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 2006  febbraio 22 Mercoledì calendario

SE IL diavolo esistesse, se per somma dissimulazione vestisse il clergyman e se, colmo dei colmi, abitasse all’interno delle Mura Leonine, non potrebbe avere che le sue fattezze

SE IL diavolo esistesse, se per somma dissimulazione vestisse il clergyman e se, colmo dei colmi, abitasse all’interno delle Mura Leonine, non potrebbe avere che le sue fattezze. Le fattezze e i modi di Paul Casimir Marcinkus, prete, principe della Chiesa, banchiere e finanziere ben più che spregiudicato. Nato a Cicero, Illinois, nel 1922, figlio di un emigrante lituano che si guadagnava da vivere lustrando i vetri dei grattacieli di Chicago, Marcinkus è morto ieri a Phoenix, Arizona. Naturalmente, con spirito cristiano, gli auguriamo il perdono di domineddio e il paradiso. Ma il disastro etico e d’immagine che per molti lustri ha segnato le vicende dell’oro Vaticano, il denaro "sterco del demonio" transitante impudicamente nel Torrione di Niccolò V, sede dell’Istituto per le Opere di Religione, in un via vai di filibustieri, bancarottieri e tangentisti in salsa piduista, inevitabilmente porta e porterà il suo nome, anche se nelle nefandezze fu tutt’altro che solo. Da Sindona a Calvi, dal sacco di Roma dell’Immobiliare al riciclaggio della tangente Enimont, non c’è scandalo finanziario di cui le mura di quel torrione non conservino qualche eco. Sullo sfondo, l’eterna diatriba tra finanza laica e finanza cattolica, tra banca bianca e banca di altri colori, tra poteri massonici e poteri curiali, di cui abbiamo visto l’ultima rappresentazione nella vicenda della Banca Popolare di Lodi, col banchierino timorato, ma grassatore, e il governatore della Banca d’Italia che scambiava i ratios patrimoniali con le massime morali di San Tommaso. Modi rudi, fisico da rugbista, accanito giocatore di golf sui campi dell’Acquasanta, sigaro cubano sempre acceso, ricercato dalle signore del generone romano, alla fine negli anni Sessanta Marcinkus, data la statura, univa le funzioni di guardia del corpo di Paolo VI nei viaggi all’estero e di stella nascente della finanza vaticana, cui papa Montini aveva imposto l’internazionalizzazione. Le partecipazioni azionarie del Vaticano in Italia, spesso imbarazzanti, dovevano essere smobilitate o adeguatamente "coperte" e alla finanza pontificia occorreva dare un respiro internazionale. Marcinkus, sponsorizzato da don Pasquale Macchi, potente segretario del papa, aveva un rapporto personale con David Kennedy, presidente della Continental Illinois National Bank di Chicago, che poi nel 1969 fu nominato ministro del Tesoro nell’amministrazione Nixon. Fu il banchiere americano a presentare Sindona al disinvolto finanziere papalino, diventato nel frattempo capo dello Ior. E i guai cominciarono subito. Già nel 1973 la Sec aprì un’inchiesta sulla Vetco Offshore Industries, che, attraverso un giro messo in piedi da Sindona, si scoprì essere illegalmente controllata dal Vaticano. Sindona poco dopo viene travolto dal crac delle sue banche, compiutosi al termine di una lotta sanguinosa tra il mondo laico, capeggiato da Ugo La Malfa, e quello cattolico, che faceva riferimento a Giulio Andreotti, e che ebbe il momento più aspro nell’incriminazione di due galantuomini come il governatore Paolo Baffi e il direttore generale della Banca d’Italia Mario Sarcinelli, poco propensi al salvataggio che i democristiani fortemente volevano. Ma Marcinkus aveva già gettato le basi del nuovo scandalo, il crac del Banco Ambrosiano, nel quale il Vaticano fu coinvolto per 1500 miliardi di ex lire, secondo il calcolo che fece il ministro del Tesoro Nino Andreatta. Poco prima di essere ucciso a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, Calvi, disperato, arriva a scrivere al papa: attacca Marcinkus, considerato appartenente all’ala massonico-curiale in Vaticano, sperando che Giovanni Paolo II consegni la banca papalina all’Opus Dei e che lo Ior salvi l’Ambrosiano con 1200 milioni di dollari. "Santità - scrive il 5 giugno 1982 in una lettera rivelata molti anni dopo dal figlio - sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona...; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest...; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato...". Sua Eccellenza Monsignor Paul Casimir Marcinkus, passando quasi indenne tra tutti i disastri e persino tra i sospetti che accompagnarono la morte improvvisa di Giovanni Paolo I, manterrà la sua poltrona fino al 1989, sette anni dopo l’omicidio di Calvi. Da allora la finanza vaticana è molto cambiata, l’influenza dell’Opus Dei è cresciuta rispetto a quella della chiesa americana. Ma lo Ior rimane una banca del tutto speciale, perché da un lato è una banca off-shore, che opera nell’extraterritorialità, dall’altra è on-shore: chi è adeguatamente presentato può entrare portando una valigia piena di dollari di qualunque provenienza e uscirne, senza ricevuta, con la certezza che il suo denaro andrà dove deve andare senza lasciar tracce. Ma monsignor Marcinkus, che per tutta la vita ha maneggiato sterco del diavolo, mai si dev’essere sentito il Maligno in clergyman. Anzi, in una delle rare interviste, si è perdonato così: "Ma si può vivere in questo mondo senza preoccuparsi del denaro? No, non si può dirigere la Chiesa con le Avemaria".