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 2008  marzo 11 Martedì calendario

Le sfide chiave. Il Giornale 11 marzo 2008. Piemonte La battaglia per la conquista del Piemonte si gioca a Torino

Le sfide chiave. Il Giornale 11 marzo 2008. Piemonte La battaglia per la conquista del Piemonte si gioca a Torino. Il Pd, per la prima volta, non avrà un avversario solo alla sua destra, ma anche alla sua sinistra. Il Pdl parte, dunque, avvantaggiato e anche l’assenza dei centristi casiniani potrebbe non influire sul conseguimento della vittoria del Pdl considerato anche il passaggio di importanti quadri intermedi alla causa di Berlusconi e Fini (dall’europarlamentare Bonsignore al capogruppo al consiglio comunale torinese Angeleri). E, considerata la tradizione favorevole al centrodestra nelle altre province piemontesi, l’aspetto più interessante, pertanto, sarà l’esito del voto torinese. Se l’insieme delle forze di sinistra non dovesse superare il 50% nella capitale della Fiat, la crisi sarebbe conclamata. Certo, anche nel centrodestra non tutto è filato liscio come l’olio. Il coordinatore regionale di Fi, Guido Crosetto, ha dovuto mediare con i vertici locali indispettiti da alcune candidature esterne non nascondendo «amarezza». Ma alla fine le liste appaiono molto «radicate» come testimoniano le presenze dell’ex governatore Ghigo, del numero uno piemontese di An Martinat e dei deputati uscenti Armosino, Costa, Stradella e Napoli. Intanto il Pd gioca la sfida con la Sinistra arcobaleno «a colpi di operai». Entrambe le formazioni nate dalla disgregazione dell’Unione hanno candidato nel capoluogo due sopravvissuti alla tragedia della ThyssenKrupp: Antonio Boccuzzi il Pd, Ciro Argentino la Cosa rossa. Per fare posto al rappresentante della classe operaia ha fatto un passo indietro il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, che non voleva lasciare agli avversari il monopolio della questione operaia. E a guardare le candidature piemontesi dei democrat Boccuzzi sembra proprio un pesce fuor d’acqua stretto tra l’ex segretario Ds, Piero Fassino, e il vicesegretario dei democratici piemontesi Anna Rossomando. Addirittura agli antipodi se si considera il settimo posto assegnato a un ex Fi come Giacomo Portas. L’unico «compagno di strada», si fa per dire, è l’ex segretario generale Uil, Giorgio Benvenuto. I grattacapi veltroniani per quanto riguarda Torino non sono rappresentati solo dai problemi nello stabilire quanto genoma operaio vi sia nel dna della nuova formazione. Ieri la presentazione delle liste è stata ritardata dal caso-Pannella. Al Senato, infatti, è capolista Emma Bonino che ha trattato fino all’ultimo per convincere il leader radicale a non cedere alle sirene socialiste. Un ulteriore inciampo per il centrosinistra che nella corsa a Palazzo Madama aveva già perso nel 2006 in Piemonte (13 a 9 per l’allora Cdl) e questa volta non potrà contare nemmeno sull’appoggio della sinistra radicale che vanta un potenziale superiore al 10 per cento. GDeF Liguria  qui, in Liguria, finora Cenerentola nel panorama politico nazionale, che si combatte la madre di tutte le battaglie per la maggioranza dei seggi al Senato: gli 8 candidati che verranno eletti il 13 e 14 aprile - il partito vincitore ne conquisterà 5, lo sconfitto 2 o 3 - rappresentano poco più di un milione di cittadini da Ventimiglia a La Spezia, ma possono risultare decisivi per far pendere la bilancia a favore del Pdl o del Pd a livello generale. Nessun soprassalto di presunzione o voglia di riscatto da parte dei politici locali: il fatto è che, vista la composizione delle liste, con parecchi concorrenti in grado di prendere o smistare (anche per dispetto) voti trasversali, la Liguria diventa una delle cinque regioni-chiave. Secondo alcuni, addirittura tre: lo ribadisce il sottosegretario Enrico Letta, secondo cui «a fare la differenza nella corsa verso la riconquista del governo da parte del Pd saranno Sardegna, Marche e, appunto, la Liguria», che negli ultimi sessant’anni ha votato in massa, inquadrata e coperta, per il calderone variegato della sinistra. Ora il vento, anche da queste parti, è girato: i sondaggi indicano un significativo ribaltamento dei consensi. Anche perché la scelta dei due «registi» Berlusconi-Scajola di mettere come capolista per Palazzo Madama il professor Enrico Musso in contrapposizione a Roberta Pinotti, deputato uscente, vicinissima a Veltroni e quindi vista come espressione del vertice romano del Pd più che della base locale del partito, sembra fatta apposta per catturare un’ampia fascia di incerti, se non addirittura di lib-lab. A far pensare così è innanzi tutto l’exploit di Musso, lo scorso anno, come sfidante di Marta Vincenzi per la carica di sindaco di Genova: il quarantacinquenne docente universitario di Economia dei trasporti è arrivato a un soffio dall’elezione di fronte alla parlamentare europea diessina, accreditata alla vigilia di un plebiscito. Inoltre Musso, tuttora «indipendente», ha criticato di recente senza peli sulla lingua alcune scelte tattiche del centrodestra. E anche questo ha giocato a suo favore incrementandone la popolarità presso il pubblico neutrale. Se poi a tutto questo si aggiungono la designazione in extremis a capolista dell’Udc del consigliere regionale Rosario Monteleone - «signore delle tessere», esponente dell’elettorato cattolico, già diniano nella Margherita -, e lo scontento, con relativa diaspora, nella Sinistra Arcobaleno, coalizione potenzialmente in grado di aggregare in Liguria il 15 per cento dei voti, si capisce come uno spostamento anche minimo di suffragi nei due campi possa provocare un terremoto. E di conseguenza, per effetto del premio di maggioranza regionale al Senato, proiettare la Liguria da semplice comparsa a protagonista sullo schermo di Palazzo Chigi. Ferruccio Repetti Lazio Il Lazio si gioca, insieme alla Campania, lo scettro della regione con più seggi, tra quelle in bilico. Ventisette senatori e 55 deputati, 40 nel collegio Lazio 1 e gli altri 15 nel Lazio 2. Sicuramente si tratta di una delle realtà più incerte. Le segreterie dei due schieramenti non si sbilanciano e non diffondono sondaggi propri. Anche perché tutti sono convinti che la partita sia tutta da giocare. Un risultato comunque importante per il centrodestra, visto che le ultime consultazioni elettorali locali hanno sempre visto vincere il centrosinistra. E che il candidato premier del Partito democratico è stato per otto anni l’acclamato sindaco della Capitale. La partita si annuncia difficile per il Popolo della libertà, per vari motivi. Walter Veltroni ha concentrato sul Lazio l’operazione immagine delle candidature «di rottura», con la 27enne Marianna Madia capolista nella circoscrizione Lazio 1 della Camera. Lui è il numero due. Seguono esponenti delle istituzioni nazionali e capitoline. Nomi di peso come il rutelliano Paolo Gentiloni, ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi; l’ex ministro Giovanna Melandri e l’ex presidente della provincia Enrico Gasbarra. Il Pdl ha risposto con nomi di rilievo nazionale. Per Lazio 1, nel cappello di lista Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e Fabrizio Cicchitto. Al quinto posto il coordinatore di Forza Italia del Lazio e commissario di Roma Francesco Giro, seguito da Giulia Bongiorno, Sestino Giacomoni e l’avvocato Giuseppe Consolo. Dopo di loro, l’ex presidente del Coni Mario Pescante, Antonio Mazzocchi e Beatrice Lorenzin. La vera partita è comunque quella del Senato. La posta è il premio di maggioranza del Lazio. Per contenderselo il Pdl ha schierato Marcello Pera capolista. E al numero undici Giuseppe Ciarrapico. Il candidato sul quale si è concentrata la polemica di giornata è espressione di una cultura politica ancora forte nel Lazio. Non a caso è la regione sulla quale punta di più La Destra di Francesco Storace e di Daniela Santanchè che guidano le liste, rispettivamente al Senato e alla Camera, circoscrizione uno. E che rappresenta un reale rischio per il Pdl perché potrebbe far mancare la maggioranza relativa alla lista di Silvio Berlusconi. A rendere ancora più aperti i giochi, il fatto che nel Lazio pesa storicamente il voto cattolico. Una chance per l’Udc di Pier Ferdinando Casini, che presenta lo stesso leader capolista su Lazio uno e Alessandra Borghese al Senato. Numero due di Casini, Mario Baccini, fondatore della Rosa Bianca che può contare su una buona cassaforte di voti nella regione. AS Campania Se il Sud fosse - come auspica Massimo D’Alema - «un Paese normale», l’emergenza-rifiuti in Campania e l’improvvisa senescenza del rinascimento bassoliniano dovrebbero determinare automaticamente l’esito della prossima tornata elettorale a Napoli e dintorni. In realtà, il Pdl dovrà tenere conto di alcune variabili «indipendenti» per vincere le consultazioni campane. Soprattutto, della tradizionale «simbiosi» tra base elettorale e classe politica. Sin dai tempi di Achille Lauro e di Antonio Gava il voto in Campania era un fenomeno imprescindibile dalle implicazioni tangibili in termini di posti di lavoro o di scanni negli enti pubblici. Alle prossime elezioni questo meccanismo rischia di saltare, soprattutto nel centrosinistra. Ciriaco De Mita ha portato armi e bagagli nell’Udc, mentre Clemente Mastella ha rinunciato. Altri punti di riferimento «storici» non avranno visibilità in Parlamento: da Paolo Cirino Pomicino a Rosa Suppa ad Antonio Martusciello e Alfredo Vito. Se il Pdl ha scelto il turnover, il Pd un po’ c’è stato costretto. «Gli organi di partito si stavano formando - spiega il candidato democratico al Senato, Riccardo Villari - mentre le elezioni hanno determinato un’accelerazione governata a livello centrale. In più il pudore impostoci dalla situazione dei rifiuti ci ha costretti a un dibattito in sordina sulle candidature». E così alla Camera (Campania 1 e 2) per il Pd ha prevalso l’effetto-loft: Massimo D’Alema e la giovane Pina Picierno capilista per depotenziare il ricordo di Bassolino e il «popolare» Marco Follini numero uno per il Senato. Poi, oltre al giovane anchorman cattolico, Andrea Sarubbi, una serie di nomi legati alla dialettica correntizia: dalla moglie del governatore Anna Maria Carloni all’assessore Teresa Armato fino ai prodiani Santagata e Sircana. Il malcontento creatosi in molte province (Caserta e Avellino in particolare) lascia ben sperare il coordinatore regionale di An, Mario Landolfi. «Ci sono i presupposti per un’affermazione netta sia alla Camera che al Senato anche perché ritengo che potremo intercettare i voti Udeur», racconta. L’effetto-De Mita? «Per affermarsi al Senato l’Udc avrà bisogno di 250mila voti. Non sarà facile». Il Pdl, come detto, si è riorganizzato rimodulando la propria squadra: l’ex governatrice di Nassirya Barbara Contini capolista al Senato in compagnia del prefetto Raffaele Lauro. Alla Camera spiccano l’ex parà Gianfranco Paglia e il prefetto Maria Elena Stasi. E il capolista è Silvio Berlusconi. Gian Maria De Francesco Calabria Candidature e campagna elettorale tutte all’insegna dell’ordine pubblico per una delle regioni con più problemi di sicurezza. Undici liste, a dimostrazione di come la politica sia ancora un’attività importante nel Sud italia. E di come le formazioni minori puntino sulla frammentazione che emerge dalle intenzioni di voto. Gli ultimi sondaggi disponibili risalgono alla metà di febbraio (realizzato da Finedit per il Quotidiano della Calabria) e danno il Popolo della libertà in netto vantaggio sul Pd: 22,1 per cento contro il 17,6. Seguono, molto a distanza, l’Udc e la Sinistra arcobaleno, entrambi con il 3,2 per cento. Ma la maggioranza assoluta è quella di chi non ha scelto. Quando è stato realizzato il sondaggio gli indecisi erano il 46,8 per cento, le schede bianche il 4,2 per cento. Percentuali che oggi potrebbero essere un po’ diverse. Ma il clima di incertezza rimane forte. Pesano le travagliate vicende regionali. Come quella che ha coinvolto il presidente della regione Agazio Loiero, uscito indenne da una vicenda giudiziaria, ma che si è visto escludere dalle liste del Pd i suoi candidati del Partito democratico meridionale. «Una sconfitta cocente», ha ammesso. Ma il voto calabrese sembra soprattutto orientato alle vicende nazionali. Il confronto più atteso sarà tra le teste di lista di Pd e Pdl. Alla Camera ci sarà da una parte l’ex viceministro all’interno Marco Minniti, testa d’uovo Ds negli anni dalemiani e ora patron del Pd calabrese. Seconda in lista da Rosa Maria Villecco Calipari, vedova di Nicola Calipari e già senatrice. Se la vedranno, oltre che con i capilista «nazionali» Berlusconi e Fini, con il repubblicano Francesco Nucara e con Santo Versace, esponente della famiglia calabrese che ha portato la moda italiana nel mondo. In lista anche Jole Santelli, calabrese e giovane sottosegretario alla giustizia nel governo Berlusconi. La vicenda della sicurezza tiene banco soprattutto al Senato. Il Partito democratico candida capolista l’ex superprefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena mentre il Pdl risponde con il magistrato Francesco Nitto Palma, senatore uscente di Forza Italia, in passato pubblico ministero in processi quali il Moro Ter e l’inchiesta su Gladio. Italia Dei Valori candida, invece, la baronessa Teresa Cordopatri, alla quale la ”ndrangheta ha ucciso il fratello nel 1991. La Sinistra arcobaleno presenta il presidente uscente della Commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione. AS