Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 14/3/2008, 14 marzo 2008
Mosul, la tragedia del vescovo Il Papa: «Violenza disumana» Trovato morto monsignor Rahho, sequestrato il 29 febbraio L’anziano prelato era malato di cuore
Mosul, la tragedia del vescovo Il Papa: «Violenza disumana» Trovato morto monsignor Rahho, sequestrato il 29 febbraio L’anziano prelato era malato di cuore. Nei giorni scorsi l’ultima telefonata dei rapitori ad uno dei suoi collaboratori Appena prima della guerra, nel febbraio 2003, a decine di migliaia i cristiani della regione di Bagdad erano fuggiti a nord, verso Mosul e le aree a ridosso delle province curde. Ma ora, con il ritrovamento del corpo senza vita dell’arcivescovo caldeo di Mosul, il 65enne Paulos Faraj Rahho, diventa tragicamente evidente ciò che sussurravano da tempo: non esistono più santuari sicuri per queste che sono considerate tra le più antiche comunità cristiane del Medio Oriente. L’intero Iraq è a rischio. Essere cristiani – non importa se caldei legati dalla Chiesa di Roma, assiri, greci ortodossi, armeni o protestanti – significa automaticamente trovarsi nel mirino dei fondamentalisti islamici, vittime indifese nello scontro fratricida tra curdi, sciiti e sunniti, o obiettivi preferiti dalla criminalità e dalle squadracce di sequestratori a caccia di riscatti, pagati magari da chi ha famigliari o amici fuggiti all’estero. Il calvario di monsignor Rahho è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di fatti drammatici. Era stato rapito il 29 febbraio, dopo aver celebrato la messa nella basilica di Mosul. I sequestratori non avevano voluto testimoni e avevano ucciso le due guardie del corpo e l’autista del prelato. «Attenzione, soffre di cuore, ha bisogno di medicine», avvisavano subito con appelli pubblici i responsabili della Chiesa locale. La stampa irachena aveva riportato voci che fosse stato chiesto un riscatto, prima di 2,5 milioni di dollari poi di 5, come ricordavano ieri sera le tv nazionali Al Iraqiya e Al Hurra. Difficile distinguere il vero dal falso, non è neppure chiaro se una trattativa fosse partita. Una delle tante speculazioni è che l’arcivescovo fosse stato venduto a una seconda banda. Ieri il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, ha comunque precisato che, sebbene non sia stata chiarita l’identità dei responsabili, questi, due giorni fa, si erano fatti vivi affermando prima che l’ostaggio stava molto male, poi che era deceduto ed era stato sepolto fuori Mosul. «Seguendo le loro indicazioni, alcuni nostri giovani hanno potuto individuare il luogo dove era stato sotterrato», ha detto Warduni. A un primo esame medico non sembra vi siano ferite sul corpo. «Rahho potrebbe essere deceduto per cause naturali già nella prima fase del sequestro, il cadavere mostrava segni di decomposizione», aggiungono fonti vicine al patriarcato di Mosul. Mentre si preparano i funerali ufficiali per questa mattina, da Roma giunge il cordoglio del Papa. « un atto di disumana violenza, che offende la dignità dell’essere umano e nuoce gravemente alla causa della fraterna convivenza dell’amato popolo iracheno», ha dichiarato Benedetto XVI. Tra i messaggi dalla comunità internazionale, anche Massimo D’Alema ha condannato «la barbara violenza di cui è stato fatto oggetto un uomo dedito a una missione spirituale e umana di grande valore». Proprio a Mosul e nella vicina Karakosh, culla del cenobitismo nel III e IV secolo dell’era cristiana, prima della guerra del 2003 i leader caldei e ortodossi ribadivano ai giornalisti occidentali che tutto sommato preferivano essere garantiti dalla dittatura di Saddam che non subire il caos che, a loro parere, sarebbe inevitabilmente seguito all’invasione americana. Col senno del poi, la sventura della loro profezia è stata più grave di quanto immaginassero. Da allora tantissimi tra il milione di cristiani iracheni (di cui circa 600 mila caldei) sono emigrati. Sembra che ne rimangano in Iraq meno di 400 mila. Decine di prelati sono stati rapiti, uccisi, torturati. Le chiese bruciate, devastate, abbandonate. «Riscatto» Secondo le tv irachene, negli scorsi giorni sarebbe stato chiesto un riscatto di 5 milioni di dollari Lorenzo Cremonesi (da Bagdad ha collaborato Waleed al Iraqi) Louis Sako Arcivescovo di Kirkuk «La Chiesa caldea tra pochi anni non esisterà più» DAL NOSTRO INVIATO ERBIL – «Una tragedia inumana, un’atroce offesa per tutti, musulmani e cristiani. Un Venerdì santo». Monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, dice di essere «senza parole » per la morte di Faraj Rahho, «un amico con cui ho vissuto per trent’anni a Mosul, un vescovo che ha dedicato l’intera vita al dialogo e alla conciliazione ». Ma di parole, in realtà, ne ha molte. Calibrate («La situazione qui è estremamente delicata»), lucide («La soluzione va cercata in Iraq»), comunque drammatiche («Siamo sotto attacco, sempre più cristiani se ne vanno, la nostra Chiesa scomparirà»). L’arcivescovo amico degli imam, con lauree e dottorati in patrologia (studio delle opere dei Padri della Chiesa), islamistica e storia, che parla molte lingue a partire dall’arabo (ovviamente) e dall’aramaico («la lingua di Gesù»), pensa che la morte di monsignor Rahho sia opera di «gente organizzata ». «Ma i loro motivi possono essere vari: politici, economici, religiosi. Un intreccio molto complicato come oggi sono Mosul e l’Iraq». Spiega: «Come gli attentati contro le nostre chiese in gennaio, ogni attacco è un messaggio. Ci dice: con chi state voi cristiani? Con gli sciiti, i sunniti, i curdi? O con gli americani e l’Occidente, che qui non sono percepiti come laici e con cui ci assimilano». Già, con chi stanno i cristiani d’Iraq? «La risposta non può che essere una – risponde ”. Con tutto l’Iraq democratico, basato sulla comune nazionalità e non su etnie o fedi, e privo di fanatismo, elemento che ci è storicamente estraneo, importato recentemente da altri Paesi ». Iran e Arabia saudita? «Anche». A peggiorare le cose, continua monsignor Sako, c’è il progetto recentemente lanciato da alcuni cristiani della diaspora, soprattutto negli Stati Uniti (e appoggiato da alcuni politici iracheni, qui in Kurdistan ad esempio) di creare un’enclave cristiana nella Piana di Ninive: una sorta di regione autonoma su base religiosa, a 30 chilometri da Mosul. «Sarebbe un enorme errore, pericolosissimo. Vorrebbe dire relegare i cristiani in un ghetto mentre devono essere ovunque, integrarsi com’è sempre stato. Anche se ovviamente nelle zone dove sono maggioranza, come Ninive appunto, è giusto che guidino le amministrazioni, ma questo è un altro discorso. Oggi, già solo parlare di questo progetto ci reca danno, i media do vrebbero ignorarlo e invece...». Invece è anche per i giornali e le tv del «nuovo Iraq», per i mille siti Internet che passa la disinformazione sui cristiani di questo Paese. «Qualcuno scrive che a noi vescovi arrivano montagne di soldi, dal Vaticano e non solo », si lamenta l’arcivescovo, sapendo quanto il miraggio di facili guadagni nutra invidie e rapimenti. «E poi c’è il fattore religioso: noi cristiani qui abbiamo da sempre una psicologia speciale, da minoranza. Relazioni buone con tutti. Perfino la relativa tolleranza nei nostri confronti sotto Saddam non si era ritorta contro di noi dopo la sua caduta. Ma ora il fanatismo religioso, unito ai motivi economici e politici, ci mette a serio rischio. L’Islam oggi ha un problema con la libertà, nel confrontarsi con la diversità. E tanti di noi se ne vanno». Degli oltre 800 mila cristiani presenti in Iraq solo cinque anni fa, oggi ne restano la metà. «Sono partiti per la Siria, la Giordania, ma la loro meta finale è l’Europa e l’America: tra cinquant’anni verranno assimilati dalle Chiese locali, e il nostro rito, il più antico del mondo, quello che usa ancora la lingua di Cristo, se va avanti così sparirà per sempre. Un peccato per noi, e per l’intero mondo». Che fare, allora? Il Papa, i governi stranieri hanno parole di dolore per monsignor Rahho, di preoccupazione per i cristiani iracheni. «Ma la risposta può venire solo da qui: dalla Chiesa irachena che deve essere più unita, parlare una sola lingua chiara, attenta, e forte, magari con una pastorale che ancora manca. I partiti cristiani devono fare lo stesso – dice monsignor Sako ”. Gli altri, a Roma, a Washington, nel mondo, possono solo aiutarci: incoraggiando i musulmani moderati che sono maggioranza ma hanno paura. Sostenendo il cammino dell’Iraq verso un futuro che appare oscuro e preoccupa. Sostenendo la nostra Chiesa, ormai così travolta dalla violenza». E sempre più esigua: a Mosul, dice monsignor Sako, sono rimasti oggi solo due giovanissimi preti. «Cosa faranno, ora che Rahho non c’è più?». Louis Sako Cecilia Zecchinelli Il cardinale Martino «Arabi senza più rispetto per i religiosi» «Cristiani in Iraq, vittime innocenti di una guerra infinita» «Il dialogo è più che mai necessario» Il presidente del Consiglio Giustizia e pace: «Se non ci fosse stato il conflitto, non piangeremmo tutti questi morti» CITT DEL VATICANO – «Se non ci fosse stata la guerra a Saddam Hussein non staremmo a piangere tutti questi morti. Con la guerra si voleva rimediare all’aggressività antioccidentale di quel dittatore ed ecco che si è ottenuta un’aggressività ancora maggiore che travolge i cristiani, benché iracheni, in quanto individuati come quinta colonna dell’invasore»: è il commento del cardinale Renato Martino, presidente del Consiglio Giustizia e pace, alla morte del vescovo caldeo di Mosul. Eminenza, la guerra non è ormai lontana? «Nient’affatto. A parte che i combattimenti non sono mai cessati, per la mentalità araba la guerra sarà presente finché saranno presenti le truppe americane. Io non posso che ripetere ancora una volta: se si fosse ascoltato Giovanni Paolo II che scongiurava tutti di non fare quella guerra!» Saddam Hussein non lasciava alternative all’uso della forza... «Non è vero! La Santa Sede disponeva di informazioni sicure sul fatto che Saddam era pronto ad accettare le condizioni dell’Onu. Le ispezioni stavano funzionando e sarebbe stato sufficiente attendere un mese ma non si volle questa attesa». Si direbbe che oggi sia più difficile di ieri essere cristiano in Iraq e in Palestina, ma anche in Turchia e in Libano... «Questo è forse l’aspetto del problema che più mi addolora. In passato nelle guerre del mondo arabo c’era quasi una consegna non scritta di rispettare gli uomini delle religioni, ma purtroppo ora quel rispetto non c’è più e si rapiscono religiosi e si violano sinagoghe, chiese e moschee». Le cose vanno dunque peggiorando? «Si direbbe che peggiorino rispetto a ogni secolo precedente. Questo fratello vescovo colpito ora era un caldeo: badi che i caldei sono in Iraq da sempre, da prima della conquista musulmana, discendono dai primissimi cristiani e sono sopravvissuti in ogni epoca. Solo oggi rischiano la scomparsa. E che dire del Libano, dove quarant’anni addietro, al tempo della mia prima esperienza diplomatica a Beirut, i cristiani erano il triplo di oggi?». Perché si va al peggio invece che al meglio? «Perché la logica dello scontro si è radicalizzata e ha finito per essere l’unica che si prende in esame. E’ per questo che la Santa Sede riafferma, nonostante ogni fatica, la necessità vitale del dialogo, in Medio Oriente e dappertutto». Martiri cristiani ci sono anche al centro dell’Africa, in Asia e in America Latina... «Oltre a quelli che sono vittime di ogni tipo di fondamentalismo – c’è anche un fondamentalismo cristiano e uno indù e uno ebraico, non c’è solo quello musulmano’ ci sono le vittime della predicazione della giustizia. Sappiamo bene quante volte i nostri fratelli missionari, ma anche vescovi e cardinali del posto, sono stati uccisi per aver denunciato la rapina dei latifondisti o la violenza dei dominatori politici o gli affari dei signori della guerra». Luigi Accattoli Caldei è il nome di un popolo di lingua aramaica dell’Asia anteriore, forse originario dell’Arabia orientale, che nell’XIV secolo a.C. entrò da sud nella Mesopotamia, stanziandosi fra Babilonia ed il Golfo Persico, insieme agli Aramei. Spesso scambiati per Babilonesi, ne furono invece acerrimi nemici. L’ascesa al trono di Babilonia di Nabopolassar (626 a.C.) segnò l’inizio di una dinastia neo-babilonese (o caldea) anche grazie all’aiuto del re Ciassare dei Medi. Assediarono e distrussero la città di Ninive, la grande capitale degli Assiri (612 a.C.) e ancora insieme a Karkemish, respinsero anche gli Egiziani (605 a.C.). Estesero la loro influenza in Siria e nella Palestina. Si estinsero con l’arrivo di Ciro il Grande re dei Persiani che espugnò Babilonia nel 538 a.C.. Nella Bibbia sono chiamati gli "Eversori di Gerusalemme", mentre il nome è talvolta usato per indicare i Nestoriani. Erano in genere letterati, ma per lo più scambiati per ciarlatani e indovini erroneamente. Come i Sabei erano allevatori di bestiame, contadini e pastori. Veneravano dèi celesti antropomorfizzati. (Wikipedia) La Chiesa cattolica caldea è una chiesa cattolica patriarcale sui iuris con comunità in Medio Oriente, Oceania ed America settentrionale. Il primate della chiesa cattolica caldea è il patriarca di Babilonia che ha sede a Baghdad; l’attuale patriarca è Emmanuel III Delly che è stato creato cardinale nel concistoro del 24 novembre 2007. (Wikipedia)