Il Sole 24 ore 2 marzo 2008, Giuseppe Scaraffia, 2 marzo 2008
A tavola con Balzac & Co. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. «L’uomo non vive di quel che mangia, ma di quello che digerisce», diceva il grande Dumas, in grado di digerire pasti immensi, specie se consumati in buona compagnia
A tavola con Balzac & Co. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. «L’uomo non vive di quel che mangia, ma di quello che digerisce», diceva il grande Dumas, in grado di digerire pasti immensi, specie se consumati in buona compagnia. A ricordarcelo sono queste «80 + 3 ricette di grandi artisti illustrate da grandi artisti», da Satie a Pascoli, da Renoir a Prezzolini. Un mistero circonda l’autore di questa succosa galoppata sulle tavole dei geni. In un’epoca in cui tutti vogliono apparire, ha misteriosamente deciso di restare anonimo, al punto da farci sospettare che dietro la maschera si nasconda forse lo squisito editore, Luca Garavaglia. Abitualmente sobrio e astemio, Balzac si concedeva ogni tanto «un po’ di gozzoviglia». Allora poteva scolarsi una serie di bottiglie di Vouvray, un bianco fortissimo, e mangiare con appetito pantagruelico. Intanto trasformava i cibi in altrettanti romanzi. L’origine delle bottiglie arretrava nei secoli, il rum usciva da una botte che aveva galleggiato per centoventi anni sul mare: per rompere la crosta di conchiglie c’era voluta un’accetta. Gli amici temevano la terribile purea di cipolle che faceva preparare su sua ricetta, ma apprezzavano le magnifiche pere, che lo scrittore divorava in quantità. Ma l’autore della Commedia umana scompariva davanti alle ossessioni culinarie che nella vita di Rossini avevano interamente soppiantato quelle erotiche. Al punto da occupare una considerevole parte della sua corrispondenza. «Caro amico, vi faccio spedire una mortadella e un conteghino, che non va cotto direttamente nell’acqua...». Una passione che lo spingeva a sorvegliare di persona le manovre del cuoco. Fu così che nacque il nome del suo piatto più celebre, i Tournedos. Visto che il cuoco non osava mettere mano alla padella davanti a lui, il musicista esclamò: «Ebbene, fatelo girandovi dall’altra parte, tournez moi le dos!». Cioè, allora datemi la schiena. Con la sua golosità poteva rivaleggiare solo Colette che qui propone la ricetta squisita, quanto impegnativa dei tartufi in padella. Quando riceveva dal Périgord un pacco di «tartufi stupendi, neri, granulosi come il naso di un cane, vestiti di carta oleata», la scrittrice celebrava la «giornata del tartufo». Nessuno poteva toccarli. Solo lei sapeva pulirli e metterli in una pentola dove bolliva mezza bottiglia di champagne secco, un po’ di lardo, sale e pepe. Annusava con delizia l’aroma che si alzava dai fornelli, ma li considerava dei normali legumi: «Se non possiamo disporre di una quantità sufficiente di tartufi, meglio farne a meno». Non sempre la golosità coincide con l’ingordigia. Proust si accontentava di spiluccare i piatti preferiti, dal "boeuf à la mode" al riso al l’imperatrice, candido come gli abiti della moglie di Napoleone III. Probabilmente se invece di un "ombre di madeleine" ne avesse divorato tutto un vassoio non avrebbe scoperto la memoria involontaria. Tantomeno bisogna confondere la golosità con la complicazione delle ricette. Pochi sanno quanto Hemingway far sentire al lettore il profumo e il sapore delle vivande di cui scrive. Ancora oggi a Parigi il ristorante Lipp gli deve una fila di visitatori ansiosi di assaggiare un piatto semplice quanto insidioso, le patate all’olio. Neanche il rischio della morte fa dimenticare ai golosi la buona cucina. Le pallottole degli insorti fischiavano nell’aria calda della primavera 1832 quando Alexandre Dumas sentì il bisogno di condividere lo squisito pranzo che aveva personalmente preparato con un collega, Charles Nodier e gli scrisse: «Si dice che siate stato arrestato e fucilato. Se la notizia è falsa, venite stasera a pranzo da me. Se è vera, venite lo stesso». Giuseppe Scaraffia