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 2008  luglio 03 Giovedì calendario

Vecchio censimento addio. Il Sole 24 ore 3 luglio 2008 Il grande censimento italiano dell’ottobre 2011, ormai avviato, sarà l’istantanea di un mondo segnato dal tempo

Vecchio censimento addio. Il Sole 24 ore 3 luglio 2008 Il grande censimento italiano dell’ottobre 2011, ormai avviato, sarà l’istantanea di un mondo segnato dal tempo. Con più anziani, come la demografia ha rilevato da anni. Con più immigrati, finora mai davvero contati e studiati. E con più imprese, che crescono, si trasformano, migliorano, riconquistano mercati. Gli italiani sono più vecchi ma, vecchi e nuovi italiani, lavorano, e il censimento delle imprese, contestuale a quello della popolazione, non potrà che dimostrarlo. Quello del 2011 sarà il quindicesimo censimento della popolazione dell’Italia unita, e vedrà tecniche diverse da quelle finora adottate e che erano – informatica a parte – non molto diverse da quelle dell’epoca di Cesare Augusto. dal 1951 che l’istantanea della popolazione viene scattata insieme a quella delle abitazioni e delle imprese (nel 2011 ci sarà il nono rilevamento delle aziende, il primo è del 1911). una fotografia che ha formato l’immagine collettiva del Paese. Il 2001 forniva il primo ritratto di un’Italia anziana, con i nati del dopoguerra prossimi a entrare in zona pensione; superavano ormai i giovani minori di 15 anni, fatto senza precedenti nella demografia italiana. Per il mondo della produzione, il 2001 confermò il dominio del Nord-Est, la delocalizzazione, e una fase di non facile lettura che indagini più specifiche come quella Mediobanca-Unioncamere, dedicata alle medie imprese, dovevano fotografare meglio. Un mondo fatto da 4mila imprese, con 600mila dipendenti. Un fatturato di 145 miliardi di euro nel 2005, dice l’ultima analisi Mediobanca-Unioncamere relativa al 1996-2005. Un mondo che ha saputo reggere la perdita di competitività monetaria portata dall’euro e utilizzare i vantaggi della moneta forte - ne esiste qualcuno, sul fronte dei costi - per riaffermarsi su mercati internazionali. Popolazione anziana e imprese rinnovate: questo promette di essere il ritratto del 2011. Caso estremo, la Liguria, dove l’andamento demografico ha fatto parlare di "scomparsa dei liguri" destinati a scendere sotto il milione negli anni 20 di questo secolo, ma dove le 33 medie imprese regionali, per quanto di peso piccolo nel quadro nazionale del settore (solo il 2,3% per fatturato della media impresa del Nord-Ovest) hanno aumentato le esportazioni del 176%, i dipendenti del 16%, il valore aggiunto del 76% e il fatturato del 77 per cento. «Oggi i Paesi sviluppati sono alla vigilia di un’incredibile trasformazione demografica», ricordano Richard Jackson e Neil Howe, autori di The graying of the great powers, un ampio e recentissimo saggio del Center for strategic and international studies di Washington. In Giappone e nelle aree europee a bassa fertilità, Germania, Austria, Svizzera, Italia e Penisola iberica, ci sarà nel 2050 un quarto della forza lavoro in meno rispetto ad oggi, al netto dell’immigrazione. Il 2010 è da anni indicato come la data fatidica. Quanto previsto, predetto e minacciato da anni diventerà presto visibile e palpabile, e già lo è. Meno pesante il saldo giovani/anziani nel mondo di lingua inglese, Stati Uniti soprattutto, e poi Francia, Belgio, Olanda e Scandinavia. Nei Paesi industrializzati gli anziani erano, fino a pochi decenni fa, il 3-5% di una popolazione che cresceva e non era spesso, come oggi, ferma o in sensibile calo. Oggi nei Paesi economicamente più avanzati gli anziani sono in media il 16% e saranno il 23% nel 2030 e il 26% nel 2050. L’Italia è il campione occidentale di invecchiamento, battuto solo dal Giappone, con gli anziani over 65 al 20% dei residenti oggi, al 27% nel 2030 e al 33% nel 2050. «Dal prossimo censimento mi aspetterei e augurerei, come dato nuovo, una fotografia esatta degli stranieri residenti in Italia: sarebbe già un buon risultato», dice Antonio Golini, ordinario a La Sapienza di Roma e uno dei più autorevoli demografi italiani. Gli stranieri regolari, una presenza che si cercherà di quantificare e qualificare con esattezza in tutti i Paesi al momento del censimento, sono in Italia 3,7 milioni, secondo l’ultimo Rapporto Caritas/Migrantes, 25 volte di più rispetto ai 144mila del 1970; gli irregolari sarebbero almeno mezzo milione. Senza di loro l’Italia risulterebbe decisamente più vecchia ancora. Ma sono i dati di fondo, i cambiamenti non solo demografici ma anche sociali e politici, che a volte faticano a filtrare dai numeri. Il lontanissimo censimento del 1921, da leggere insieme al rilevamento generale dell’industria del 1927, fotografava un’Italia che, nonostante i costi della guerra, l’inflazione, i reduci irriducibili, il disordine politico di quell’anno era più articolata e ricca della "grande proletaria" pascoliana del 1911, e un’altra Italia rispetto a quella del 1901, un dato che i politici del tempo non sempre seppero valutare, come osservava Carlo Rosselli. Nel gennaio del 1932, nel primo dei Quaderni di Giustizia e Libertà, Carlo Rosselli in esilio a Parigi scriveva in polemica con il Pci, allora ugualmente in esilio, che solo una nuova dittatura comunista e non il libero voto avrebbe consentito, una volta caduto il fascismo, di portare il sistema bolscevico in Italia. Ed erano i dati del censimento del 1921, che i Quaderni esaminavano, a indicarlo, arrivando «alla conclusione che quasi metà della popolazione italiana è contraria per interessi, tradizioni, psicologia, alla tesi estremista della distruzione del principio di proprietà...». Fra artigiani, commercianti, impiegati, contadini proprietari, mezzadri e le loro famiglie, c’era quasi mezzo Paese. Sempre Giustizia e Libertà osservava, in un altro Quaderno, che il censimento generale di industria e commercio del 27 dimostrava come l’Italia, pur arretrata, fosse già troppo progredita per avere interesse all’industrializzazione forzata promessa dal sistema sovietico. Il voto dell’aprile 1948, che Palmiro Togliatti e Pietro Nenni erano convinti di stravincere, confermò che i censimenti del 1921 e del 27 così come interpretati da Carlo Rosselli avevano parlato chiaro. «I censimenti costano molto, e per questo nel 2011 verranno adottate nuove tecniche anche con lo scopo di diminuire i costi, migliorando il risultato», osserva Riccardo Innocenti, dirigente del Comune di Firenze e presidente dell’Usci, l’Unione statistica dei comuni italiani, insieme all’Istat protagonista principale in Italia di ogni censimento. E fin dalle origini - l’Usci ha un secolo di vita - in competizione per l’assegnazione dei fondi del censimento con i servizi statistici nazionali, riorganizzati nell’Istat nel ’26 e poi ancora nell’89. Il censimento è ovunque un’operazione costosa: gli Stati Uniti prevedono per i rilevamenti del 2010, e nonostante da tempo adottino una sorta di "censimento continuo" e a campione, circa 14 miliardi di dollari di spesa; in Svizzera l’ultimo censimento ha chiesto 108 milioni di franchi di spesa federale e 67 milioni da parte di Cantoni e Comuni, in totale circa 120 milioni di euro al cambio di otto anni fa; e in Italia raccogliere ed elaborare i dati del 2001 è costato oltre 400 milioni di euro, di cui circa 250 per i Comuni e il resto per l’Istat. «I due maggiori nodi sono il finanziamento, con le risorse che arrivano spesso con grande ritardo, e una a volte eccessiva difesa della privacy che rende difficile raccogliere dati un tempo forniti con più facilità, e senza i quali un censimento risulta meno affidabile», dice ancora Golini. Tra quello del 1921 e il prossimo censimento del 2011 ci sono 90 anni. Tre generazioni. La demografia è diversa, per non parlare della politica, diversissima. Ma la costosa istantanea che verrà scattata al Paese, prevedibile nell’allarme senescenza, sarà in grado di dire - confermando sicuramente la vitalità del sistema delle imprese - su quale cammino, anche politico per chi sa leggere con mente serena, è in marcia la società italiana. Mario Margiocco