Maurizio Ricci, la Repubblica 3/7/2008, 3 luglio 2008
maurizio ricci A raschiare il fondo del barile si mettono insieme solo un po´ di rimasugli, ma è meglio che niente
maurizio ricci A raschiare il fondo del barile si mettono insieme solo un po´ di rimasugli, ma è meglio che niente. Ci sono molti modi per farlo. Ad esempio, un pomeriggio della scorsa primavera, un camion si è accostato sul retro di un Burger King in California. Ne è sceso un uomo armato di un tubo di gomma e una grossa tanica. Dopo aver rovistato un po´ nei rifiuti, ha trovato un bidone puzzolente, ci ha immerso il tubo e ha cominciato a riempire la tanica. Ci sono voluti parecchi viaggi fino al camion, ma, alla fine, l´uomo è ripartito con un migliaio di litri di olio fritto, stipati accanto agli altri. Il camion, infatti, era già semipieno prima della sosta al Burger King. In tutto, dopo una giornata di visite ai cortili di ristoranti fast food, sul cassone c´erano 2.500 galloni, circa 10 mila litri, di olio fritto. Il caso ha fatto notizia, perché il ladro è stato preso e, di solito, non succede. Ma i furti di olio fritto sono sempre più frequenti. Ne sono stati registrati in almeno venti stati americani. Più a nord della California, nello stato di Washington, la media è di due a settimana. Ma sono, probabilmente, molti di più: spesso, i proprietari dei ristoranti neanche se ne accorgono. Sono abituati a preoccuparsi di difendere la cassa o di evitare che qualche ragazzo entri a rubare alcool. Non dei rifiuti. Ma, adesso, cominciano a mettere riflettori e telecamere a circuito chiuso sul retro. L´olio fritto, nel 2000, valeva 7,6 centesimi di dollari alla libbra. Oggi, ne vale 33 centesimi, cioè 2,50 dollari a gallone. Circa il 40 per cento in meno dei 4 dollari che servono per un gallone di benzina. Che c´entra la benzina? Be´, nessuno ruba l´olio fritto per rifriggere le patatine. Lo ruba per fare il biodiesel da mettere nel serbatoio della macchina. A occhio, nel cassone del camion fermato fuori dal Burger King c´era il controvalore di 6 mila dollari. Il prezzo di un petrolio sempre più scarso è triplicato in quattro anni. Contro il caro-greggio, scienziati e industrie manipolano e studiano ogni giorno alghe per fare etanolo, sabbie impastate di bitume per estrarne petrolio, macchine che possano viaggiare ad idrogeno o ad aria compressa. Ma il comune cittadino si dà da fare altrettanto, per vedere cosa è rimasto in fondo al barile. Scaricando in massa da Internet, ad esempio, kit e istruzioni per ricavare il biodiesel dall´olio vegetale. Fritto, nel caso americano. Crudo, ancora nella lattina del supermercato, in quello italiano. Non è questione di gusti: la differenza è tutta fiscale. In America ci sono più tasse sull´olio del supermercato che sulla benzina, in Italia è vero il contrario. L´olio di colza può costare intorno a 0,60 euro al litro, un terzo del gasolio alla pompa. Ma buona parte della differenza è data dalle tasse statali sui carburanti. E mettere nel serbatoio carburante che non abbia pagato le apposite tasse è illegale e costoso: la multa non è meno di 7.500 euro. Per accorgersene, basta che il poliziotto della stradale che vi ha fermato abbia un naso normale: la vostra macchina non ha la normale puzza dal tubo di scarico. Al contrario, sembra che, nel cofano, abbiano fatto i popcorn. Peraltro, se la Polstrada ha mai comminato una multa per carburante illegale, non ha fatto circolare la notizia. Un po´ la convinzione dell´impunità, un po´ l´ebbrezza della sfida ai signori del petrolio, un po´ l´illusione del risparmio, l´entusiasmo per il carburante fatto in casa è in crescita. Naturalmente, non c´è al mondo - e neanche nei supermercati italiani - abbastanza olio di colza da sostituire il gasolio delle multinazionali. Ma gli sviluppi futuri della crisi dell´energia raramente intralciano il problema del pieno di oggi. Andate su Internet con le parole chiave "diesel" e "colza" e venite sommersi da un diluvio di 247 mila (solo in italiano) possibili clic su proposte, offerte, suggerimenti e, soprattutto, discussioni. Inoltrarsi in questi forum è un viaggio fra appelli frementi («Nessuno ha l´olio di colza a Novara!»), annunci trionfanti («Otto mesi con la colza al 30 per cento sulla mia Peugeot e nessun problema»), insulti («Non raccontiamoci coglionate, con l´olio di colza al 40 per cento ho rotto la pompa ad iniezione»), derisioni («Balle, la pompa si è rotta perché l´olio è un detergente e ha pulito i residui precedenti del gasolio che hanno intasato la pompa»), tragedie («2 mila km con l´olio di colza sull´Alfa e, bam, una settimana fa mi è partito il turbo e ho dovuto rottamare la macchina»). In realtà, gli esperti dicono che il carburante fatto in casa, alla lunga, è un rischio. Paradossalmente, funziona meglio con i vecchi motori diesel (quelli superinquinanti) che con quelli nuovi. Bisognerebbe usare gli appositi kit, che però sono costosi. O attrezzarsi con un secondo serbatoio in cui l´olio di colza venga scaldato a 60-80 gradi, altrimenti è troppo viscoso. Il punto è che l´olio di colza diventa vero biodiesel dopo un processo chimico che, ad esempio, elimini la glicerina che c´è nella lattina del supermercato. Se vi limitate a miscelare la lattina e una tanica di gasolio, i relativi residui presto compromettono gli iniettori e la pompa avrà vita breve. E, alla fine di tutto, la garanzia, in caso di uso di carburante fatto in casa, non vale. Anche i risparmi sono dubbi. La rivista Altroconsumo ha calcolato che un risparmio di 2-300 euro (con una miscela di olio di colza al 70 per cento) su 20 mila chilometri di percorrenza non valga neanche il costo della manutenzione, fra pulizie e smontaggio, dal meccanico. Quando si guarda il fondo del barile, tuttavia, è il risparmio di oggi che conta. In Giappone, dove granturco o canna da zucchero (le materie prime più diffuse per i biocarburanti) non ce n´è, il governo sta sussidiando massicciamente l´idea di produrre etanolo da quello che lì non manca, cioè il riso, nonostante il costo della materia prima appaia proibitivo. Soprattutto, però, a raschiare il fondo del barile sono quelli che, sul petrolio, sono rimasti e si sforzano di spremerne anche l´ultima goccia. Le multinazionali sfoderano tutto il ventaglio delle nuove tecnologie. Da un pozzo, normalmente, non si estrae più di un terzo del petrolio che contiene. Più si alza questa percentuale verso il 40-50 per cento, più milioni di dollari si accumulano nelle casse. Ecco allora iniezioni di vapore nei vecchi pozzi, sensori di profondità, modelli computerizzati a tre dimensioni dei giacimenti, perforazioni orizzontali, per non perdere neppure una goccia, batteri che lo rendano più fluido, gel che lo separino dalle infiltrazioni d´acqua. Ma, anche qui, almeno in America, Eldorado del petrolio fino agli anni ´70, questa corsa (a ritroso) all´oro nero ha assunto un sapore popolare. Se il barile di petrolio spunta, sul mercato, 140 dollari, anche il vecchio pozzo di nonno, dato per esaurito trent´anni fa, può ancora dire la sua. Su Internet si moltiplicano gli annunci: «Compransi vecchi pozzi, anche intasati dall´acqua». In Pennsylvania, dove l´era del petrolio è iniziata, 150 anni fa, il governo statale ha diffuso un "Manuale per operatori" del petrolio, nuovo di zecca. Stati e contee che, fino a ieri, sigillavano i vecchi pozzi abbandonati, per paura di perdite e infiltrazioni, adesso hanno smesso. In California, Utah, Tennessee, Michigan le domande di riaperture di pozzi ufficialmente esauriti sono centinaia. In Texas, culla moderna del petrolio made in Usa, sono 5 mila. Non si trovano più trivelle da affittare. Los Angeles ha riscoperto di essere stata, a suo tempo, un bacino petrolifero di prim´ordine. A Beverly Hills, in fondo ad una strada di ville milionarie, c´è un cubo grigio, alto come un palazzo di sei piani: dentro c´è un pozzo petrolifero. Un altro ce n´è nel centro commerciale di Beverly Hills, dove vanno a fare shopping Britney Spears e Adam Sandler. E´ nascosto dietro un muro, fra Macy´s e Bloomingdale´s. Sono pozzi, fino a ieri, antieconomici, capaci di sputare qualche migliaio di barili al giorno, una frazione infinitesima della produzione dei grandi giacimenti da milioni di barili quotidiani da cui, tuttora, trae energia il nostro mondo. Ma tutto serve, ormai. Anche il minigiacimento domestico che riprende a punteggiare, come nella prima metà del ”900, il panorama delle grandi praterie americane. Fino a Oil City, in Pennsylvania, dove tutto cominciò, un secolo e mezzo fa. I milionari se ne sono andati da tempo dalla città, come la Standard Oil di Rockefeller, il primo gigante dell´oro nero. Il petrolio era rimasto nel museo e nelle ossessioni di vecchi testardi che hanno continuato ad estrarlo, magari con gli stessi macchinari lasciati in eredità dal nonno. Qui, il fondo del barile si vede davvero: 3 barili al giorno, con il sogno di arrivare a 4. Una settimana per riempire un camion. Ma 3 barili al giorno fanno 90 in un mese, 12 mila dollari meno le spese. Alla faccia del tramonto del petrolio. LAURA TROJA Roma Giura: ha preso il suo scooter a metano, l´ha portato da un contadino, e ha fatto il pieno di biogas prodotto dalle galline. Emissioni di CO2: zero. Costo: poco più. Haimo Staffler da vent´anni - da 6 con Alpengas, piccola azienda di Bolzano - studia i carburanti alternativi. Come la "pollina": piume, residui di mangime, e… «E la cacca dei polli. O delle mucche. Scaldate e vaporizzate, producono biocarburante. I contadini lo usano per illuminare e riscaldare la casa. Ma basta un compressore per iniettare il gas nel bocchettone dell´auto (a metano) e il contadino diventa petroliere». Un po´ folle, come idea. «Quando la raccontavo ad amici del settore petrolifero mi ridevano in faccia. Era il 2003 e un barile di greggio costava 25 dollari al barile». Cinque anni e 115 dollari dopo, è lei che ride. «Con la Provincia di Bolzano e il centro ricerche Fiat stiamo realizzando il primo vero "multidistributore" d´Italia: il biogas passerà, come gli altri carburanti, attraverso i metanodotti esistenti e arriverà sulle strade trafficate. Basta una rete, ora liberalizzata, e un accordo con i contadini della zona». Di pollo o mucca che sia, il carburante viene dalla lettiera. Puzza? «Ma no! Lei è mai passata vicino a una porcilaia? Gli odori sono terribili. Ma gli scarti, se fermentati in ambienti chiusi con altri di origine organica, perdono l´odore. Puzza, poco, il biogas che sale in alto ed è raccolto nelle sacche. Ma bruciato nell´auto, non fa odore. Giuro».