Il Sole 24 ore 12 marzo 2008, Morya Longo, 12 marzo 2008
Delude l’asta BoT. Il Sole 24 ore 12 marzo 2008. La crisi finanziaria internazionale ha colpito duro anche un simbolo dei risparmi made in Italy: i BoT
Delude l’asta BoT. Il Sole 24 ore 12 marzo 2008. La crisi finanziaria internazionale ha colpito duro anche un simbolo dei risparmi made in Italy: i BoT. Per la prima volta dall’ottobre 1999, i titoli di Stato a 12 mesi non hanno attirato in asta una domanda sufficiente per coprire i 7,5 miliardi offerti dal ministero dell’Economia. Non era accaduto con gli attentati dell’11 settembre. Non era accaduto la scorsa estate, durante la crisi dei mutui Usa. Ma è accaduto ieri. La causa di questo flop dell’asta, però, non va cercata in Italia: il problema non è la mancanza di fiducia sul nostro Paese, ma la crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio banche e fondi internazionali. Gli effetti, però, potrebbero farsi sentire presto in Italia: si pensi che il Tesoro quest’anno deve rifinanziare 158 miliardi di euro di titoli di Stato in scadenza. E il rischio è che altre aste non raccolgano domanda sufficiente, oppure – più semplicemente – che i tassi d’interesse debbano crescere per attirare interesse. Già domani saranno in collocamento BTp per 3 miliardi e, dietro le quinte, il Tesoro e la Banca d’Italia faticano a stare tranquilli. Tanto che qualcuno, tra le banche, sostiene che sia già iniziata una sorta di moral suasion per sostenere la domanda sui BTp. Le cause Per capire cosa è accaduto ieri nell’asta dei BoT bisogna partire dal mercato delle obbligazioni societarie. Negli ultimi mesi si è diffuso il timore che presto o tardi aumentino i fallimenti tra le imprese e, forse, tra le banche. Questa paura ha spinto molti investitori a vendere i bond emessi dalle aziende, tanto che i rendimenti sono saliti. E ha notevolmente ridotto le emissioni di titoli obbligazionari nuovi: a gennaio e febbraio – secondo i dati di Societé Generale – le emissioni in Europa si sono più che dimezzate rispetto all’anno scorso. Non solo: gli investitori hanno iniziato anche a cercare protezione contro le possibili insolvenze, comprando i cosiddetti credit default swap. Questi sono strumenti derivati che funzionano come le polizze assicurative: pagando un premio, un investitore si può assicurare contro l’insolvenza di qualunque emittente obbligazionario. I problemi iniziano qui. I credit default swap sulle singole società, ma anche gli indici, non sono abbastanza liquidi da soddisfare la domanda di tutti. Così tanti investitori hanno iniziato a comprare protezione sugli Stati: Italia, Spagna, Francia e così via. Il ragionamento è semplice: se non è possibile assicurarsi contro il rischio di fallimento di una società italiana o francese, allora l’unica soluzione è assicurarsi sull’Italia o la Francia intera. Morale: hanno iniziato a salire anche i "premi" (cioè i credit default swap) per assicurarsi contro il rischio Italia. E questo ha penalizzato i BTp, in termini di differenziale con la Germania. A questo fenomeno se n’è aggiunto un altro: molti fondi (soprattutto quelli speculativi) sono in grave difficoltà e hanno bisogno di soldi. Non potendo vendere corporate bond, cartolarizzazioni o altri titoli illiquidi (per il banale motivo che non c’è nessuno disposto a comprarli), hanno iniziato a scaricare titoli di Stato. BTp italiani inclusi. Gli effetti così che una crisi del credito ha contagiato un mercato come quello dei BTp, che solitamente rappresenta un rifugio in tempi turbolenti. Sui titoli di Stato sono infatti arrivati tanti venditori, ma ben pochi acquirenti. Solitamente ad assicurare l’acquisto sono i cosiddetti market maker, cioè le grandi banche attive sul mercato che hanno l’obbligo di garantire l’esistenza di prezzi in acquisto o in vendita. Ma questa volta anche i market maker sono in difficoltà (si tratta in tanti casi delle banche più colpite dalla crisi dei mutui Usa), per cui hanno iniziato a tirarsi indietro e a offrire spread denaro-lettera elevati. Non era mai accaduto. Questo è il contesto in cui si è svolta ieri l’asta dei BoT annuali e dei BoT "flessibili". Non c’è dunque da stupirsi se la domanda, sui Buoni annuali, sia stata poca: sui 7,5 miliardi offerti, le richieste d’acquisto sono state solo 7,3 miliardi. Anche questo non accade mai, perché esiste un gruppo di grandi banche (chiamate in gergo "operatori specialisti") che hanno proprio il compito di evitare che le aste vadano deserte. Ma ieri anche gli "specialisti" non sono stati sufficienti. Gli effetti sono difficili da stimare. Ma potenzialmente a farne le spese potrebbe essere proprio l’Italia e il suo maxi-debito pubblico. Il Tesoro, infatti, dipende dalle aste per collocare i titoli di Stato: cioè per rifinanziare il debito. E se le aste iniziassero ad andare scoperte, l’effetto potrebbe essere pesante. Il primo test sarà proprio domani, quando sul piatto ci saranno i BTp. Ma tanti sono disposti a giurare che, dopo il flop di ieri e le pressioni istituzionali, difficilmente l’asta andrà deserta. Morya Longo