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 2008  marzo 14 Venerdì calendario

Le confessioni di Bruno Vespa. Libero 14 marzo 2008. Un tavolo di formica, un armadietto zoppo e due poltroncine bianche di similpelle trapuntata, cugine poverissime delle Frau di Porta a Porta

Le confessioni di Bruno Vespa. Libero 14 marzo 2008. Un tavolo di formica, un armadietto zoppo e due poltroncine bianche di similpelle trapuntata, cugine poverissime delle Frau di Porta a Porta. Non un quadro, niente tappeti, nemmeno mezza tenda. Qui tutto sembra, meno che lo studio del presidente del "terzo ramo" del Parlamento. «Visto il lusso in cui viviamo alla Rai?», ironizza Bruno Vespa con orgoglio, aprendo il maniglione antipanico che dà su un corridoio da ospedale. Al secondo piano di viale Mazzini 114 l’orologio si è fermato al 1990, quando Vespa era direttore del Tg1: un televisore a tubo catodico con annesso videoregistratore Vhs è il pezzo forte dell’arredo. Unico segno dei tempi attuali, un block notes gigante sulle puntate di Porta a Porta, con data, ospiti, share e ascolti segnati a pennarello. I presidenti di Camera e Senato restano in carica al massimo cinque anni. Quanto dura la legislatura nel "parlamentino" di via Teulada? «Ho chiesto al Padreterno "l’emendamento Biagi"». Sarebbe? «Spero che mi faccia lavorare fino a quando ha lavorato il grande Enzo e spero che la "Camera" di Porta di Porta non venga sciolta prima». Nel Consiglio d’amministrazione Rai ci hanno provato in tutti i modi a scioglierla. «Non si può pretendere di piacere a tutti. Resta il fatto che questa trasmissione rende quattro volte ciò che costa e sta facendo ascolti sorprendenti in campagna elettorale anche quando non ha le star». Quanto costa una puntata di Porta a Porta? «45.000 euro. Un filino meno dei 90 milioni che costava quando c’erano le lire. Tutto merito di Claudio Donat Cattin, il vicedirettore di Raiuno che ha la sovrintendenza, e di Giovanna Montanari, la produttrice esecutiva, che sono bravissimi a far quadrare i conti. Anch’io, nel mio piccolo, quando ero direttore del Tg1 non ho mai sgarrato di un centesimo». Fosse per Nino Rizzo Nervo e Sandro Curzi, Porta a Porta avrebbe già chiuso. Da 1 a 10 quanto li odia? «Io non odio nessuno. Poi di Sandro mi considero un vecchio amico. Sono su posizioni diverse, però credo che anche loro apprezzino certi risultati». L’ultimo blitz lo hanno tentato con Benigni. «Sono stato io, quando si ipotizzava una serata culturale, a dire: se Benigni volesse fare un ciclo, non avrei nulla da obiettare. E sono stato felicissimo che lo abbia fatto». Dicono che "Dante Benigni" costi il doppio di Porta e Porta e faccia la metà degli ascolti. «Per la verità, Benigni costa nove volte Porta a Porta e fa sensibilmente meno ascolti. Ma l’arte non ha prezzo». Anche nel Tg1 svariati suoi vecchi nemici ambirebbero a strapparle la seconda serata. «Ma il Tg1 ha già Tv7 e Speciale Tg1. Tutti possono avere aspirazioni legittime, ma poi bisogna vedere se le cose le sanno fare come le fai tu». Parliamo dei suoi rapporti con i direttori del Tg1 venuti dopo di lei. Giulio Borrelli. «Non è che ci adorassimo, ma c’era un rapporto di collaborazione. Gli scontri li avemmo quando ero io direttore del Tg1. Quando lo è diventato lui, tra noi c’è stata una ragionevole convivenza». Gad Lerner. «Nel periodo brevissimo in cui ha diretto il Tg1 fu incredibilmente collaborativo». Carlo Rossella. « un amico. Gli invido la capacità di promettere tutto a tutti e di farsi credere. Io pagherei le sue lezioni chissà quanto. fantastico». Clemente Mimun. «Con lui c’è stato un rapporto molto stretto. Ma io ho collaborato con tutti. Anche con Riotta non ci sono problemi. Caratterialmente Gianni è uno che tende alla mediazione, nel suo tg e nei rapporti con noi». E che ne pensa di Riotta anchorman? «Sogno di togliermi la giacca anch’io un giorno, ma ancora non ci riesco». Secondo lei, chi vincerà le elezioni? «Io sono sempre quello del giorno dopo. Mai dire niente prima delle elezioni. I sondaggi dicono che vincerà Berlusconi. Ma anche l’altra volta dicevano che avrebbe vinto Prodi. Meglio essere cauti». Chi ha votato alle ultime elezioni? «Nemmeno mia moglie sa per chi voto. Mio figlio impazzisce su questa storia. Mi fa degli interrogatori, mi tende delle trappole, ma io non ho mai mollato». Quindi è inutile chiederle per chi voterà stavolta? «Inutile». La sinistra la accusa di essere filo-Berlusconi. «Non è frequente che un moderato abbia lo spazio che ho io. un’eccezione in Italia. Capisco che ci sia qualche difficoltà ad accettarlo». Non sarà stato un caso che il Cavaliere abbia scelto Porta a Porta per presentare il contratto agli italiani. «Era la trasmissione che tecnicamente si prestava di più». Lei ha rispolverato la scrivania di ciliegio su cui Berlusconi aveva siglato il vecchio contratto. Ma dicono che lui non abbia gradito, perché pensa che quella scrivania gli porti sfiga. «Al contrario. Ha detto: "Tornerò a firmare il contratto perché mi porta bene". Ero pronto ad offrire la scrivania anche a Benigni perché ci si rotolasse sopra, ma non è venuto». In passato l’hanno accusata di aver usato la cronaca come "toppa" sui fatti politicamente più imbarazzanti per Berlusconi. Quando arrivò la condanna di Previti lei fece una puntata sul Viagra. «Quando ci fu il processo feci una puntata con Previti e successe l’inferno». Quando fu condannato Dell’Utri lei parlò di calcioscommesse. Quando alle suppletive il centrosinistra vinse 7 a 0 dedicò Porta a Porta all’Isola dei famosi. «Quando l’Ulivo vinse le Regionali del 2005 il nostro titolo fu: 11 a 0». Si è difeso dall’accusa di faziosità definendosi "equi vicino". «Io credo che la cortesia non c’entri con le domande. Nella prima intervista che feci a Berlusconi nel ’94 mi ricevette a via dell’Anima in tuta e si fece riprendere mentre studiava il programma di governo gli dissi che mi sembrava surreale che il suo sottopancia fosse "presidente del Consiglio dei ministri", essendo lui l’uomo delle televisioni. Le prime domande sul conflitto d’interessi gliele ho fatte io al Cavaliere». E lei non si sentì in conflitto d’interessi quando sua moglie, il magistrato Augusta Iannini, fu assunta dall’ex guardasigilli Castelli al dipartimento Affari Penali della Giustizia? «A parte che è stata confermata da Mastella, ma perché conflitto d’interessi?». Sua moglie entrò a far parte del governo. «Mia moglie è rimasta un magistrato. In Francia abbiamo avuto giornaliste televisive mogli di ministri. Ben altri sono i conflitti d’interesse ideologici tra i magistrati». Non si sente in conflitto nemmeno pubblicando un libro l’anno con Mondadori e scrivendo per Panorama? «Io sono uno dei pochi che dà i soldi a Berlusconi invece che prenderli». E come glieli dà? «Con i diritti. Quando lui mi chiede: "Come va il libro?", io gli rispondo: «Per me bene, per lei benissimo, presidente. E sono orgoglioso di dargli la paghetta». Lei collabora con molti quotidiani. «Sì». Perché a Porta a Porta invita quasi solo i direttori dei giornali per cui scrive? «Sono solo una minoranza, io li invito tutti. Non è colpa mia se i giornalisti di Repubblica vorrebbero venire, ma l’amministratore delegato, Marco Benedetto, non glielo consente. Tranne Mario Pirani, che se ne frega e viene, gli altri che ho invitato mi hanno risposto che Repubblica non li vuole mandare». Addirittura? «Successe un caso clamoroso con Edmondo Berselli: era in viaggio verso gli studi di Porta a Porta, ma fu bloccato perché l’amministratore delegato gli disse di non venire. L’ultimo caso è stato quello di Giovanni Valentini. Siccome lui è l’autore di punta sul conflitto d’interessi, con Berlusconi era perfetto. Lui aveva accettato, credo che Ezio Mauro non avesse nulla da eccepire, ma Benedetto pose il veto». Quanto guadagna lei al mese? «Bene. Quando vedo le denunce dei redditi sono un po’ imbarazzato». Prova imbarazzo per quanto è ricco? «Non per quello che guadagno io, ma per quello che omettono gli altri». A quanto ammonta il suo gettone di presenza quando va a moderare un dibattito? « all’altezza del mercato. Sto scoprendo che alcune signore prendono di più. Comunque, e ormai è noto, una quota di quello prendo va in beneficenza». Non è vero, forse, che il suo assegno vale il doppio della quota devoluta in beneficenza? «In alcuni casi do l’intero importo, in altri la metà, in altri un terzo, in altri ancora nulla. Molto dipende dalla disponibilità dei committenti». Si sente ingabbiato dalla par condicio? «Se la par condicio serve a garantire la presenza a tutti, mi pare giusto. Ma che debba bloccare una campagna elettorale, mi pare una follia. Come si può pensare che in una trasmissione un partito che non ha nessuna rappresentanza parlamentare debba avere lo stesso spazio di Veltroni e Berlusconi?». Quindi la legge andrebbe rivista? «Sì». Perché non ci ha ancora regalato i faccia a faccia che tutti vorrebbero vedere? Fini-Santanchè, BerlusconiDi Pietro, Casini-Fini... «Perché per fare i faccia a faccia, oltre al moderatore, ci vogliono i duellanti». Sta dicendo che lei glielo ha proposto e loro non hanno accettato? «Ci ha pensato il presidente della Vigilanza Rai a tagliare la testa al toro, dicendo no ai confronti». Ma non tutti sono candidati premier. «Mi sono trovato in una condizione imbarazzante. Io vorrei farli i duelli, ma il presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi, non vuole». Quando le è venuto il pallino del giornalismo? «Quando avevo 15 anni, a L’Aquila, mi chiesero di collaborare con "Ju raschiu", il graffio. Ma non sapevo parlare in dialetto, quindi scrivevo articoli noiosissimi sugli aquilani illustri. Era un giornale di prima della guerra rilevato da un mio amico che l’anno dopo mi portò al Tempo». Com’era lei prima di diventare giornalista? «Forse un po’ serioso... un po’ troppo... sì. Dovessi rinascere, sarei molto più trasgressivo». Non giocava mai? «Ho cominciato presto a giocare a tennis. Mi regalarono una racchetta alla prima comunione. Poi presi a frequentare il circolo del tennis, dove era proibito portare anche un solo calzino che non fosse bianco». Ricorda la prima fidanzata? «A sei anni litigai selvaggiamente con un amico per una bambina di nome Clorinda: fu un vero duello d’amore di cui credo lei sia tutt’ora orgogliosa». Quando era al Tempo, lei fu il primo inviato di un giornale non sportivo a seguire il rugby. A L’Aquila. «La squadra de L’Aquila era fortissima. Il rugby era veneto e noi partivamo in autobus il sabato mattina. Non c’era ancora l’autostrada e ci fermavamo a mangiare i tortellini a Reggello. E tornavamo a L’Aquila, dopo la partita, alle tre di notte». Cominciò a collaborare con la Rai, alla radio, nel ’62. «Ricordo ancora il 1 settembre ’62: il primo intervento telefonico, avevo 18 anni. Mi ero appena diplomato al liceo. Chiamai la radio, rispose una donna: "E questo chi è?". Aveva una voce! Mamma mia... Una sirena. Mi innamorai perdutamente di questa stenografa senza averla mai vista. Tutti mi dicevano che era meglio così. Resistetti per dieci anni, poi la conobbi: avevano ragione loro». Lei è uno dei pochissimi in Rai ad essere entrato tramite concorso nazionale. «Il concorso del ’68 per radiocronisti e telecronisti era aperto sia agli interni che volevano migliorare che agli esterni, come me». Oggi in Rai si entra solo tramite raccomandazione? «No, per precariato. Nessuno di quelli che lavorano a Porta a Porta è arrivato tramite raccomandazione. Prima di prenderli io non li voglio nemmeno incontrare. Voglio vedere una cassetta con quello che hanno fatto. Una ragazza mi ha fermato all’Ikea con mia moglie e mi ha chiesto: "Posso lavorare con lei"?». E l’ha assunta? «Le ho detto: "Mandami una cassetta". Me l’ha mandata e le ho fatto un contratto. Ai miei dico sempre: non so per chi votate, fate in modo che non me ne accorga. Loro sanno che se sgarrano chiudono, perché a noi non perdonano niente». Mai ricevuto una chiamata da un politico per far assu- mere l’amica o l’amica dell’amico? «Mai avuta nessuna pressione». Nemmeno una segnalazione? «Qualche volta, con molto pudore, ma sono persone che cadono perché non hanno nessun titolo. Il mio corso andò bene perché scelsero degli animali da cronaca. E siamo rimasti dei cronisti. Ancora oggi la cronaca è la cosa che mi piace di più». Più della politica? «Mi piace la politica quando è cronaca. Nell’’89, quando ero a capo dei servizi speciali e mi promossero al video delle otto, perché il mio posto serviva ai socialisti, io andai molto mal volentieri». Nel ’90 divenne direttore del Tg1 e disse spudoratamente: «Il mio editore è la Dc», non i telespettatori. «L’editore della Rai è il Parlamento. Dopo 40 anni di Rai dico: meglio un editore politico, perché è più trasparente, che privato. Divenni direttore del Tg1 perché si disse che ero il più titolato, ma se il segretario della Dc avesse detto: "Vespa mai", non lo sarei diventato. Però non andai mai a piazza del Gesù». I suoi ex redattori la ricordano come un direttore bravissimo, ma umanamente distante. «Forse è vero. Io sono capace di grandissimi slanci, ma anche di grandi arrabbiature». Quando scoppiò Tangentopoli, fece il giro della redazione minacciando: "Se qualcuno mi fa prendere un buco lo piglio a calci". « verosimile». Mai preso un buco quando dirigeva il Tg1? «Non c’è stata una notizia che non abbiamo dato». stato il primo a portare le donne al Tg1. «All’edizione delle 13,30. Ma la gratitudine...». Furono proprio le donne a "defenestrarla" dal Tg1. «Ma tutte, tranne una, poi mi hanno detto di essersi sbagliate». Nessun rancore? «Mannò... la vita poi ti rende giustizia sempre. Quando mi dimisi da direttore, e stupidamente lo feci senza trattare niente, mi fu ridotto lo stipendio». E lei non protestò? «Certo, ma... Gianni Pasquarelli ha ancora qualche complesso di colpa nei miei confronti, anche perché doveva darmi una prima serata e non me la dette. Io fui epurato per un anno e mezzo». Esagerato. «Quando ci furono le bombe a piazza San Giovanni, nel ’93, io capitai per caso lì perché ero andato a trovare Ruini. E fui l’unico testimone dell’incontro Papa-Scalfaro. Lì sulle macerie eravamo in quattro: il capo della polizia Parisi, il presidente della Repubblica, il Santo Padre e io. Corsi in redazione chiedendo di fare il pezzo. Mi risposero: "Sì, a patto che non si veda la tua faccia". Ma quando pensavano di avermi sepolto sono resuscitato con Porta a Porta». Com’è nata? «Per caso. Vado a seguire la prima udienza per il processo Andreotti a Palermo. Entro in un albergo e vedo uno spot in tv: seconda serata Carmen Lasorella». E sviene. «Scopro che lei ha ottenuto cinque serate. Allora vado da Letizia Moratti, presidente della Rai, e le dico: io mi devo cercare un posto. Così, ne dettero tre a Carmen e due a me. E nacque quest’idea, morta in partenza». Perché morta? «Erano i tempi di Samarcanda. La politica voleva il sangue. Su Raiuno, tutta perbenino, la politica non poteva funzionare. Infatti Pippo Baudo, che era il direttore artistico, e Brando Giordani, direttore di rete, mi dissero: "Cerca di non fare meno del 10-11%». E invece? «Facemmo il 18%. Antonella Martinelli portò la colonna sonora di "Via con Vento". Io inventai il nome Porta a Porta e il campanello». I suoi ex colleghi del Tg1 la mettono giù un po’ più greve: «Vespa è un paraculo: è stato il primo ad aver por- tato la "gnocca" nel talk show». «Prima puntata: Romano Prodi, e venne Milly Carlucci: record di ascolti. Seconda puntata senza "gnocca", D’Alema-Berlusconi, e fu la morte del governo Maccanico. Terza puntata, Gianfranco Fini. Quando entrò Valeria Marini Repubblica fece la ribattuta, successe il finimondo». La "gnocca" porta fortuna? «A volte sì, dipende dai momenti». Che giudizio dà degli altri conduttori di talk-show? «Michele Santoro è il mio opposto, lui fa una tv militante. Va preso così, chiavi in mano». Giovanni Floris? «Fa una tv schierata, non tanto negli ospiti quanto nel taglio e nei servizi, ma più aperta al pluralismo. Una tv di sinistra, ma fatta con garbo e bravura». Milena Gabanelli? «Una brava cronista, ma l’ufficio legale con me sarebbe stato un filino più duro». Enrico Mentana. «Mentana è bravo». Che rapporto ha con sua nipote? «Oddio, e chi è mia nipote?». Alessandra Mussolini. Sostiene che lei sia suo zio. «Ahhh! La mia nipotina? Con lei ho un rapporto di scena. la grande attrice della politica. Un set vivente. Non fai nemmeno in tempo ad accendere il cerino che già si è incendiata». La Mussolini ha detto: «Quando si sono incontrati con mio padre, si sono abbracciati con amore». «Invenzione pura, non ci conoscevamo nemmeno». Eppure lei somiglia così tanto al Duce. «Dice?». La mascella littoria... «Il profilo». Anche le date coincidono. «Ci sono sei anni di troppo. Mia madre insegnò nel ’49 ad Assergi, il paese più vicino alla funivia del Gran Sasso, dove era detenuto Mussolini, che peraltro si trovava a Campo Imperatore». Quindi lei e Benito non si sono mai incontrati? «Ma se lui era morto da quattro anni!». La "Nipotina" però dice: «Non serve nemmeno il test del Dna. Zio Bruno è del ramo con i nei della famiglia Mussolini, io sono del ramo senza nei. Lui se li è fatti crescere apposta per depistare». Scoppia a ridere: «Confermo». Di nei ora non ne ha più. Ha deciso di fare outing tramite l’estetista? «Non li ho più?! E questi che sono?». Andiamo Vespa, ne ha molti ma molti di meno. «La dermatologa mi ha tolto alcune escrescenze, ma i nei ce li ho tutti. In tv non si vedono perché mi mettono la cipria». Le piace farsi bello. «Ma quando mai. La mia manicure russa mi dice sempre: "Quando viene a farsi la pulizia del viso?". Mai». pure dimagrito. Come ha fatto a perdere tanti chili? «Ho perso sette chili, nonostante la chiusura dell’ul timo libro e la partenza di Matrix, con una dieta». Come funziona la dieta Vespa? «Tè e due fette biscottate a colazione. E poi, mangio tutto, ma in porzioni molto ridotte. Però io sgarro». Tipo? «Se vedo un dolce mi ci tuffo. Sono un seguace di Wilde: si può resistere a tutto, ma non alle tentazioni. Dei sette chili ne ho ripresi due. Non va bene, anche perché la tv ingrassa». Non le viene mai a nausea la tv? «Se il pubblico non si stanca, perché dovrei stancarmi io? Mi pagano pure». un incarico a vita la presidenza della terza Camera? «In America gli anchormen dei tg hanno una durata media di 25 anni. Il mio vero editore è il Padreterno. Se poi lui decide diversamente...». BARBARA ROMANO