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 2008  marzo 12 Mercoledì calendario

Gli stipendi? Sempre più poveri. La Stampa 12 marzo 2008. Lo stipendio medio di un lavoratore dipendente italiano è di poco superiore ai mille euro al mese, per tredici mensilità, e questo ci pone, nell’ambito di quel club esclusivo di Paesi ricchi che è l’Ocse, al 23° posto su 30 membri

Gli stipendi? Sempre più poveri. La Stampa 12 marzo 2008. Lo stipendio medio di un lavoratore dipendente italiano è di poco superiore ai mille euro al mese, per tredici mensilità, e questo ci pone, nell’ambito di quel club esclusivo di Paesi ricchi che è l’Ocse, al 23° posto su 30 membri. Se poi andiamo a vedere quell’altro club, ancora più esclusivo, che è l’Europa a 15, siamo al penultimo posto, prima solo del Portogallo. Che ci fosse una emergenza salari lo aveva già denunciato la Banca d’Italia nell’autunno scorso, e proprio l’altro giorno lo ha ricordato - segnalandolo come priorità politica per chi andrà al governo - il presidente dei vescovi Angelo Bagnasco. Ora questo problema ha un riscontro oggettivo che giunge da un osservatore terzo e internazionale come l’Ocse. Il dato parla di un reddito medio netto in busta paga di 19.861 dollari l’anno, pari, per l’appunto, a circa 13 mila euro. Non solo siamo dietro ai maggiori Paesi europei, ma ne siamo distanti anni luce: un lavoratore inglese guadagna quasi il doppio (37.299 dollari), uno tedesco oltre il 40% in più (28.435) e un francese quasi il 30 per cento in più (25.555), siamo molto dietro l’Irlanda, ma anche dietro la Grecia e la Spagna. Guadagniamo pochissimo. L’Italia è nettamente sotto la media Ocse (24.660 dollari), la media Ue a 15 (26.434) e quella Ue a 19 (23.282). Per contro, paghiamo troppe tasse e contributi previdenziali. Se, infatti, si guarda la classifica del cuneo fiscale, cioè della differenza tra lordo e netto in busta, il nostro Paese balza al sesto posto in classifica, con un prelievo pari al 46 per cento. Per un lavoratore single - rileva l’Ocse - senza figli che guadagna esattamente il 100% della media nazionale, il cuneo fiscale si attesta nel 2007 al 45,9%, in crescita dello 0,3% rispetto al 2006. La percentuale è più bassa invece nel caso del lavoratore con a carico coniuge e due figli: il cuneo fiscale in questo caso è al 33,8% (ma era al 33,3% nel 2006), superiore alla media Ocse (27,3%) e dell’Europa a 15 (31,9%). Tra il 2000 e il 2006, comunque, il peso della tassazione sui salari in Italia è diminuito (-0,9%) e il maggiore calo si è registrato nelle fasce di reddito più basse. Il Rapporto dell’Ocse, giunto all’indomani dell’appello dei vescovi, ha ovviamente impattato con la campagna elettorale. Berlusconi ha rivendicato una forte identità di vedute con l’episcopato: «Abbiamo già detto nei giorni scorsi che aumentare il potere d’acquisto dei cittadini è una delle prime cose da fare tornati al governo». A chi gli chiedeva se su questo fosse possibile un accordo con il Pd, Berlusconi ha replicato rimandando al dopo-urne, e comunque, ha detto, «procederemo su prezzi e salari anche autonomamente». Anche Walter Veltroni, parlando nel Nord Est ha toccato questo problema: «Il cardinal Bagnasco ha ragione - ha detto il leader del Pd - ad affermare che il problema dei salari e degli stipendi deve essere un tema di larghe convergenze. L’impoverimento delle famiglie e la necessità di far fronte con politiche adeguiate all’aumento di salari e stipendi sono un’emergenza». La volontà della politica di farsi carico dell’impoverimento strisciante ha trovato, ovviamente, una sponda sul fronte sindacale. «Il rapporto dell’Ocse è l’ennesima conferma che siamo diventati un Paese povero, dove si è aperta drammaticamente in questi anni la forbice sociale tra chi ha un reddito elevato e chi non riesce più ad arrivare a fine mese», commenta il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Per dare risposte all’emergenza salari occorre intervenire, aggiunge il segretario confederale della Uil Paolo Pirani, «sia sul fisco sia sui contratti di lavoro» a partire dalla riforma del modello contrattuale sui cui non si può «continuare a stare fermi». Raffaello Masci