La Stampa 9 marzo 2008, 9 marzo 2008
Loris Stecca. La Stampa 9 marzo 2008. Quando scendono dal palcoscenico, i campioni dello sport che hanno scaldato la pelle sotto le luci della ribalta prendono in genere la via del reducismo, quelle feste in cui tutti si dicono felici, si scambiano pacche sulle spalle, ricevono le medaglie ricordo
Loris Stecca. La Stampa 9 marzo 2008. Quando scendono dal palcoscenico, i campioni dello sport che hanno scaldato la pelle sotto le luci della ribalta prendono in genere la via del reducismo, quelle feste in cui tutti si dicono felici, si scambiano pacche sulle spalle, ricevono le medaglie ricordo. Ma corre parallela una via crucis imboccata da tanti, troppi. Sono quelli che non ci stanno, abituati a una vita sopra le righe poi improvvisamente accecati dal buio. I tifosi li hanno fatti semidei e loro un po’ immortali si sono creduti davvero. Il sistema li ha arricchiti ma i soldi facili sono caduti dalle tasche. Il loro destino è quello di morire un po’ alla volta, spesso in un attimo di follia. Come Tiberio Mitri, il pugile triestino che fece innamorare di sè Fulvia Franco, miss Italia, poi si gettò sotto un treno proprio il giorno in cui la legge Bacchelli varata per gli sportivi alla fame gli aveva assegnato un vitalizio. Come Garrincha, l’allegria del calcio, morto in miseria e alcolizzato, dimenticato da quel Brasile che lo adorava. Come Luis Ocana, lo spagnolo vincitore del Tour 1973, un colpo di pistola e via. O come un altro pugile famoso, Monzon, il giustiziere di Nino Benvenuti, che prima tentò di farla finita gettandosi dal balcone con la moglie, ma ci rimase soltanto lei, poi chiuse con un misterioso incidente d’auto. O come il simbolo del coraggio, Eugenio Monti il «rosso volante», che prese rischi pazzeschi gettandosi nei tunnel del bob ma alla fine, malato e in difficoltà, non accettò il rischio delle persone normali, la morte anonima nell’ora stabilita. L’elenco è molto lungo. Lo sport dunque fabbrica disperati? Il più delle volte no, ma è un paradiso effimero dove bisogna sapersi vaccinare per resistere al fascino della notorietà e allo stordimento dei soldi facili. Pensate a quanti hanno voluto riaprire quella porta dorata, dopo essersi pensionati: il tennista Borg, il nuotatore Spitz, lo sprinter Mennea, ora il ciclista Cipollini. Anche Loris Stecca, a 48 anni, voleva riaprire quella porta: «La boxe è l’unica cosa che so fare...». Ma le luci del palcoscenico si accendono una volta sola. Farò il piuma, come ai bei tempi». I bei tempi di quella che, nel pugilato italiano, rimase una data storica. Era il 22 febbraio 1984. Loris Stecca era sommerso dai colpi di Leo Cruz ma improvvisamente ebbe un guizzo d’orgoglio: riversò sull’avversario la sua enorme carica aggressiva e vinse il campionato mondiale dei supergallo versione Wba. Irriconoscibile, a 24 anni di distanza, lo sguardo fiero del boxeur romagnolo che quel giorno affrontò il pubblico in delirio nel palazzo dello sport di San Siro. Ieri mattina gli occhi dell’ex campione del mondo erano annebbiati, rivolti in basso sulle macchine in corsa lungo l’autostrada. Intorno alle 10.30 si è arrampicato sul «tetto» di una galleria dell’A14, a Scacciano, subito dopo Riccione, e si è seduto sul cornicione minacciando di gettarsi. Nei giro di pochi minuti il centralino del 113 è stato preso d’assalto dagli automobilisti che percorrevano la carreggiata sud e che lo vedevano dondolare da lassù. L’autostrada è stata chiusa per un’ora e mezza. Oltre alla Polstrada, sono arrivati anche gli operatori dell’Ausl, mentre i vigili del fuoco gonfiavano all’imbocco della galleria un enorme materasso per attutire l’eventuale lancio nel vuoto. Infine un agente della polizia stradale e un pompiere sono riusciti a immobilizzarlo. «Per un attimo ho visto nero e ho pensato di farla finita, perché sto subendo un’ingiustizia da vent’anni - si è sfogato qualche ora dopo Loris Stecca -. So che ho commesso qualcosa di eclatante, di grave, che non dovevo fare, ma voglio che la gente, i miei tifosi, gli amici e anche coloro che mi vogliono male capiscano che sono esasperato». Esasperato dalle ripicche familiari, dalla beffa della giustizia e dalla crudeltà del ring che lo ha rifiutato. Dall’alto di quel cornicione ieri mattina l’ex campione di Santarcangelo gridava frasi sconnesse sui suoi guai processuali. Da tempo infatti, Stecca attende un risarcimento per l’incidente stradale che chiuse la sua carriera di pugile (che aveva abbandonato in un primo momento nel 1985). Il 31 gennaio 1989 venne investito da una macchina mentre attraversava sulle strisce pedonali e ne uscì con il ginocchio in frantumi. Anni dopo l’ex moglie lo denunciò di voler truffare l’assicurazione, ma venne assolto. Da allora Stecca, che il 30 marzo compirà 48 anni, attende più di 300.000 euro di risarcimento: «Mi chiedo se è un delitto essere stato investito sulle strisce. Da allora la mia vita è finita, non posso più combattere e devo arrangiarmi. Intanto mi sono risposato, ho dei figli. Quando vedevo quei camion passare sotto di me, per qualche minuto ho pensato di farla finita: non si può giocare così sulla pelle di un uomo, per tutti questi anni. Ma cosa aspetta la giustizia a fare il suo corso?». Tre mesi fa aveva creduto di poter «tornare ai bei tempi». Ci aveva provato lo scorso Natale con un incontro fra dilettanti nella Repubblica di San Marino. Il match contro Mohamed Abib era stato fissato per il 23 dicembre. Loris lo avrebbe affrontato come una «seduta di allenamento per poi fare il botto e tornare a guadagnare». Ma sulla sua speranza cadde il veto della piccola Repubblica che tuonò: «Non si può trattare San Marino come la terra di nessuno per fare cose che l’Italia non autorizza». E l’incontro era stato annullato. «Ho bisogno di soldi - si era sfogato il pugile - Cosa devo fare, andare a rubare? La boxe è l’unica cosa che mi riesce bene. Lavoro alla nuova darsena di Rimini, 1.300 euro di stipendio al mese, ma non bastano». Sulle frustrazioni sportive si erano poi accumulate quelle familiari: il divorzio dalla prima moglie, il processo penale e la causa civile. «Tornano a combattere anche Tyson e Holifield, ma uno come me è troppo scomodo. Ma andrò fino in fondo, non voglio fare il don Chisciotte, chiedo solo giustizia». Ieri, ad abbracciarlo fuori dal commissariato, c’era il fratello Maurizio, ex pugile. Con lui, nell’arco di cinque anni, nel 1984 e nel 1989, aveva realizzato un miracolo: per la prima volta nella storia della boxe italiana due fratelli erano diventati campioni del mondo. Loris Stecca, nato a Santarcangelo di Romagna 48 anni fa, è stato campione italiano ed europeo dei piuma. Nel 1984 ha vinto il campionato del mondo dei supergallo, versione Wba. Dopo essere stato sconfitto per la seconda volta da Victor Callejas, nell’85, decide di ritirarsi. Il 17 dicembre dell’88 a Sassari batte per ko tecnico Alvarez e si dice pronto per l’allora neonato mondiale Wbo dei supergallo, contro Gervacio. Il 31 gennaio dell’89 viene investito da un’auto sulle strisce pedonali, le diverse fratture rimediate nell’incidente lo obbligano definitivamente al ritiro. Nella sua carriera ha vinto 55 incontri (37 per ko), due sconfitte e due pareggi.