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 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

PRINCIPE Quirino Gorizia 19 novembre 1935. Musicologo e storico della musica. Insegna Filosofia della Musica all’Università Roma Tre ed è Accademico di Santa Cecilia • «Poeta, attore, musicista, scrittore, biografo, latinista, germanista, umanista in senso lato, lettore vorace e sulfureo, conservatore teatrale e fluviale, fra i tanti aspetti della sua personalità Quirino Principe deve prediligere quello di filosofo della cultura, come egli stesso, si definisce, declinando il termine ”storiografo”

PRINCIPE Quirino Gorizia 19 novembre 1935. Musicologo e storico della musica. Insegna Filosofia della Musica all’Università Roma Tre ed è Accademico di Santa Cecilia • «Poeta, attore, musicista, scrittore, biografo, latinista, germanista, umanista in senso lato, lettore vorace e sulfureo, conservatore teatrale e fluviale, fra i tanti aspetti della sua personalità Quirino Principe deve prediligere quello di filosofo della cultura, come egli stesso, si definisce, declinando il termine ”storiografo”. E in effetti vanta un primato. Fu il primo a parlare di scontro di civiltà, con un anticipo di almeno vent’anni sull’americano Samuel Huntington. All’epoca, era un semisconosciuto professore al liceo Manzoni di Milano. Era cresciuto meditando gli scritti di Nietzsche e traducendo le opere di Ernst Jünger, il soldato della Prima guerra mondiale teorico dell’Anarca, del Lavoratore, della Mobilitazione totale, sopravvissuto alla Repubblica di Weimar, al Terzo Reich, al maëlstrom nichilista che seguì il crollo del nazismo. Per forza di cose, dunque, il prof. Principe era uno di quei tanti docenti temuti e odiati, che deliziavano i loro allievi inscenando drammi di Goethe e poemi di T.S.Eliot, o raccontando le avventure del Parsifal. E oggi che come allora continua a dispensare la sua scienza musicale a sciami di adolescenti ignari, guarda con la stessa preoccupazione alla ”nuova barbarie” che minaccia l’occidente, paragonandola all’assalto dei Goti sull’impero romano nei secoli bui. [...] Quando coniò l’espressione di scontro di civiltà, Principe [...] era già un antimoderno. Viveva in comunione di spirito con Guido Ceronetti, con Elémire Zolla e altri irregolari, denunciando l’abuso dell’automobile, e contrastando con l’erudizione i dogmi benpensanti del progressismo. Aveva scritto un paio di saggi così luminosi sul destino della scuola e l’incultura (’Vita e morte della scuola”, del 1970, ”Manuale di idee per la scuola” del 1977), che oltre a risultare oggi introvabili, gli erano valsi l’avvio di una discreta carriera, culminata come coordinatore per la sezione storica dell’Enciclopedia Europea alla Garzanti. Insomma, era un umanista in trincea. Grande conoscitore dell’arte classica, di Antico e Nuovo Testamento, si era laureato sotto la guida del cattolico Luigi Stefanini su Filone d’Alessandria, il filosofo ellenistico che interpretò la Bibbia secondo la filosofia di Platone, scoprendo nel trattato sulla Creazione del mondo secondo Mosè un’allegoria della creazione della scala musicale. Tutto sembrava annunciare un radioso avvenire in uno dei gangli dell’industria culturale italiana, senonché, un bel giorno il professore mollò tutto. Era il 13 dicembre 1969. Il giorno prima era scoppiata la bomba di piazza Fontana, nell’atrio della Banca nazionale dell’agricoltura. Livio Garzanti – editore genialoide e imprevedibile per quel suo modo, che descrive lo stesso Principe, di alimentare nei suoi dipendenti ”rapporti instabili e nevrotici, aleatori e sempre periclitanti, umorali e varianti da una predilezione ostentata a un freddo odio umiliante, con alti e bassi sovente ripetuti a ciclo nell’arco di una sola giornata” – ebbe una battuta infelice: ”Dottor Principe, secondo me sono stati i suoi amici, i terroristi altoatesini”. Nativo di Gorizia, temprato da un’educazione militare dopo un’infanzia, vissuta in piena guerra, in balìa di un commando della Wehrmacht, non ci vide più. Offeso nell’intimo, umiliato nel suo orgoglio etnico-culturale, afferrò la scrivania e la scaraventò a terra, con tanto di portapenne, matite, portafoto del figlio neonato, spaccandola in due davanti agli occhi attoniti del Garzanti. Poi s’alzò, agguantò la borsa e scomparve. Non avrebbe mai più rimesso piede in via della Spiga, lasciando lì anche l’ultimo stipendio, segno di massimo sdegno. Quel giorno si compì il suo destino. L’ardore del gesto, infatti, fece il giro dei salotti milanesi e nel giro di ventiquattr’ore Principe venne arruolato da Alfredo Cattabiani alla Rusconi, dove per lui iniziò un’altra avventura. ”Quando nel 1969-70 mi accollai l’immane compito di ritradurre il ”Signore degli Anelli’ di Tolkien per curarne l’edizione italiana, mai avrei immaginato che sei anni dopo il Fronte della Gioventù dichiarasse ”è un libro nostro’, mentre la sinistra lo disprezzava e i cattolici volevano dimostrare che Frodo era una metafora di Gesù Cristo e Tolkien di San Fancesco. Mi ha sempre irato quella strana forma di compatimento cattolico verso la presunta assenza di spiritualità dei laici. Ma allora, mi domando, i Kafka, i Leopardi, i Nietzsche, gli Schopenhauer, coloro il cui ritratto tengo appeso sul mio computer, son tutti privi di spiritualità? La spiritualità da laico esiste eccome. La mia si fonda sulle ”Elegie ruinesi’ di Rilke, sulle poesie di Kavafis, sui romanzi di Thomas Mann, Dostoevskij, Proust: tutti autori che esistono perché prima di loro c’è stato il cristianesimo, certo. Ma dire che la cultura occidentale, per il fatto che ci sia stata una contestazione della religiosità, non abbia un briciolo di spiritualità mi offende profondamente. A volte mi si avvicina una ragazza [...] ”volevo dirle che io sono di Cl, sono cristiana e vorrei essere rispettata nelle mie idee e nella fede’. E pure io voglio essere rispettato nella mia.” [...]» (Marina Valensise, ”Il Foglio” 7/2/2009).