La Stampa 6 marzo 2008, Marco Belpoliti, 6 marzo 2008
Gadda la cognizione. La Stampa 6 marzo 2008. Eccola qui la «fottuta casa di campagna di Longone», «la strampalata casa che gli rimase appiccicata fino al 1937
Gadda la cognizione. La Stampa 6 marzo 2008. Eccola qui la «fottuta casa di campagna di Longone», «la strampalata casa che gli rimase appiccicata fino al 1937. Panorama stupendo sui laghi brianzoli, Monte Resegone», come scrive Carlo Emilio Gadda in una lettera. Saliamo a Longone al Segrino in una giornata nebbiosa che preclude lo sguardo verso le montagne, saliamo fendendo gruppi colorati di ciclisti che scendono senza alcun timore le rampe e i tornanti dell’Alta Brianza zigzagando tra le automobili. La più bistrattata e la più celebrata dimora letteraria del Novecento è lì, alla fine della salita, tra muriccioli di manzoniana memoria: un casone tozzo di due piani, appoggiato alla collina con una vistosa superfetazione sul fianco. Sul terrazzo, luogo centrale della Cognizione del dolore, è stato alzato un nuovo terrazzo, e il vecchio è coperto di vetrate. Hanno anche sostituito le ante a scomparsa con le tapparelle che danno al tutto l’idea di qualcosa di posticcio, inelegante, sgraziato. Il porticato che il padre dello scrittore, Francesco Gadda, aveva costruito per «consentire d’entrar in casa in carrozza, se pioveva», non c’è più. Tamponato a livello del suolo per ricavarvi altre stanze. In questa dimora di vacanza - la famiglia Gadda viveva in casa d’affitto a Milano - l’«Ingegnere in blu», come lo ha definito Alberto Arbasino, ha steso molte pagine. Luogo infantile, ma anche disgrazia della sua vita che non finisce mai di vituperare e maledire, è un parallelepipedo che gli ultimi lavori di ristrutturazione nei fatidici anni 70 hanno devastato definitivamente. Anche il giardino della casa è stato deturpato: diviso in due lotti, è adesso assediato da una serie di villette unifamiliari brutte e sciatte, oggetto del desiderio della media borghesia brianzola. Nel 1964, a boom economico trionfante, scrivendo a una amica, Gadda dichiara: «Il cemento e la plastica e lo scatolame hanno coperto anche la terra di Lombardia, la verde Lombardia non è più. Viviamo in un tetro inferno, dovunque è arrivato il cosiddetto miracolo!». E se potesse vedere oggi, a settant’anni dall’ultima volta che è stato qui - era il 1938 -, cosa scriverebbe nel suo immaginoso e inventivo linguaggio di questa terra ulteriormente devastata? la città molecolare, tutta fabbrichette, villini, case squadrate e tristi, centri commerciali, supermercatoni del mobile e della cameretta. Eppure in tanti preferiscono venire ad abitare qui, tra i Lukones, come li ha battezzati nella Cognizione del dolore, «nell’arrondimento del Serruchón, questo in provincia di Novokomi (...) un villaggio con officina de correos (ufficio postale), telefono, lavatrice, tabacchi, medico condotto, ecc.». Serruchón sta per Resegone, totem-orografico delle genti del luogo, dallo spagnolo serrucho, sega. Casa per Gadda fa rima con Madre. lei, la Madre, la Signora per antonomasia, l’abitatrice prima di Villa Pirobutirro, la protagonista del romanzo attraverso cui il figlio si è vendicato delle innumerevoli e tristi sofferenze inflittegli dalla costruzione e dal possesso di questo edificio di nessun pregio architettonico. La storia dell’edificio, della sua costruzione e del suo «fallimento», è narrata in un racconto redatto da Carlo Emilio nel 1929 e rimasto sino a pochi anni fa inedito: Villa in Brianza. Lì c’è tutto o quasi. Vi compare, unica apparizione nelle carte del figlio, Francesco Gadda, costruttore della dimora estiva, sotto il nome del signor Francesco Pelegatta. A lui si deve il portico, il loggiato, il terrazzo e quell’accesso alla casa direttamente dalla strada, vicino a un basso muretto, che costituì uno dei tormentoni dell’Ingegnere, preoccupato di vederlo scavalcare da malintenzionati. Nel racconto ficcante di Villa in Brianza il Signor Figlio descrive con incantevole cattiveria gli errori del padre, sino ad arrivare alla causa dei suoi dolori più immediati: Madama Ipoteca. Si tratta, come ha raccontato Paola Italia, che ha indagato le carte di rogito di questa casa a due piani di 12 stanze, più cantina e annessi al piano terra, della sorellastra di Carlo Emilio, Emilia figlia di primo letto del padre. Francesco Gadda, dopo la morte della moglie, si era risposato con Adele Lehr, e ne aveva avuto tre figli: Carlo Emilio, Clara ed Enrico. Poco prima di morire, nel 1909, Francesco aveva restituito alla figlia la «controdote» costituita dalla prima moglie e aveva acceso una ipoteca sull’immobile, cosa che aveva costretto l’Ingegnere a provvedere economicamente a tale estinzione in qualità di capo-famiglia, con le rinunce e le privazioni che non smetterà di descrivere nelle lettere. Sembra incredibile che questo edificio sgraziato e tozzo, venduto solo dopo la morte della madre nel 1937 a un certo avvocato Calabi della Banca Commerciale, probabilmente per 100.000 lire, una cifra diventata poi quasi nulla dopo la guerra a causa dell’inflazione, abbia potuto creare un così vasto lago di risentimenti e rancori da cui ha tratto alimento, quale diga di amarezza e scorno, la centrale elettrica della Cognizione del dolore. Oggi gli appartamenti sono cinque. Sul campanello anche il cognome di un famoso studioso di Gadda, Isella: nessuna parentela. Ci accompagna nella visita l’avvocato Ciccarone. Abita nell’appartamento dove c’è il famoso terrazzo e l’angusto giardinetto retrostante, cui si accede, dopo aver superato l’ostacolo di un «gradino di serizzo». consigliere di minoranza in Comune, di Forza Italia, e s’oppone all’allargamento della antica stradicciola, quella percorsa dalla madre per andare al cimitero dove sono sepolti il padre e il fratello di Carlo Emilio, Enrico, morto durante il primo conflitto mondiale in un volo di ricognizione. Ci parla in modo pacato della casa stravolta, e delle speculazioni edilizie lì intorno. Mario Porro, nostro mentore nella visita, ci rammenta che questa non è solo la casa dei dolori, ma, stando a un passo del Castello di Udine, un luogo di dolcezza: «una musicalità perduta e nostalgica mi richiamò la mia casa di Brianza, i lunghi pomeriggi e le sere del luglio trascorsi correndo, giocando, amici delle saettanti rondini, gli anni che i miei fratelli avevano piccole mani, purissimi occhi: gemme che coprivo di baci». proprio vero che la nostalgia è spesso alla base del rancore. Meglio: la malinconia non esplicitata diventa un risentimento sicuro. Non buono per vivere, ma certamente, nel caso del Gaddus, ottimo per scrivere. Marco Belpoliti