Il Messaggero 4 luglio 2008, MARIO AJELLO, 4 luglio 2008
E l’onorevole si sente come un rom. Il Messaggero 4 luglio 2008 Gli onorevoli come i rom? Impronte digitali ai piccoli nomadi (almeno così chiede la Lega) e impronte digitali (così hanno deciso tutti insieme, in maniera bipartisan i gruppi parlamentari della Camera) ai deputati
E l’onorevole si sente come un rom. Il Messaggero 4 luglio 2008 Gli onorevoli come i rom? Impronte digitali ai piccoli nomadi (almeno così chiede la Lega) e impronte digitali (così hanno deciso tutti insieme, in maniera bipartisan i gruppi parlamentari della Camera) ai deputati. Per evitare che se ne vadano in giro fuori dall’Aula come degli zingarelli e che si facciano sostituire dai vicini di posto, i cosiddetti ”pianisti”, durante le votazioni. Siamo insomma alla «tolleranza zero» contro nomadismo e fannullonismo parlamentare. Grazie a un sistema infallibile, tecnologicamente all’avanguardia e dal costo di 400.000 euro - approvato ieri a Montecitorio e in vigore dal gennaio 2009 - che funziona così. Nel tesserino dei deputati, sarà inserito un codice, impossibile da riprodurre, che contiene tra 15 e 30 punti caratteristici dell’impronta digitale di più di un dito. Qualcuno si oppone a questo sistema che piace al presidente Fini? No. Perfino, anzi soprattutto i leghisti - che gli zingari non dovrebbero amarli - esultano nel sentirsi simili a loro. Osserva il capogruppo del Carroccio, Roberto Cota: «Dicono che l’idea di identificare le persone nei campi nomadi sia razzista. Ma questa è una strumentalizzazione colossale, tanto è vero che ora saremo noi parlamentari i primi a farci prendere le impronte digitali. Allora, insomma, siamo tutti razzisti contro noi stessi? Siamo auto-razzisti? Ma per favore... E poi, oltre che nel tesserino parlamentare, le impronte digitali ci saranno sui passaporti di tutti gli italiani dal 2009 e anche per accendere un computer ormai servono le impronte digitali». Resta solo il problema della volontarietà dell’adesione al sistema: un punto su cui è stato irremovibile il vicepresidente della Camera, Rocco Buttiglione. Ma i deputati che non accetteranno di farsi prendere le impronte, è stato rilevato da qualcuno in ufficio di presidenza, potranno essere sottoposti a una «sorveglianza speciale». E’ improbabile che ci saranno però ”obiettori di coscienza” e tutti offriranno il ditino alla patria. «Noi, così, dimostreremo chiarezza e trasparenza davanti a chi crede al luogo comune falsissimo secondo cui i deputati non lavorano», dice il neo-parlamentare del Pdl, Giancarlo Mazzuca: «Io sono entrato in politica per lavorare, e voglio dimostrare di farlo. Senza avere nelle orecchie il rumore insopportabile del ”pianismo”». E non teme, lei che per di più ha i baffoni, di somigliare a un rom, schedato e braccato? «Ma siamo seri...». «Ma noi siamo peggio dei rom!», sbotta sottilmente ironico Enzo Carra, del Pd: «A loro, almeno, li difendono i cattolici dell’”Avvenire” e il prefetto Mosca, che s’è opposto alla schedatura dei piccoli zingari pretesa dal ministro Maroni. Invece a noi parlamentari, membri dell’odiatissima casta, non ci difende nessuno e noi stessi non ci difendiamo, perchè in preda a una sorta di demagogico auto-ribrezzo. Mi sembra un po’ ridicolo che si debba arrivare alle impronte digitali, pur di rabbonire l’anti-parlamentarismo e il qualunquismo montanti». Quella di Carra è una voce in controtendenza. Le altre dicono altro. Ecco Silvana Mura, big dei dipietristi alla Camera: «Questa delle impronte digitali è l’unica misura possibile, e la più efficace. All’inizio, Fini aveva proposto il metodo del voto con due mani, così una delle due non poteva votare per il vicino di banco. Ma poi abbiamo pensato che non andava bene, perchè una mano bisogna averla libera per parlare al telefono, o per scrivere un appunto, o per fare un gesto di richiamo o altro». E allora, via con le impronte. Come per i rom? «Che c’è di male?», dice Luca Paolini, giovane deputato leghista: «Io faccio l’avvocato e m’è capitato di difendere uno zingaro, accusato di aver svaligiato un distributore di benzina. Le impronte dei rom servono per evitare che quelli s’inventino, come spesso fanno, di essere un altro. Le impronte ai deputati servono per evitare, ma non mi sembra un gran problema, che ci si possa inventare, al momento del voto, doppie personalità. La propria e quella di chi ci siede affianco ma non c’è». Il polpastrello digitale metterà fine al ”pianismo” e anche al pirandellismo. MARIO AJELLO