Corriere della Sera 17 aprile 2008, Sergio Romano, 17 aprile 2008
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Biografia di Luigi Credaro
Lettera. L’EDUCATORE LUIGI CREDARO UN ITALIANO D’ALTRI TEMPI Corriere della Sera 17 aprile 2008 Mentre parlavo con alcuni amici della lotta contro l’analfabetismo e delle condizioni della scuola in Italia, qualcuno ha menzionato il nome di un ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Credaro, a cui si devono i progressi fatti dall’Italia prima della Grande guerra. Confesso che non lo conoscevo. Fu davvero così importante? Alessandro Corsaro Pavia
Caro Corsaro, Luigi Credaro è molto ricordato a Sondrio perché fu deputato radicale della Valtellina nell’era di Giolitti e non smise mai di seguirne attentamente i problemi soprattutto agricoli. Ma fu un protagonista della politica nazionale dalla fine dell’Ottocento all’avvento del fascismo, e del mondo accademico sino alla morte nel 1937. Credo che meriti di essere ricordato per almeno due ragioni. In primo luogo la sua vita fu una bella pagina dell’Italia unitaria, una storia che sarebbe bene ricordare soprattutto nelle scuole e nei circoli in cui va di moda parlare male del Risorgimento. Nacque nel 1860 in una famiglia di contadini da una madre analfabeta e arrivò a Pavia, per iscriversi all’università, con le scarpe grosse dei montanari. Ma prese una laurea in filosofia nel 1885, fece studi di perfezionamento a Lipsia, insegnò filosofia nei licei e scoprì rapidamente che la sua vera vocazione era la pedagogia, di cui divenne professore a Roma sin dal 1901. Fu filosofo quindi al modo in cui lo furono tutti gli intellettuali, positivisti o idealisti, agli inizi del Novecento. Non volevano soltanto scrivere libri e conquistare per se stessi una reputazione accademica. Volevano formare il «cittadino», contribuire all’educazione del popolo e al progresso della nazione. Per un positivista democratico e massone come Credaro la politica fu uno sbocco naturale, la continuazione della missione pedagogica con altri mezzi. Quando divenne ministro della Pubblica istruzione nel governo Giolitti del 1910 si dedicò soprattutto alle scuole elementari. In un profilo biografico apparso qualche anno fa sul Notiziario della Banca popolare di Sondrio, Arturo Colombo ricorda che nel 1909, al IV Congresso del partito radicale, Credaro aveva detto: «Senza educazione popolare, senza cultura seria, universale non può sussistere governo democratico. Questo è vero per tutti i tempi, questo è tanto più vero pel nostro tempo e pel nostro Paese». Fece insieme a Edoardo Daneo una legge sull’istruzione, soprattutto primaria, che rimase per molto tempo un pilastro del sistema educativo italiano, e s’impegnò perché il sindacato degli insegnanti difendesse, oltre che gli interessi della categoria, la dignità e la funzione nazionale di coloro che ne facevano parte. Vi è una seconda ragione per cui il ministro della Pubblica istruzione del governo Giolitti merita di non essere dimenticato. Come ricordò Fabio Rugge a un convegno che si tenne a Sondrio quasi dieci anni fa, Credaro fu un uomo di transizione. Quando entrò in politica, alla fine dell’Ottocento, la Camera dei deputati era ancora prevalentemente composta da «notabili », vale a dire da persone elette soprattutto per la notorietà di cui godevano nelle città o nelle province da cui provenivano. Anche Credaro fu un notabile valtellinese. Ma appartiene già a quella schiera di uomini pubblici, dotati di una particolare competenza (oggi li chiameremmo tecnocrati), che fecero la loro apparizione negli anni in cui gli Stati cominciarono a estendere la rete delle loro competenze e dei loro interventi. Per molti aspetti Credaro annuncia una fase della politica italiana, da Nitti a Mussolini, in cui il governo, anche quando è prevalentemente composto da professionisti della politica, ha bisogno di esperti informati, intelligenti e illuminati. Fu questa la ragione per cui Credaro, dopo la fine della Grande guerra, divenne commissario generale nelle «terre liberate » del Trentino Alto Adige. Conosceva il tedesco e l’agricoltura di montagna: due doti che dovettero facilitare il suo compito. Con il fascismo non potevano esservi né intesa né collaborazione. Ma Credaro era ormai al Senato da dove poté continuare a manifestare le sue opinioni soprattutto sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa. E il regime, dal canto suo, ebbe il buon senso di lasciare che continuasse a insegnare la sua amata pedagogia nell’università di Roma. Fu sempre convinto che il progresso passasse attraverso l’educazione e che il suo compito, nella vita, fosse quello creare il maggiore numero possibile di cittadini italiani. Arturo Colombo ha trovato una lettera alla moglie in cui scrisse: «La vita non è un paradiso, è un dovere; e l’unico paradiso che esista è la soddisfazione della coscienza, il sentimento della propria dignità, della propria indipendenza». Sergio Romano