Il Sole 24 ore 2 marzo 2008, Umberto Bottazzin, 2 marzo 2008
La bibbia al quadrato. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. Una vera e propria impresa scientifica e letteraria, che trova difficilmente paragone anche fuori dai confini del nostro paese
La bibbia al quadrato. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. Una vera e propria impresa scientifica e letteraria, che trova difficilmente paragone anche fuori dai confini del nostro paese. Non si saprebbe come altrimenti definire l’imponente volume di oltre 2.700 (!) pagine, nel quale Fabio Acerbi ha raccolto tutte le opere di Euclide che ci sono pervenute, in traduzione italiana con a fronte il testo greco della classica edizione curata da Heiberg e Menge. Altrettanto imponente è l’introduzione di Acerbi, che in oltre 750 pagine delinea il quadro storico e concettuale in cui si collocano i testi euclidei, e ne traccia la storia successiva fino a noi. La fonte principale della matematica pre-ellenistica, scrive Acerbi, è costituita dai testi di Aristotele. Anche le informazioni che ci forniscono autori più tardi come Simplicio sono spesso a margine di commenti a opere aristoteliche. Inoltre, come Acerbi documenta con grande perizia matematica e filologica, essi tendono a sottoporre a revisione i testi delle fonti antiche, «cancellando certe particolarità stilistiche» decisive per comprendere «lo sviluppo della forma dimostrativa», oppure amplificando le dimostrazioni con l’aggiunta di "clausole esplicative" spesso superflue. Emblematica, da questo punto di vista, è l’analisi di un testo di Simplicio relativo alla quadratura delle lunule, le figure geometriche ottenute considerando per esempio un cerchio e le semicirconferenze costruite sui lati di un quadrato iscritto nel cerchio. Commentando un breve passo della Physica aristotelica, Simplicio «dilaga in una lunghissima digressione» sulla quadratura delle lunule da parte di Ippocrate di Chio, che si basa su una Storia della geometria di Eudemo andata perduta e costituisce «il frammento più importante di matematica pre-euclidea». Dopo aver riportato integralmente quel testo di Simplicio, Acerbi si impegna in un’accurata analisi sia linguistica, per riuscire a «disincagliare il relitto di Eudemo dai commenti di Simplicio», sia matematica, per cercare di far luce su una «questione forse disperata», quella del legame che intercorre tra la quadratura delle lunule e i (vani) tentativi di quadratura del cerchio. Tra i numerosissimi passi di argomento matematico sparsi nel corpus aristotelico Acerbi privilegia quelli relativi a teoremi e dimostrazioni, arricchiti dalle considerazioni di natura filosofica che consentono di chiarire «il retroterra filosofico, assolutamente non indifferente» dei matematici operanti in epoca pre-ellenistica. In particolare, riporta ampi stralci degli Analytica posteriora dedicati alla questione dei principi, che forniscono utili riferimenti per chiarire «quali assunzioni indimostrate fossero presenti in raccolte di Elementi precedenti» quelli euclidei. Di certo, infatti, gli Elementi di Euclide non furono l’unico testo di quel tipo scritto nell’antichità, e trattati analoghi erano stati redatti fin dal V secolo a.C. con Ippocrate di Chio. Sulla collocazione cronologica del l’opera di Euclide, dice Acerbi, «possediamo dati scarsi e in linea generale poco affidabili» e nessuna informazione sulla sua vita. Studi recenti hanno poi messo in discussione l’opinione comune che Euclide sia vissuto all’epoca di Tolomeo I, così come il suo legame con il Museo di Alessandria. «opportuno essere ben consapevoli», avverte Acerbi, che si tratta di ricostruzioni basate «su una lettura modernizzante del contesto antico». L’analisi delle evidenze disponibili gli suggerisce di far slittare in avanti di qualche decennio, rispetto al 300 a.C., il periodo in cui fiorì Euclide, che risulterebbe così quasi un contemporaneo di Archimede. Inoltre, «appare del tutto infondata la credenza che esistesse una attività di insegnamento istituzionalizzata di alto livello» presso il Museo, nella quale Euclide fosse impegnato. «Altrettanto azzardato», sostiene Acerbi, è ritenere che gli Elementi «fossero stati originariamente concepiti come un manuale». Comunque sia, non c’è dubbio che gli Elementi siano uno dei testi più influenti nell’intera storia dell’umanità, secondo solo alla Bibbia. Un testo che per oltre duemila anni ha costituito il modello del ragionamento deduttivo e del rigore matematico. Ha ragione Acerbi quando mette in guardia il lettore affermando che la struttura ipotetico-deduttiva degli Elementi non può «essere interamente apparentata a un sistema assiomatico modernamente inteso». Certo, secoli di insegnamento geometrico hanno reso familiare il testo euclideo, ma questa traduzione degli Elementi, aderente all’originale greco, ci restituisce un testo dalla struttura nuova e inaspettata, che consente di misurare tutta la distanza che separa il moderno ragionamento matematico da quello degli antichi. Quando si guarda all’intero corpus euclideo, come consente di fare questa edizione, ci si rende conto che le opere di Euclide sono molto disuguali dal punto di vista stilistico e del rigore matematico. Quest’ultimo, afferma Acerbi «è carente nelle opere di matematica applicata (ammesso che siano veramente euclidee)» come i Fenomeni e, in qualche misura, anche l’Ottica, opere che presentano «una certa commistione» tra aspetti fenomenici e discorso geometrico, oltre che caratteristiche assai diverse dagli Elementi e dai Data, dotati invece di una impressionante «monoliticità lessicale e stilistica» senza confronti nell’antichità. Con un’ipotesi che lo stesso Acerbi definisce «fantasiosa», si potrebbe azzardare di avere a che fare con un Euclide bifronte, che muta registro stilistico e tralascia il rigore che lo ha reso celebre nei secoli quando esce dall’ambito puramente geometrico. Umberto Bottazzin