varie, 29 marzo 2008
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Oe Kenzaburo
• Shikoku (Giappone) 31 gennaio 1935. Scrittore • «[…] uno scrittore gentile e determinato che ha trascorso la vita a combattere gli estremismi sociali e culturali del Giappone. Nel Paese capace di venerare ancora l’onore dei guerrieri di ogni battaglia — passata e futura — così come è capace di perdersi nell’incanto dei sakura — i fiori rosa che a fine marzo esplodono all’unisono nei parchi cittadini — un tribunale ha decretato che Kenzaburo [...] premio Nobel per la letteratura nel 1994, non ha offeso il buon nome dell’esercito imperiale. Sotto processo era finito il suo saggio Note su Okinawa, scritto nel 1970 per raccontare l’orrore patito dai nativi dell’isola finita sotto il “tifone d’acciaio” degli americani poco prima che terminasse la Seconda guerra mondiale: stretti tra incudine e martello, molti degli abitanti (di etnia non giapponese) erano stati costretti al suicidio dai militari del Tenno per non finire nelle mani del nemico. Una verità, questa, nascosta per decenni sotto lo zerbino della Storia: come ammettere che gli ufficiali e i soldati giapponesi avessero “consigliato” donne e bambini, adolescenti e vecchi, di farsi saltare per aria con una bomba a mano (il film di Clint Eastwood Lettere da Iwo Jima ne dà un riscontro agghiacciante), o di gettarsi dalle scogliere a picco sull’oceano piuttosto che consegnarsi a “mostri” capaci solo di stuprare e uccidere? Kenzaburo Oe aveva osato farlo quando il suo Paese ancora spingeva per riesumare il passato, pensiamo alle pagine piene di culto superomistico di un Mishima, o alle nostalgie per la “tradizione autentica” espresse da autori come Kawabata e Tanizaki. La versione “indecente” del premio Nobel — esponente, insieme a Kobo Abe, della generazione dei “contestatori” — era finita persino nei libri di scuola. E per questo, nel 2005, due veterani lo avevano denunciato per diffamazione (“noi non abbiamo mai ordinato ai civili di suicidarsi”, hanno dichiarato gli ex ufficiali Yutaka Umezawa e Hidekazu Akamatsu) chiedendo 20 milioni di yen (130 mila euro) di risarcimento. Un anno fa, il ministero dell’Educazione di Tokio aveva pensato bene di anticipare i giudici ordinando di eliminare le pagine controverse dai sussidiari, decisione poi rimangiata per la reazione degli isolani, scesi in piazza in centomila. Infine, la Corte distrettuale di Osaka [...] ha stabilito che Oe non ha diffamato nessuno. “Ci sono fondati motivi — ha dichiarato il presidente del tribunale Toshimasa Fukami — per ritenere che i militari si siano resi responsabili di tali atrocità” a Okinawa e nelle isole vicine. Non solo: “È ragionevole dire che il libro (di Oe, ndr) presenta testimonianze razionali e prove” di quanto accaduto, “anche se non è possibile determinare se i due promotori della causa abbiano personalmente ordinato suicidi di massa”. Particolare, questo, che non cambia il senso della sentenza. Accolta con sollievo dallo stesso Kenzaburo Oe in una conferenza stampa a Tokio: “Sentivo con forza che il giudice avrebbe letto attentamente il mio saggio: per darmi ragione”, ha detto il premio Nobel sottolineando la sua fiducia nella “giustizia”. Il sorriso dell’autore di Un’esperienza personale (1964), Il grido silenzioso (1967) o Insegnaci a superare la nostra pazzia (1969) — romanzi che partono da un dato di cronaca personale, la nascita di un figlio gravemente handicappato, per scagliarsi contro le convenzioni e i valori di un Paese proteso acriticamente verso un futuro che non ammette “debolezze” — sottolinea forse il passaggio del Sol Levante dalla cultura dell’omologazione acritica (meglio non discutere del passato se è controverso) all’accettazione della cultura del confronto costruttivo (anche gli emarginati hanno una voce), clima fecondo sottolineato politicamente dal fallimento del neo-nazionalista Shinzo Abe. [...]» (Paolo Salom, “Corriere della Sera” 29/3/2008).