La Repubblica 11 marzo 2008, MARIA CECILIA GUERRA, 11 marzo 2008
DOVE SOLDI E SEGRETI SONO BEN CUSTODITI
La Repubblica 11 marzo 2008.
Che cosa è un paradiso fiscale? La definizione è tutt´altro che agevole. Sono sicuramente paradisi fiscali i paesi con una tassazione nulla o puramente nominale, in cui risulta conveniente stabilire la sede di un´impresa (es. una società offshore) che molto spesso non svolge alcuna attività economica sostanziale e a cui attribuire, attraverso diversi meccanismi elusivi, i profitti di altre società, così da evitarne la tassazione nei paesi in cui effettivamente sono generati. Sono poi paradisi fiscali quei paesi che, garantendo un segreto bancario impenetrabile, consentono di compiere transazioni coperte, nascoste agli occhi indiscreti del fisco del proprio paese. Il Liechtenstein, ad esempio, rientra in questo secondo tipo di paradiso fiscale. questa impenetrabilità che attira i capitali dall´estero e rende prospera l´industria finanziaria del paradiso ai danni degli altri paesi, permettendo ai residenti di questi ultimi di aggirarne le norme, di compiere cioè dei reati. Sia ben chiaro, non si tratta "solo" di evasione fiscale. Questi paradisi fiscali possono attirare denaro che proviene anche da altre attività illecite: quello che la criminalità organizzata ottiene dal commercio della droga o delle armi.
Si capisce quindi che i paradisi fiscali rappresentino un pericolo per gli altri paesi e che il loro grado di "pericolosità" sia in buona parte misurato dalla loro maggiore o minore disponibilità a fornire informazioni su movimenti di capitale che potrebbero avere natura illecita. D´altro lato, è proprio su questa scarsa disponibilità a fornire informazioni che si fonda la reputazione dei paradisi fiscali e che spiega quindi la loro resistenza a collaborare. Anche nella migliore delle ipotesi le informazioni che si ottengono dai paradisi fiscali sono informazioni a richiesta: relative cioè a singoli individui, a partire da ben istruite ipotesi di reato.
Questo non è però sufficiente per contrastare l´evasione fiscale. Tale contrasto richiede infatti un´azione di deterrenza, preventiva, che per essere efficace deve essere rivolta all´insieme dei contribuenti. Per tale finalità è vitale un accesso all´informazione su vasta scala.
un tratto comune dell´azione di contrasto messa in atto, al proprio interno, da tutti i paesi che si impegnano seriamente su questo fronte, Stati Uniti in testa, l´utilizzo di metodi finalizzati ad ampliare l´accesso del fisco alle informazioni, fra cui l´interconnessione delle banche dati in possesso delle amministrazioni pubbliche, la tracciabilità degli assegni, l´obbligo di trasmissione di dati imposto a soggetti terzi, eccetera.
Ma anche quando si vogliono contrastare fenomeni di dimensione internazionale la collaborazione fra paesi nel campo della trasmissione delle informazioni è fondamentale, altrimenti non resta che appellarsi a strumenti eccezionali. Si pensi al recente caso della lista di Vaduz, che ha visto la Germania ricorrere addirittura all´intelligence, non per stanare un singolo evasore, ma per acquisire dati su una rete di relazioni finanziarie sospette fra i cittadini del proprio paese e il vicino paradiso fiscale.
Due esempi possono aiutare a capire la dimensione internazionale del problema.
1) In risposta alla liberalizzazione dei movimenti di capitali, tutti i paesi dell´Ue avevano progressivamente eliminato la tassazione sugli interessi percepiti da soggetti non residenti. In questo modo ognuno di essi era divenuto paradiso fiscale nei confronti degli altri: l´italiano che investiva in Italia era tassato sugli interessi percepiti; non lo era invece se investiva in qualsiasi altro paese europeo, perché in quel paese non c´era alcun prelievo sui non residenti. Per arginare questo fenomeno, l´Unione europea, al termine di un percorso durato circa 15 anni, ha introdotto una direttiva che rende possibile la tassazione da parte del paese di residenza, grazie ad uno scambio di informazioni automatico, che riguarda cioè tutti i cittadini e tutti i pagamenti di interesse. Ma questa direttiva, pure molto importante, ha un tallone d´Achille: per funzionare deve coinvolgere non solo i paesi Ue, ma anche i paesi con cui esistono maggiori relazioni finanziarie, dalla Svizzera a Monaco a San Marino al Liechtenstein. Con questi paesi alcuni accordi sono stati raggiunti, ma come dimostra il recente dibattito in sede Ecofin, c´è ancora molta strada da fare.
2) Molte delle frodi che riguardano l´Iva avvengono attraverso operazioni triangolari, che coinvolgono più paesi. Queste operazioni si avvalgono dell´interposizione di una società fittizia fra le due società coinvolte nella transazione oggetto di tassazione. Per combattere questo tipo di evasione è necessaria una cooperazione fra paesi, che si fondi proprio su quello scambio di informazioni che così difficilmente si riesce ad ottenere dai paradisi fiscali.
Non è un caso che proprio sul delicato terreno dello scambio di informazioni si stiano incontrando forti difficoltà a chiudere l´accordo fra il nostro paese e San Marino, che dovrebbe portare a non includerlo più fra i paradisi fiscali. San Marino, infatti, non solo è disponibile a offrire la sua collaborazione nella lotta alle frodi fiscali solo in casi molto circostanziati, a fronte di indizi chiari e precisi, ma è anche molto determinato a non volere aderire alla richiesta di collaborazione nelle azioni di contrasto all´evasione dell´Iva, specie messe in atto attraverso operazioni di triangolazioni, ed altre affini.
Si può concludere osservando che, data la sua dimensione e rilevanza, il problema dei paradisi non può essere affrontato dai singoli stati, sulla base di accordi bilaterali, ma richiede azioni multilaterali, quali quelle messe in atto dall´Ocse, che fra il 2000 e il 2008 ha ottenuto da tutti i paradisi fiscali contro cui ha ingaggiato la sua battaglia (ad eccezione di Andorra, Liechtenstein e Monaco) primi accordi su maggiore trasparenza e più ampia disponibilità allo scambio di informazioni.
MARIA CECILIA GUERRA