La Repubblica 6 marzo 2008, ELENA DUSI, 6 marzo 2008
Quell´eruzione alle Galapagos. La Repubblica 6 marzo 2008. "Porta dell´inferno" sarebbe la definizione più esatta
Quell´eruzione alle Galapagos. La Repubblica 6 marzo 2008. "Porta dell´inferno" sarebbe la definizione più esatta. Alcuni scienziati credono però che proprio dall´Averno sia nata la vita sulla Terra, quasi 4 miliardi di anni fa. I vulcani sottomarini, con le loro temperature torride, avrebbero fornito un ambiente ideale ai primi esseri viventi. E il "padre di tutti i vulcani", quello da cui la vita sarebbe partita per colonizzare il resto dell´oceano primordiale, è stato identificato in una fessura del fondale ai piedi delle isole Galapagos. «Questo sarebbe il punto iniziale di dispersione degli organismi viventi» sostiene Charleyne Bachraty, ricercatrice dell´università di Montreal, dopo aver studiato le specie marine che hanno colonizzato i fondali vulcanici al largo dell´Ecuador. Qualche chilometro più in alto si trovano le tartarughe e gli uccelli che ispirarono a Charles Darwin la teoria dell´evoluzione, oltre all´idea che la vita sia nata in "un piccolo stagno caldo", appunto. Bachraty ha presentato lunedì i suoi risultati a Orlando in Florida, nel corso dell´Ocean Sciences Meeting. E non ha risparmiato gli sforzi per convincere i colleghi, anche se sull´origine di "Luca" (il Last universal common ancestor: l´organismo primordiale da cui discenderebbero tutti gli esseri viventi) non esistono certezze, ma solo scuole di pensiero. Da una parte c´è chi crede che tutto sia partito dall´inferno di un vulcano sottomarino, la via più diretta verso il centro della Terra. Altri situano l´origine della vita in cielo (frammenti di materiale organico trasportati su meteoriti attraverso lo spazio). A metà strada, c´è chi ritiene che ad accendere la prima scintilla sia stato un fulmine così potente da "dare la scarica" a quel brodo primordiale che era l´atmosfera terrestre una manciata di miliardi di anni fa. «In ognuna di queste ricette - spiega Mosè Rossi, che insegna all´università di Napoli, dirige l´istituto di biochimica delle proteine del Cnr ed è esperto di organismi che vivono in condizioni estreme - il calore è un ingrediente costante». Nel 2000 in un vulcano al largo delle coste dell´Oregon, a 2,4 chilometri di profondità, fu scoperto il batterio più freddoloso, adattatosi a vivere a 121 gradi di temperatura. Ma gli scienziati contano di arrivare a forme di vita capaci di resistere a 140-145 gradi. «Le ricerche in questo campo iniziarono proprio da noi, nella solfatara di Pozzuoli e nei vulcani sottomarini al largo di Ischia» racconta Rossi. Non a caso, a due passi dall´Averno. Bachraty ha tracciato la mappa dei vulcani sottomarini con la distribuzione delle specie viventi. Batteri, minuscoli vermi, crostacei e gamberetti si sono adattati a resistere a temperature di cento gradi senza che il loro codice genetico si spezzi in mille frammenti o le pareti delle loro cellule si dissolvano. Ricostruendo tutti i rami dell´albero genealogico degli organismi estremofili (592 specie scoperte in 63 siti diversi nel corso degli ultimi trent´anni), la ricercatrice canadese è arrivata fino alle radici. E ha trovato che Luca, l´antenato comune (o almeno quello che lei crede tale) è vissuto nella bocca di un vulcano all´estremità orientale del Pacifico, dove tre placche tettoniche si allontanano fra strattoni ed eruzioni di lava bollente. Proprio qui, nel 1977, fu scoperto il primo camino fumante sottomarino. Allo spettacolo del getto d´acqua che si spandeva in mare a 400 gradi di temperatura si sommò lo stupore per le forme di vita formatesi nel sottosuolo e per quelle che sulle pareti del vulcano, a oltre cento gradi, riuscivano a sopravvivere egregiamente. Da allora gli scienziati si sono immersi migliaia di volte nella miriade di fumarole e geyser che costellano i fondali degli oceani in tutto il mondo. A bordo di piccoli sommergibili capaci di raggiungere i 4.500 metri di profondità a pressioni estreme (buio totale e scricchiolii continui sono una costante dei racconti di chi è stato lì sotto) e con l´aiuto di robot muniti di pinze, hanno prelevato campioni di acqua e dei sali che costituiscono le pareti dei camini (strutture alte fino a 50 metri, che si spezzano quando diventano troppo alte). Poi li hanno studiati in laboratorio, con l´aiuto dell´analisi del Dna. «Ma scavando un po´ ovunque nella crosta terrestre - prosegue Rossi - a 4 o 5 chilometri di profondità è possibile trovare archeobatteri: gli eredi delle prime forme di vita. Questi organismi hanno strutture cellulari talmente solide da resistere a condizioni di vita e a temperature estreme. Le loro abitudini di vita possono essere estremamente bizzarre: c´è chi si riproduce ogni cento o mille anni, quando finalmente incontra le condizioni ambientali giuste e accumula abbastanza energia. Stiamo scoprendo i loro segreti e abbiamo imparato a riprodurli per le prime applicazioni industriali». Nel frattempo, la caccia ai crogioli della vita si sta spostando su Marte. Nel sottosuolo di uno dei suoi satelliti, Europa, sono state individuate tracce di attività vulcanica. Trovare la vita là sotto metterebbe d´accordo le due fazioni: quella di chi crede nel cielo e quella che sostiene il primato dell´inferno. ELENA DUSI