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 2008  luglio 03 Giovedì calendario

La mia Italia seppe risollevarsi. Questa è diversa. La Stampa 3 luglio 2008 Ottant’anni domani: presidente Boniperti, da dove cominciamo? «Da Tubaro»

La mia Italia seppe risollevarsi. Questa è diversa. La Stampa 3 luglio 2008 Ottant’anni domani: presidente Boniperti, da dove cominciamo? «Da Tubaro». Tubaro chi? «Ludovico Tubaro. Veniva dal Toro, giocava nel Legnano. Un tronco di stopper. Una domenica, mi entra a catapulta sulla caviglia e rischia di spezzarmela. Esco, mi medicano, rientro. Lo aspetto. Palla sopra la testa - oggi si dice ”sombrero” - e gran botta, gran gol. Lo cerco e gli faccio il gesto dell’ombrello: Tubaro, tiè. Mi ha inseguito fin sotto la doccia. Un giorno che ero ancora europarlamentare, squilla il telefonino. Era lui. Quasi mezzo secolo dopo. Quel pomeriggio, l’avrei ammazzato. Quel giorno, l’avrei abbracciato». Dal 24 luglio 1946, giorno in cui firmò il primo contratto, a oggi. E per sempre. Juventino. «Furono gli amici a ”leggermi” la Juve del Quinquennio come se fosse un romanzo d’avventure. Il fenomeno di casa, però, era Gino, mio fratello. Solo che fumava come un turco. Sarebbe diventato un fuoriclasse. Ha fatto il radiologo. Me l’ha portato via un tumore». Mai avuto tentazioni? «Se per tentazioni intende qualche offerta, ebbene sì, ne ho avute. Inter, Milan, Roma, il Grande Torino. Era stato Valentino Mazzola a fare il mio nome a Ferruccio Novo. Il presidente mi ricevette nel suo ufficio: commendatore, gli dissi, sono della Juve, non posso». L’Italia della sua giovinezza. «Papà Agabio, prima sindaco e poi podestà di Barengo. Mamma Camilla, maestra. Più che la guerra, mi impressionò il dopo. La resistenza. Il paese spaccato. Partigiani, fascisti. Momenti terribili, anche dalle nostre parti». Se non avesse fatto il calciatore? «Avrei fatto l’agricoltore. Non ho mai rinnegato le mie radici contadine. Lasciavo che la gente ridesse, quando chiedevo agli Agnelli mucche gravide come premio-partita. Mi sono diplomato geometra e ho dato quattro esami di economia e commercio. Poi, solo calcio». Come si diventa Boniperti? «Parlando il meno possibile. Facendo il duro. E, nei ritagli di tempo, battendo come Dio comanda qualche calcio d’angolo». Si ritirò il 10 giugno 1961, dopo Juventus-Inter 9-1. L’Avvocato non era d’accordo. «Sono per i tagli netti. Mi tolsi le scarpe e le diedi al magazziniere. Mai più messe. Odio le pantomime fra vecchie glorie». «Tagli netti: all’Heysel, fin troppo. Non riconsegnare quella coppa... «E a che titolo? I morti erano nostri. Ha capito? Nostri. Ancora oggi, in prossimità dell’anniversario, molti tifosi mi scrivono o mi telefonano: sempre con lei, presidente». C’è un altro Boniperti di cui vorrebbe parlare? «C’è stato quello che andava a caccia con Fausto Coppi, incantato dai suoi silenzi. C’è stato l’amministratore delle tenute di Umbertide e Veneria di Lignana, quest’ultima vicino a Vercelli, dove girarono ”Riso amaro”. C’è il marito, il padre di tre figli, il nonno di cinque nipoti. Ho cercato, sempre, di essere all’altezza». Voce di popolo: grande giocatore, grande e fortunato presidente. Facile, con gli Agnelli dietro. «Essere fortunati non è mica una colpa. L’Avvocato, il Dottore: due mezzali così, non le avremo più. Quando bisognava comprare, Gianni Agnelli mi diceva: mi fido di te, ma fai come se i soldi fossero i tuoi. E quando mi ”svegliava” anche alle quattro del pomeriggio, voleva dire che non eravamo primi in classifica». Silvio Berlusconi? «Mi ha ”rubato” Donadoni a suon di miliardi, ben tredici, ma poi sono stato europarlamentare per cinque anni con Forza Italia. Uno a uno». Le piace la politica? «Mi piaceva l’Italia di una volta, quella della ricostruzione e del boom. L’Italia che soffriva per tornare in alto. Non sputo nel piatto dove ho mangiato. Invoco semplicemente qualche limite, qualche regola. Non dico di avere nostalgia della tv democristiana, ma ormai è tutto un urlo, tutto un insulto, in politica, nello sport, ovunque. Un passettino indietro, per favore». Rimpianti? Rimorsi? «Non sono un santo. Se ho peccato, l’ho fatto esclusivamente per difendere la mia società. Più in generale, il mio grande rimpianto resta lo stadio. Seconda metà degli Anni Ottanta: avevo tutto, progetto, terreno, quattrini. La Juventus avrebbe anticipato il futuro. Romiti disse all’Avvocato che non era ancora il momento. E invece lo era, e come». Perché la Juventus di Boniperti-Charles-Sivori ha stregato una generazione? «Perché ognuno aveva qualcosa che mancava all’altro. Perché, nel gioco, interpretava le fregole del Paese. C’era fantasia, forza, rigore. Se Omar fosse stato meno argentino e più tedesco - traduzione: meno isterico e più razionale - di scudetti non ne avremmo vinti tre, ma il doppio. Omar: il Maradona di quel tempo». E il vero Maradona? «L’avevo preso. Solo che il presidente della Federazione argentina, Julio Grondona, bloccò il trasferimento. Ordini superiori. Un giorno, molti anni dopo, ho rivisto Diego e sa cosa mi ha confidato? Se fossi venuto alla Juve quando dovevo, magari avrei avuto una vita privata più serena». B come Boniperti, ma anche B come serie B. «Una ferita che non si rimarginerà più». C’è chi pensa a un complotto. «Liberissimo. Io no, non ci ho mai creduto». Quali sono i campioni che più apprezza? «L’argentino del Barcellona, quel Messi. E Kakà. Talento a parte, elegante e solare. Come Scirea». E dei giovani italiani? «Giovinco. Mi ricorda Muccinelli». Il gol più bello che ha realizzato? «Non so se sia davvero il più bello in assoluto, ma sono affezionato a un rigore che calciai, e trasformai, al Filadelfia, contro il Toro. Non ha idea dell’atmosfera. La gente, lì, a pochi metri. Sentivo le fiamme che uscivano dai nasi granata. Tirai una lecca sotto la traversa. Parola mi diede dell’incosciente». «Giampiero, vuoi arbitrare tu?». Testimonianza di Benito Lorenzi, il veleno dell’Inter. Conferma? «Confermo. E le aggiungo un altro episodio, visto che siamo in tema. Bologna-Juventus, dirige Jonni di Macerata. Comincio a friggere, a smoccolare, a sbraitare. Mi fa: ”Se vuoi, ti do il fischietto”. Giuro: me lo ha poi mandato per posta, in una busta». Ottant’anni: le pesano? «Li conto. E li trovo pieni. Mi basta». Segue la nuova Juventus? «Come no. Ho letto della rissa con il Toro per ”sto Knezevic del Livorno. Una riserva, fra l’altro». Proprio così. «Mah. Forse è un segno dei tempi». Senza forse, presidente. «Addirittura?». Roberto Beccantini