La Stampa 11 marzo 2008, Marco Belpoliti, 11 marzo 2008
PISTOLE AD ACQUA
La Stampa 11 marzo 2008.
Asini che volano, ma con ampia sella e sicure staffe. L’immagine si impone nel momento in cui escono i dati sulla scuola italiana: il 70 per cento degli studenti è insufficiente - gli asini decollano - con una media di quattro insufficienze a testa. Ma a tenerli bene in sella provvedono i loro insegnanti. Evidentemente i ragazzi studiano ben poco e tuttavia i loro docenti non se la cavano meglio. Una situazione tragicomica eppure decisamente allarmante. La scuola a picco sui due lati del sistema, docenti e discenti uniti nella discesa.
I ragazzi di sicuro non studiano molto: troppe materie.
Troppe cose da sapere, troppo tempo trascorso a scuola, carichi di studio eccessivi. Inoltre tra loro vige la convinzione che ben poco di quello che s’apprende a scuola serve davvero nella vita e soprattutto nel lavoro. Altre sono le fonti a cui abbeverarsi per gli aspiranti asini: televisione e internet. Le ricerche, sempre più diffuse, si fanno nel web a forza di taglia e incolla. Ed è lì che ci si informa, visto che di formazione si parla ben poco tra i ragazzi. La scuola appare loro più un luogo di socializzazione che non di apprendimento. Quest’ultimo è rimandato sempre più in là e affidato ad altri: corsi post diploma, università, imprese. La formazione vola via verso la fine della filiera, tanto poi nessuno farà il mestiere per cui ha studiato.
E poi, che cosa si studia? Con quali programmi e con quali progetti? Provate a leggere le parole con cui le teste d’uovo degli ultimi ministri - sinistra in primis - hanno infarcito i nuovi e ultimi programmi. Su tutto spicca una parola che con lo studio ha ben poco a che fare: cittadinanza. Questo la scuola italiana insegna o vorrebbe insegnare: diventare cittadini. Cittadini del mondo. Di tutto il resto si parla ben poco.
Gli insegnanti, sella e staffe degli asini volanti, si trovano in grande difficoltà. Forse non sanno più insegnare o meglio non possono più insegnare come avevano imparato a fare, ammesso che l’avessero imparato. Il voto è un’arma spuntata, una pistola ad acqua. Cosa serve infliggere insufficienze ai ragazzi quando tutti sanno, genitori compresi, che poi le cose si aggiustano, che la scuola ha tutto l’interesse a saldare i loro debiti trasformandoli in crediti? La scuola come un’azienda che sistema i suoi conti a colpi di penna - oggi di computer. La vecchia pedagogia non serve più, e una nuova adatta ai tempi non si intravede ancora. Il mestiere di insegnante è diventato ingrato e frustrante, mestiere usurato, figuriamoci poi parlare di vocazione. Eppure dovrebbe essere così. Ma nella nostra società chi è che si sente più chiamato a fare qualcosa, chi sente le «voci» che lo invitano a seguire la propria strada di medico, di infermiere, di politico o di insegnante? Possibile che nessuna forza politica - a destra o a sinistra - abbia nel suo programma questa emergenza della scuola non meno eclatante di quella dei rifiuti di Napoli?
Più di vent’anni fa Italo Calvino interrogato su cosa sarebbe stato importante sapere per il nuovo millennio aveva risposto: saper attaccare un bottone, imparare una poesia a memoria, saper fare i conti a mente. Meno di così è impensabile. Ma tant’è. Oggi il nulla è diventato un poco, come l’insufficienza una sufficienza. Alè, alè, tutti sul carro dell’Omino di Burro verso il paese dei balocchi!
Marco Belpoliti