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 2008  marzo 02 Domenica calendario

I fondi sovrani sono il vero rimedio. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. Lo scivolone del dollaro sull’euro è il frutto delle aspettative di un ulteriore taglio dei tassi di interesse negli Stati Uniti non accompagnato da una riduzione nell’area euro

I fondi sovrani sono il vero rimedio. Il Sole 24 ore 2 marzo 2008. Lo scivolone del dollaro sull’euro è il frutto delle aspettative di un ulteriore taglio dei tassi di interesse negli Stati Uniti non accompagnato da una riduzione nell’area euro. In America le aspettative di riduzione nascono dalla convinzione diffusa che l’economia americana stia entrando in recessione e che la Fed continuerà nella sua politica di tagli al tasso di sconto per sostenere l’economia. L’Europa, invece, si sente immune da questi rischi. Il primo presupposto di questo ragionamento è senz’altro fondato. Ci sono almeno due motivi per aspettarsi una recessione negli Stati Uniti. Il primo, più ovvio, è una riduzione dei consumi dovuti al fatto che le famiglie si sentono più povere a causa della riduzione dei prezzi delle case. Il secondo motivo, meno ovvio ma non per questo meno importante, è che le perdite sui mutui subprime forzeranno le banche a una politica di credito molto restrittiva. Si stima che degli almeno 400 miliardi di dollari di perdite su mutui subprime (secondo Ubs addirittura 600) almeno 100 andranno a colpire il patrimonio delle banche commerciali americane, riducendo di altrettanto il loro capitale di rischio. O queste banche sono in grado di ricapitalizzarsi velocemente, o le regole imposte da Basilea II le forzeranno a ridurre l’ammontare di investimenti. Dato che la leva finanziaria delle banche americane è di circa 1 a 10, una riduzione di 100 miliardi di capitale di rischio si traduce in una riduzione di mille miliardi nell’attivo bancario. Tipicamente la metà di questo attivo è formato da prestiti, quindi dobbiamo aspettarci una riduzione di 500 miliardi nei prestiti commerciali. Una simile contrazione potrebbe tradursi in una riduzione di poco più di mezzo punto percentuale della crescita. Non abbastanza per portare gli Usa in recessione, ma sicuramente per indurre la Fed a ulteriori tagli dei tassi. Un punto debole del ragionamento è che l’Europa sia immune da questi rischi. Jean-Claude Trichet ha mostrato una maggiore resistenza a soccorrere le banche con tagli dei tassi di interesse della Bce. Ma finora le banche europee nel loro complesso sembrano sorprendentemente immuni alla crisi dei mutui subprime. Ubs ha annunciato pesanti perdite, ma nell’area dell’euro solo Société Générale ha ammesso di aver perso 2 miliardi sui mutui subprime. Continua u pagina 10 La domanda che tutti si pongono è se questa apparente solidità del sistema bancario è dovuta ad una politica più accorta seguita dalle nostre banche o piuttosto a una loro reticenza a riconsiderare il valore le loro attività alla luce del crollo dei prezzi dei mutui (quello che in gergo si chiama mark-to-market). Anche se ci piace credere alla prima ipotesi, c’è un indizio che la seconda sia più realistica. Société Générale ha rivelato le pesanti svalutazioni in occasione dell’annuncio di altre perdite: quelle causate dalle speculazioni sui derivati fatte da un suo trader, Jérôme Kraviel. In altri termini, Société Générale ha approfittato della cattiva notizia per far passare relativamente inosservata un’altra cattiva notizia. Se non ci fossero state le perdite sui derivati quanto avrebbe aspettato ancora per dare l’annuncio? L’altro punto debole di questo ragionamento è che il sistema migliore per evitare questa crisi sia quello di tagliare i tassi. Si tratta di un meccanismo molto indiretto e costoso per ricapitalizzare le banche. Abbassando i tassi si riduce il costo per le banche di indebitarsi a breve, permettendo loro facili profitti. Se questa riduzione dura sufficientemente a lungo le banche riescono a ripianare i 100 miliardi di perdite, risolvendo il problema. Ma quanto a lungo può la Fed tenere basso il tasso di sconto senza avere conseguenze negative sull’inflazione e senza indebolire eccessivamente il dollaro, suscitando tendenze protezionistiche in Europa? Una soluzione migliore esiste e si chiama fondi sovrani. Data l’incertezza sul livello delle perdite, è difficile per le banche rivolgersi al mercato dei capitali e chiedere agli investitori di sottoscrivere un’emissione azionaria. più facile, però, contattare dei ricchi investitori e dopo una comunicazione appropriata convincerli che l’investimento vale la candela. In passato, il novero di questi possibili finanziatori era estremamente limitato: Warren Buffett, George Soros, e pochissimi altri. Ma oggi esistono numerosi fondi sovrani pronti a un simile investimento. Perché questo avvenga, però, è necessario che Bernanke non si precipiti al soccorso delle banche e che il Governo Usa e (l’opinione pubblica) accettino che una fetta consistente (anche se non il controllo) del sistema bancario americano finisca in mani straniere. I segnali non sono positivi. In un sondaggio pubblicato sul Wall Steet Journal solo il 14% degli americani si dichiarava favorevole a investimenti da parte del fondo di Singapore e solo il 6% da parte di quello di Abu Dhabi. Questo improvviso nazionalismo può costare agli americani molto caro in termini di ulteriore deprezzamento del dollaro. A meno che le banche europee rivelino simili debolezze. Mal comune... mezzo gaudio. Luigi Zingales