Corriere della Sera 9 marzo 2008, Alessandra Mangiarotti, 9 marzo 2008
Lo strappo di 13 università: siamo serie A. Corriere della Sera 9 marzo 2008. Il documento è stato inviato a tutti i candidati premier alle prossime Politiche
Lo strappo di 13 università: siamo serie A. Corriere della Sera 9 marzo 2008. Il documento è stato inviato a tutti i candidati premier alle prossime Politiche. Porta la firma di undici università eccellenti, quelle di altri due atenei sono in arrivo. E, di fatto, ha la valenza di una dichiarazione d’indipendenza: «Siamo università di ricerca, controlliamo i costi, guardiamo oltre i confini nazionali, e siamo pronti a firmare un patto con il futuro governo. Ma basta finanziamenti a pioggia: i fondi devono essere assegnati in base a criteri di meritocrazia». Una dichiarazione d’indipendenza degli atenei di «serie A», a tutti gli effetti. Innanzitutto dal sistema di ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario alle università: «Più soldi devono essere assegnati agli atenei di eccellenza sulla base dei progetti di sviluppo presentati. Niente rispetto degli obiettivi, niente soldi». Ma anche dalla stessa Conferenza dei rettori (Crui): la frattura si è consumata, per vedere se sia ricomponibile o definita bisognerà aspettare qualche giorno. Già sabato – in occasione del forum organizzato dai rettori firmatari a Bologna, in cui verrà illustrato un progetto aperto all’adesione dei migliori atenei pubblici del Paese’ potrebbe essere infatti ufficializzato il divorzio tra «atenei di ricerca» e «atenei di istruzione », giusto per utilizzare la distinzione introdotta con successo nei Paesi anglosassoni. Sono una ventina, su 77 pubbliche, le università che rientrerebbero nella prima categoria: a loro fa riferimento il 40 per cento della popolazione studentesca. Undici quelle che hanno firmato l’appello: Politecnica delle Marche, Bologna, Calabria, Milano- Bicocca, Politecnico di Mi-lano, Modena e Reggio Emilia, Padova, Roma Tor Vergata, Politecnico di Torino, Trento, Verona. Due, Ferrara e Parma, hanno dato la loro adesione. «Si tratta – si legge in una nota – di alcuni degli atenei statali che si distinguono per produttività, sostenibilità finanziaria e competitività internazionale». La classificazione degli atenei passa infatti dal riconoscimento di alcuni requisiti base. Il primo, indispensabile: le università d’eccellenza devono vantare una produttività superiore a quella media e avere una spiccata politica di internazionalizzazione. Devono inoltre possedere almeno due di altri tre punti fermi: avere una sostenibilità finanziaria che vede i costi fissi del personale incidere per meno del 90 per cento sul finanziamento statale; vantare una massa critica di almeno 15 mila studenti tra lauree triennali, magistrali e dottorati; figurare in almeno una delle più autorevoli classifiche accademiche internazionali (come quella del quotidiano The Times di Londra o dell’Università Jao Tong di Shanghai). Di fatto, a poter vantare tali requisiti di eccellenza, sono le stesse università «virtuose » che lo scorso autunno avrebbero meritato gli «incentivi » promessi dal patto per l’università siglato ad agosto tra governo e vertici degli atenei. I fondi sono stati però bloccati, utilizzati in parte per tamponare la vertenza con gli autotrasportatori. E in parte, dicono gli stessi rettori firmatari, proprio per garantire la sopravvivenza delle altre università. Alessandra Mangiarotti