Note: [1] Paolo Griseri, la Repubblica 19/4; [2] Luigi Grassia, La Stampa 21/1; [3] Luisa Grion, la Repubblica 19/4; [4] Maurizio Tropeano, La Stampa 19/4; [5] www.governo.it, Sintesi del modello di federalismo fiscale in alcuni paesi europei; [6] Angelo , 6 dicembre 2007
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 21 APRILE 2008
«Finalmente abbiamo vinto, adesso si può fare il federalismo fiscale. Che cosa vuol dire? Che siamo padroni a casa nostra, che le tasse restano qui e non vanno a Roma. Con tutte quelle che paghiamo io e mia moglie per l’azienda agricola» (un contadino cuneese di 49 anni prestato all’industria della gomma che ha votato per la Lega). [1] Nel 2007 la classifica dei trasferimenti dall’Erario ai 103 comuni capoluogo di provincia vedeva in testa Napoli (671,10 euro per residente), seguita da Messina (443,60), Palermo (438,90), Cosenza (433,60) ecc., ultima Padova (147,10). [2]
Far sì che le tasse pagate restino «a casa», utilizzate e spese - in buona parte - per investimenti e servizi in loco, ben visibili agli occhi dei contribuenti. questo, da sempre, il cavallo di battaglia della Lega che uscita vincitrice dalle elezioni l’ha messo in testa all’agenda del prossimo governo. [3] Mercedes Bresso, presidente del Piemonte: «Sono anni che parlano di federalismo fiscale. Bossi e la Lega sono stati al governo dal 2001 al 2006. Il risultato per il Piemonte? Zero federalismo fiscale e un credito di 1,2 miliardi nei confronti dello Stato. Adesso sono di nuovo lì. Andiamo a vedere le loro carte, incalziamoli e collaboriamo per rendere effettiva la Costituzione. Io credo che il centrosinistra debba chiedere subito la realizzazione di questa promessa». [4]
Nella scorsa legislatura Violante presentò una proposta per l’istituzione di un vero Senato federale sul modello tedesco. Bresso: «Si riparta da lì. Se c’è l’accordo si può approvare in poco tempo. E poi il fisco. La mia proposta è che si applichi a tutte le Regioni il sistema di tassazione in vigore per il Friuli Venezia Giulia (una delle cinque Regioni a Statuto speciale, ndr). Primo le tasse vengono incassate direttamente a livello regionale. In Friuli restano sei decimi del gettito Irpef, 4,5 decimi dell’Irpeg (ora Ires) e 9,1 decimi dell’Iva. Se traduciamo questi numeri in denaro resterebbero in Piemonte 18,4 miliardi contro una decina che abbiamo a disposizione oggi tra trasferimenti statali di cui 8,4 miliardi di entrate fiscali». [4]
E le regioni del Sud? Bresso: «C’è il fondo di perequazione a cui, però, devono partecipare anche le regioni a Statuto speciale. Stato e regioni definiscono un livello essenziale di servizi da garantire e poi toccherà alle singole amministrazioni decidere che cosa potenziare. qui che entra in gioco il giudizio degli elettori». [4] Quello tedesco è uno Stato federale fondato su due livelli di governo che hanno pari dignità: la Federazione (Bund) e gli Stati (Länder, 16 in tutto comprese le città-stato Berlino, Amburgo e Brema). Gli Stati hanno costituzione, governo e parlamento autonomo. [5]
Il parlamento federale tedesco ha due camere: il Bundestag (669 deputati eletti per quattro anni a suffragio universale) e il Bundesrat, organo federativo che rappresenta gli Stati (ognuno ha da 3 a 6 rappresentanti nominati dal governo locale): insieme eleggono il Presidente federale (capo dello Stato) il quale indica il Cancelliere federale (capo del governo) che viene votato solo dal Bundestag. Ci sono poi province, comuni, vari enti inter-municipali. Ciascun livello di governo (Bund e Länder) deve sostenere separatamente, salvo diverse disposizioni costituzionali, le spese derivanti dall’espletamento dei propri compiti. [5]
Gli enti territoriali acquisiscono interamente il gettito del tributo riscosso sul proprio territorio e dispongono di percentuali del gettito delle imposte centrali. Al Bund spettano dazi doganali, imposte per la circolazione stradale delle merci, imposte per i trasferimenti di capitale ecc.; ai Länder le imposte ordinarie sul patrimonio, quelle sulle successioni, le tasse di circolazione sugli autoveicoli, l’imposta sulla birra, le imposte sulle case da gioco ecc. Le imposte sui redditi delle persone fisiche, delle persone giuridiche, sul valore aggiunto ecc. vengono divise: nel primo caso Bund e Länder prendono il 42,5%, i comuni il 15%. Infine ci sono trasferimenti (perequazioni) dal Bund e dai Länder più ricchi a quelli più poveri ma il risultato finale di ogni Stato deve aggirarsi intorno alla media degli incassi (non come in Italia dove, in proporzione a quanto pagato, regioni e province povere incassano tantissimo e quelle ricche quasi nulla). [5]
Agitato propagandisticamente per anni, questa volta il federalismo fiscale entrerà davvero nell’agenda politica, diventerà oggetto di vere decisioni. Angelo Panebianco: «Qui potrebbero insorgere problemi, anche seri, fra il partito regionale (che punta a trattenere al Nord il massimo possibile delle risorse prodotte) e il partito nazionale, il Pdl, che deve mediare fra interessi diversi e che non può ignorare le domande, di tutt’altro tenore, del Mezzogiorno. La sintesi, difficile comunque, sarà resa verosimilmente ancora più ardua dalla fase recessiva che ci aspetta. lecito ipotizzare che proprio sul federalismo fiscale, nei prossimi anni, il centrodestra possa giocarsi il suo futuro, garantendosi sine die, o prima o poi perdendo, il sostegno del partito regionale».[6]
Lo scorso dicembre a Milano, Giorgio Napolitano strappò il più convinto applauso della business comunity rispondendo al governatore Formigoni che aveva detto di «confidare nel suo vigile aiuto perché il percorso avviato dalla nostra Regione per la costruzione di un regionalismo differenziato possa trovare il suo naturale compimento». Il presidente della Repubblica rispose spiegando che «non può essere eluso il dovere costituzionale dell’attuazione del Titolo V, né si può in parlamento esitare nel portare avanti la legge sul federalismo fiscale», per dare forza «al nuovo regionalismo come nuova forma dell’unità nazionale». [7]
«Il federalismo fiscale deve partire dall’obiettivo di finanziare ciascun livello con quote di gettito dei tributi erariali e con tributi propri. Chi spende deve avere anche la responsabilità di reperire le risorse a carico dei propri cittadini», spiegava due anni fa Linda Lanzillotta, ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie locali nel Prodi II. [8] Il piano che Lega e Pdl giurano di voler avviare entro un paio di mesi metterebbe nelle mani di regioni ed enti locali il 38 per cento delle entrate fiscali totali. [3]
Studiato da Rosi Mauro, donna di fiducia di Bossi, il progetto parte da una spartizione ben chiara. Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda: «Alle regioni dovrebbe essere consegnato il 15 per cento delle entrate da Irpef e l’80 per cento dell’Iva». Ma anche - secondo il progetto - il cento per cento degli introiti che i contribuenti del territorio versano come accise sulla benzina, imposte sui tabacchi e imposte sui giochi. Fatte le somme e ripartite le quote il ”montepremi” del federalismo fiscale totalizzerebbe 162 miliardi di euro. [3]
Il tesoro andrebbe spartito in base alla logica del ”chi più dà più riceve” alla quale la Lega è molto sensibile, anche perché la stessa Lombardia è prima nel dare e ultima, in proporzione, nel ricevere (ai 9.434 euro di imposte versati pro-capite farebbero da contraltare i 1.750 euro pro-capite restituiti dallo Stato alla regione). Luisa Grion: «Onde evitare feroci dislivelli, entrerebbe in funzione un meccanismo di correzione che ridistribuisca risorse dalle terre più ricche verso quelle più povere: per il solo fabbisogno sanitario, il cosiddetto fondo perequativo nazionale o federalismo solidale di cui ha già parlato Berlusconi dovrebbe aggirarsi sui 13 miliardi di euro». [3]
Problema: i movimenti territoriali che hanno dato un contributo fondamentale alla vittoria elettorale sono due. Oltre alla Lega Nord c’è il Movimento per l’autonomia di Lombardo. Tito Boeri: «La Lega chiede un federalismo fiscale che non concede nulla ai trasferimenti alle Regioni del Sud: nel suo programma il 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali dovrebbe rimanere nei territori che li generano. L’Mpa chiede, invece, di ”trattenere” le accise sulla benzina raffinata (non venduta) in Sicilia. Equivale a un trasferimento aggiuntivo di quasi un miliardo alla sola Sicilia. Difficile conciliare queste richieste». [9]
Paradossalmente il Berlusconi IV, votato alla risoluzione del nodo del federalismo fiscale, inaugurerà le proprie attività con l’abolizione totale dell’Ici, l’unica vera tassa locale oggi esistente. Boeri: «Auguriamoci che non si continui con il federalismo all’italiana, decentramento di capacità di spesa e accentramento di prelievo, quello che ci porta oggi a destinare un quarto del bilancio dello Stato ai trasferimenti a Regioni ed enti locali». [9]
Un italiano su due odia l’Ici, la ritiene la più iniqua delle tasse e va in bestia quando la deve pagare. Paola Pilati: «I comuni, che sono i destinatari dell’Ici, e che su questa tassa che vale in totale 9 miliardi l’anno, di cui 3 solo dalla prima casa, basano di fatto il 70 per cento delle loro finanze, chiedono in alternativa una maggiore compartecipazione all’Irpef. Cosa vuol dire? Che lo Stato deve rinunciare a una parte della sua fetta di tasse sulle persone fisiche a loro vantaggio, oppure che vogliono aumentare l’addizionale con cui da quest’anno gli enti locali hanno gravato sui redditi dei lavoratori dipendenti? In altre parole: lo sgravio dell’Ici sulla prima casa lo pagheranno alla fine i soliti lavoratori dipendenti?». [10]
Vive nella casa di proprietà l’80 per cento di chi guadagna più di 30 mila euro (secondo dati della Banca d’Italia), e l’85 di quelli che guadagnano sopra i 40 mila, contro il 40 per cento di chi ha un reddito familiare sotto i 10 mila. Pilati: «In questa fascia di reddito più bisognosa, infatti, è molto diffuso l’affitto (il 43 per cento di questi nuclei famigliari paga una pigione), e quindi dello sgravio dell’Ici non se ne fa nulla. A conti fatti, il provvedimento appare più populista che popolare. L’altro fattore di cui evidentemente i politici pro taglio hanno tenuto conto è quello geografico». Secondo il centro studi Cresme, in Lombardia si concentra il 15 per cento del patrimonio immobiliare del Paese. Di più: tra Nord-ovest e Nord-est c’è la metà dei 22 milioni di prime case italiane. [10]