Il Manifesto 14 marzo 2008, MA. FO., 14 marzo 2008
Benzina e carne per tutti, l’ultima mossa del regime. Il Manifesto 14 marzo 2008. Bisogna ringraziare le elezioni, e anche l’imminente Nowruz, il capodanno iraniano (cade il 20 marzo): da lunedì si potrà acquistare benzina fuori dal razionamento, a mercato libero, «per venire incontro a chi si metterà in viaggio per le feste»
Benzina e carne per tutti, l’ultima mossa del regime. Il Manifesto 14 marzo 2008. Bisogna ringraziare le elezioni, e anche l’imminente Nowruz, il capodanno iraniano (cade il 20 marzo): da lunedì si potrà acquistare benzina fuori dal razionamento, a mercato libero, «per venire incontro a chi si metterà in viaggio per le feste». L’ha annunciato ieri il governo, insieme all’arrivo di stock di carne, uova e polli a prezzo calmierato: gesto tempista, perché l’inflazione, che viaggia ufficialmente sul 20% su base annua (ma i consumatori sono convinti che sia più alta), è l’argomento dominante di questa vigilia elettorale. Oggi gli iraniani andranno alle urne per rinnovare il Majlis, il parlamento nazionale: 43 milioni di aventi diritto al voto, di cui circa la metà nati dopo la rivoluzione che ha dato vita alla Repubblica islamica. Potranno scegliere tra un gran numero di liste che rappresentano correnti, associazioni politiche: il nome «partiti» è spesso usato, ma è improprio. Eleggeranno 290 deputati, e la consultazione è considerata da molti una sorta di esame per il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad e dei due anni e mezzo del suo governo - un test per le presidenziali del 2009. La competizione principale si gioca nel campo conservatore, diviso in diverse liste che rivelano una profonda spaccatura tra i «fondamentalisti», come usa definirsi con orgoglio l’ala più dura del regime. Ma se nel giugno 2005 questi erano stati compatti nel sostenere Ahmadi Nejad, uscito dai quadri intermedi delle Guardie della Rivoluzione, questa volta ci sono importanti defezioni. Certo, si presentano sotto il comune ombrello della «Coalizione unificata dei fedeli ai principi», o «principalisti», ma dentro ci sono almeno tre diverse liste. Dalla corrente vicina al presidente si sono distaccati alcuni nomi di rilievo: il più notevole è quello di Ali Larijani, l’uomo che rappresenta la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, nel Consiglio di sicurezza nazionale e Ahmadi Nejad aveva scelto come capo negoziatore nucleare (ma ha lasciato il posto dopo una rottura con il presidente, l’estate scorsa). Larijani, figlio di un Grande Ayatollah, ora è l’ispiratore di una lista definita con uno strano neologismo: i «fondamentalisti progressisti», in cui sono confluiti altri illustri ultraconservatori come l’ex comandante delle Guardie della Rivoluzione Moshen Reza’i. Significativamente, lo stesso Larijani è candidato a Qom, dove il suo nome è stato voluto dalla Società del clero e dei teologi (conservatrice: esiste un’Associazione del clero più vicina ai riformisti). Ed è là che ha tenuto un fervente comizio di chiusura, mercoledì sera, con parole dure per il presidente Ahmadi Nejad e la sua inutilmente provocatoria retorica. La città delle grandi scuole teologiche rivoluzionarie offre sprazzi interessanti sulla battaglia di potere in corso in Iran. Anche se il clero di Qom ha chiaramente perso parte della sua influenza - a favore della classe militare, rafforzata dall’ascesa di Ahmadi Nejad - rimane la fonte di legittimazione necessaria del potere, nel sistema della Repubblica Islamica. E però il clero è diviso, e anche qui la formazione dele liste elettorali è stata una lotta al coltello: molti, anche tra i teologi fondamentalisti, sono allarmati dai suoi accenti messianici: la pretesa di un’ispirazione diretta del Dodicesimo Imam (di cui gli sciiti attendono l’avvento) suona sacrilega ai dottori della chiesa. Benché siano nella stessa lista, Larijani concorre dunque con un candidato voluto dall’ayatollah Mezbah-Yazdi, ultraconservatore, mentore di Ahmadi Nejad, fautore di uno stato islamico senza gli orpelli democratici della «repubblica». Negli ultimi due giorni qualche segno di animazione ha scaldato una campagna elettorale «fredda», almeno a Tehran: compresi gli sms che invitano a «non ripetere l’errore del 2004: andiamo a votare, non lasciamogli tutto il campo». I riformisti tentano di rientrare nel Majlis almeno come minoranza vocale. Mohsen Mirdamadi, presidente di Mosharekat («Partecipazione»), il maggiore «partito» riformista, ha dichiarato di considerare queste elezioni scorrette e non trasparenti: «Due seggi parlamentari su tre sono di fatto già assegnati, per mancanza di competizione», ha spiegato; i riformisti hanno candidati in appena cento collegi su 290. « la prima volta che la commissione elettorale e quella di controllo sono dominatre dallo stesso campo», ha concluso. MA. FO.