La Repubblica 13 marzo 2008, ETTORE LIVINI, 13 marzo 2008
Doppia sfida per la nuova Parmalat. La Repubblica 13 marzo 2008. Parmalat si prepara con una strana coincidenza temporale a regolare in poche settimane i conti sia con il suo passato che con il proprio futuro
Doppia sfida per la nuova Parmalat. La Repubblica 13 marzo 2008. Parmalat si prepara con una strana coincidenza temporale a regolare in poche settimane i conti sia con il suo passato che con il proprio futuro. Domani al tribunale di Parma si aprirà il maxi-processo per il crac: alla sbarra 56 imputati, Calisto Tanzi in testa, chiamati a rispondere del buco di 14 miliardi della più grande bancarotta d´Europa. Un procedimento da record (qualcuno teme anche per durata) che conta già 10 milioni di pagine depositate, 200 faldoni e oltre 34mila testimoni. La partita più delicata rischia però di essere un´altra: quella sul futuro. Per colpa di un paradosso: la società che quattro anni fa crollava sotto una montagna di debiti, oggi ha il problema opposto. Ha troppi soldi in cassa, quasi 900 milioni di euro, un tesoretto che fa gola a molti. Bondi – l´artefice del risanamento e l´uomo che grazie a 1,2 miliardi di transazioni con le banche ha messo in piedi questo gruzzolo – vuole usarli per consolidare Collecchio nel suo ruolo di unica public company italiana varando, una campagna acquisti da 1,5 miliardi che consenta di mettere assieme un grande polo agroalimentare made in Italy. Ma qualcuno, stando alle indiscrezioni, avrebbe altre idee. E starebbe studiando un ribaltone in occasione del rinnovo del cda nella prossima assemblea (prevista il 9 aprile). La nuova Parmalat. Il processo di domani ha il pregio di ricordare a tutti come il solo fatto che l´azienda abbia davanti a sé un futuro sia già un miracolo. Basta riportare l´orologio indietro di quattro anni. Subito dopo il crac. «Mi ricordo il giorno di Santo Stefano del 2003 – racconta Cesare Peloso, direttore dello stabilimento di Collecchio ”. Ci siamo seduti attorno a un tavolo. Non avevamo una lira in tasca, mancava persino la soda caustica per pulire gli impianti. Arrivavano poche cisterne di latte e non sapevamo nemmeno se saremmo riuscite a pagarle». Un impasse durato poco più di due settimane. «Poi prima di Capodanno è arrivato Bondi. Ha iniziato a pagare le autobotti di latte in contanti, sull´unghia, invece dei 120 giorni di ritardo cui erano stati abituati dai Tanzi». Così questo fiume bianco – a Collecchio entrano 1,5 milioni di litri di latte al giorno – non ha mai smesso di riempire i silos dello stabilimento. «Certo, abbiamo avuto paura che tutto andasse gambe all´aria – ricorda Roberto Restori, in azienda dal 1983 ”. Ma avevamo anche una certezza. La Parmalat mica era una società della new economy, un nome senza dietro niente. C´erano impianti, latte, personale, mucche. Il sudore di tanti anni. Un´industria vera che, al netto dei buchi a monte, era in grado di autofinanziarsi». Così è stato. Grazie a un lavoro corale. «Ricordo quei giorni. Tutti hanno fatto la loro parte. In pochi giorni è stata messa in piedi la legge Marzano. I lavoratori si sono rimboccati le maniche malgrado le notizie dei telegiornali», dice Giuseppe Romanini, sindaco di Collecchio dal ”99. «Alla fine nessuno è rimasto a spasso – assicura Alberto Mattioli, il sindacalista Flai che ha seguito più da vicino il dossier ”. Ci siamo bevuti un crac dimostrando che l´industria senza finanza si salva». Il rebus assemblea. Il miracolo insomma è fatto. Oggi Parmalat è un´azienda che macina utili (366 milioni di margine), garantisce un dividendo pari al 6% di rendimento e ha ridotto da 180 a 68 la galassia di aziende messa in piedi dai Tanzi. Non solo: la cura Bondi ha garantito agli ex-obbligazionisti travolti dal crac un rimborso pari quasi al 50% del capitale investito. Ma Collecchio è arrivata al bivio. Sul fronte delle transazioni restano da definire soprattutto i casi di Unicredit, Citigroup e Bank of America. «Ma prima o poi finiranno le entrate straordinarie e noi dovremo continuare a creare valore per i nostri azionisti», ha spiegato Bondi. Come? Certo puntando su prodotti ad alto valore aggiunto (fitness e salute), nel latte e nei succhi. Ma anche – ha ammesso il numero uno – crescendo con nuove acquisizioni. « un momento importante – ha detto ”. C´è un´opportunità per i soci. Ora la palla è nelle mani del mercato che dovrà scegliere chi deve dirigere l´azienda». Se i risultati fossero il parametro per scegliere, la conferma di Bondi, visti i numeri, dovrebbe essere scontata. La sua forza però, l´idea di public company, è in qualche modo la sua debolezza. Le banche cui l´ad aveva fatto causa per il crac già tre anni fa avevano minacciato un´imboscata in assemblea, forti delle azioni ottenute convertendo i loro crediti. Ma poi avevano deciso di soprassedere. Adesso la situazione è più complessa. Lehman sarebbe pronta a chiedere la conferma in toto del management. E avrebbe raccolto consensi tra diversi hedge fund cui fa capo l´8-10% del capitale. Ma dietro le quinte si starebbe valutando se presentare una lista alternativa che faccia riferimento a figure manageriali forti (ieri Stefano Meloni, ex ad di Eridania, ha smentito di essere stato contattato) e magari a qualche socio industriale pronto a uscire allo scoperto a breve. Questa proposta potrebbe raccogliere il consenso di istituti in conflitto d´interesse come Jp Morgan (3%) e Deutsche Bank (2%) che hanno ancora aperti contenziosi con Collecchio per il loro ruolo nel crac. L´ago della bilancia rischia di essere così Banca Intesa (2,4%) che per il momento fa sapere di non aver deciso cosa fare in assemblea. Ca´ de Sass – che con un assegno da oltre 400 milioni ha chiuso tutte le cause con Parmalat – ha forti legami azionari e creditori con Yomo e Granarolo, entrambi marchi in forte difficoltà. E il tesoretto di Bondi – sommato a un business ormai completamente risanato – è una tentazione cui è difficile resistere. ETTORE LIVINI