perdono la metà del capitale investito e nemmeno la scontano in bilancio. Non mancano buone ragioni per spiegare questa straordinaria convergenza: la nuova infrastruttura a banda ultralarga è una necessità del Paese; gli operatori, indeboliti dal calo dei margini, hanno interesse a unire le forze o, se si vuole, le debolezze; Franco Bernabé è un allievo di Franco Reviglio come Giulio Tremonti, e ha il senso delle istituzioni; le Authorities riscoprono la politica industriale; i soci eccellenti, se vendessero a Telefonica, potrebbero forse recuperare. E tuttavia, poiché siamo nel Paese di Giulio Andreotti dove a pensar male si fa peccato ma si indovina, alle buone ragioni si può aggiungere un pensiero della notte. L’investimento nelle reti di nuova generazione è molto oneroso: 15-20 miliardi di euro. E l’aiuto pubblico, diluito in 5 anni, non pare risolutivo. Se riducesse gli impacci amministrativi e procedurali, il governo darebbe un ulteriore contributo. Ma poi ci vuole altro. E così dietro lo Stato potrebbe profilarsi Mediaset. I tecnologi dicono che si può risparmiare sull’ultimo miglio, ovvero sui collegamenti alle case che assorbono l’80% dell’investimento. La fibra ottica a domicilio conviene se serve grandi clienti. Diversamente, meglio portarla alle stazioni radiomobili da dove, utilizzando tecnologie post Umts che il Giappone sta sperimentando, si potrebbe arrivare al resto della clientela con minor spesa. Queste stazioni usano le frequenze radio, bene pubblico dato in diritto d’uso. Secondo le regole europee, l’uso è specificato nella licenza e fa parte del contratto come la scadenza e il canone. Ebbene, le frequenze migliori indoor sono quelle assegnate alle televisioni. Rai e Mediaset ne posseggono il 90%, soprattutto Mediaset. Oggi, con la tecnologia analogica, le frequenze sono saturate. Domani, la compressione digitale ne libererà moltissime che potrebbero essere integrate nelle reti di nuova generazione. E basta dare un’occhiata a Rai e Telecom Italia Media per capire che il salvatore della patria telefonica sarebbe Mediaset. La quale potrebbe conferire le «sue» frequenze in cambio di azioni, contratti, accordi speciali come quello tra Tim e Mediaset, tutto sbilanciato verso il fornitore di contenuti. Il punto è che le frequenze non sono del Biscione o della Rai, ma appartengono allo Stato che le ha assegnate per finalità televisive. Certo, la revisione delle direttive europee potrebbe risolvere la difficoltà sulla destinazione d’uso. Ma poi le frequenze dovrebbero essere messe all’ asta o conferite direttamente alla nuova infrastruttura. Sempre che non si vari un provvedimento nazionale con valore retroattivo a favore dei licenziatari attuali, il che riaprirebbe la questione del conflitto d’interessi del presidente del Consiglio. Ma i pensieri della notte non sempre si avverano. Massimo mucchetti