Il Manifesto 13 marzo 2008, RAFFAELE MASTROLONARDO, 13 marzo 2008
Tutti pazzi per la semantica. Il Manifesto 13 marzo 2008. «Segui il denaro», diceva Gola profonda a Robert Redford/Bob Woodward in una famosa scena del film Tutti gli uomini del presidente
Tutti pazzi per la semantica. Il Manifesto 13 marzo 2008. «Segui il denaro», diceva Gola profonda a Robert Redford/Bob Woodward in una famosa scena del film Tutti gli uomini del presidente. E in effetti, in politica come in tecnologia, ricostruire il flusso delle banconote porta spesso a scoperte sorprendenti. Se applicato alle prospettive future della ricerca di informazioni sul web, per esempio, il suggerimento conduce a una parola aulica, di quelle che ti aspetti di sentire in un seminario di filosofia e non in un ambito ultra-tecnologico: semantica. Eppure, proprio per associare la scienza dei significati alla grande rete, un motore di ricerca americano di nome Powerset ha raccolto oltre 40 milioni di dollari di capitali di ventura, il suo concorrente Twine ne ha messi insieme 20, più o meno quelli racimolati da un progetto chiamato Hakia (21 milioni di dollari). In tutti questi casi l’obiettivo finale su cui si scommette è simile: costruire, o porre le basi per la costruzione di strumenti di recupero dell’informazione web che tengano conto del significato delle parole (distinguendo, per esempio, tra la «pesca» in quanto frutto e l’attività di svago) e delle relazioni tra i concetti (capendo, dunque, che quello di «città» è contenuto in quello di «regione»). Il risultato agognato sono motori più accurati di Google, magari capaci di rispondere in modo corretto a domande formulate nel linguaggio di tutti i giorni e non solo a delle sequenze di parole. Per questo sogno la grancassa della propaganda digitale ha già trovato un nome: web 3.0, ultima etichetta di un mondo, quello dell’hi-tech sempre alla ricerca della nuova terra promessa. Insieme ai soldi e al nome sono arrivati anche gli articoli dei giornali, eccitati all’idea di aver trovato la chiave del prossimo business miliardario. Pochi giorni fa il quotidiano inglese Financial Times prospettava un «orizzonte» fatto di «computer che sanno ragionare», con un entusiasmo che ricorda le antiche iperboli intorno all’intelligenza artificiale. Ma è davvero giustificato tutto questo baccano? Le prime prove sul campo autorizzano i dubbi: i motori cosiddetti «semantici» non offrono ancora un valore aggiunto tale da giustificare tutto il rumore che li circonda. La conseguenza è uno scarto tra parole e realtà così ampio da far temere il rischio di bolla anche a chi su questo tipo di tecnologie ci punta da tempo. «Vedo improvvisazione intorno alle tecnologie semantiche. Non tutti capiscono quanto è complesso questo tipo di analisi dei contenuti e quanto è difficile applicarlo su una scala ampia come il web», afferma Marco Varone, presidente di Expert System, azienda italiana specializzata in tecnologia semantica. Tanto più che quel poco che luccica potrebbe anche non essere oro. «In generale, manca una cultura adeguata. Molti di quelli che se ne vantano, in realtà non ricorrono veramente a tecnologia semantica», conclude. E allora? Allora, è meglio prendere slogan e titoli di giornale con un po’ di cautela. E ’ vero che più efficaci strumenti di ritrovamento, selezione e classificazione dell’informazione saranno sempre più strategici per individui, imprese e pubbliche amministrazioni. Ed è probabile che queste soluzioni impiegheranno tecnologie semantiche. Ma tutto questo non è dietro l’angolo. Come sa bene Tim Berners-Lee, c’è bisogno di tempo. Dal 2001 il padre del web sponsorizza il «web semantico», una serie di standard per etichettare l’informazione presente in rete in modo da consentire alle macchine di dare ad essa un senso. Dopo sette anni, il progetto non si è ancora materializzato su una scala adeguata, principalmente per l’immane lavoro di catalogazione che richiede. Insomma, a dispetto dei dollari dei capitalisti di ventura e degli articoli entusiastici dovremo aspettare ancora un po’ per vedere i motori di ricerca del futuro che ci daranno risposte intelligenti. O che proveranno a darcele. Sì, perché anche quando le macchine saranno così in gamba, ci saremo sempre noi umani. Che, come è noto, non sempre sappiamo fare le domande giuste. RAFFAELE MASTROLONARDO