Il Giornale 22 febbraio 2008, Luciano Bianciardi, 22 febbraio 2008
Il costume visto da uno scostumato. Il Giornale 22 febbraio 2008. ANARCHIA «Io sono anarchico, nel senso che auspico una società basata sul consenso e non sull’autorità
Il costume visto da uno scostumato. Il Giornale 22 febbraio 2008. ANARCHIA «Io sono anarchico, nel senso che auspico una società basata sul consenso e non sull’autorità. Certi amici mi dicono: ”Ma tu vuoi la luna, allora!”. E io rispondo di sì: voglio questa luna, non quella degli astronauti. Quella di Leopardi, come luna, grazie al cielo già l’ho» (13 settembre ”71). BARDOT BRIGITTE «una sapiente scelta di tratti ”medi” facilmente proponibili alla ammirazione delle masse, specialmente femminili: la dattilografa, la segretarietta, la commessa sono spesso fatte in quel modo, iponutrite e stirate dal lavoro e dalla grande città» (22 luglio ”65). BUZZATI DINO « il rappresentante per l’Italia di Kafka» (15 novembre ”71). CALCIO (IN TV) «Meglio ancora se, al posto di una sola partita, ci dessero, la domenica, un’agile serie di riprese in diretta dai vari stadi della penisola» (1 maggio ”66). CELENTANO ADRIANO «presto lancerà, oltre ai dischi e alle canzoni urlate, una sua poetica, anzi una sua filosofia totale, scriverà libri e interverrà nei dibattiti sull’alienazione e sull’incomunicabilità, come ogni intellettuale accreditato» (1 luglio ”62). CENSURA «è quasi sempre, più che un’imposizione dall’alto, un cedimento supererogatorio dal basso. E più spesso figlia della paura e del conformismo che dell’autorità inquisitoria. Proprio per ciò essa è la negazione della democrazia» (7 gennaio ”64). CHIARI WALTER «l’altruismo, il candore quasi musulmano del bigamo, il filo rosso di pazzia lombarda che traspare sempre dai suoi discorsi, la voglia scatenata di regalare sempre qualcosa, una risata, un maglione, un’avventura» (24 novembre ”63). COMUNISTI «Il piccolo borghese in buonafede (come ritiene d’essere [...] chi scrive) è costretto, se vuol capire quel che vogliono i comunisti, ad un vero e proprio lavoro di traduzione, a ripetersi nel suo linguaggio quel che i comunisti han detto nel linguaggio loro» (13 aprile ”54). FIGLI «Quando ci decideremo a vestirli peggio e nutrirli meglio, questi nostri figli, sarà sempre tardi» (8 aprile ”65). GIAPPONESI «Speriamo una cosa sola: che questi giapponesi non riescano a fotografare la bomba atomica. Altrimenti trovano il modo di rifarla identica, grossa come una noce, disponibile sul mercato al prezzo di cinquemila lire» (11 settembre’ 66). GIORNALISTI «Tre mesi di giornale bastano a far dimenticare anche al più generoso fra gli uomini l’esistenza del lettore» (23 febbraio’ 60). INDUSTRIALI «i nuovi principi che non possono più comprarsi un blasone, comprano una squadra di calcio, o un mazzetto di intellettuali, per farsene una corte» (1 gennaio’ 55). LUNA «Ora, può anche darsi che la corsa allo spazio sia una specie di surrogato della Terza guerra mondiale. [...] Sono ricchezze e energie buttate al vento, ma sempre meglio questo che il conflitto armato» (gennaio’ 70). MILANO «la primavera non esiste più. Le stagioni si sono ridotte a tre, e cioè l’estate, l’inverno e la Fiera»; «il bambino milanese impara verso i cinque anni che le uova le fanno le galline e il latte le mucche» (19 maggio’ 63). PUBBLICITARI «Stiamo assistendo al sorgere di attività nuove [...], e che noi chiameremo quartarie. Il posto d’onore toccherà alla professione del pubblicitario: costui non produce, non trasforma, non scambia, ma stimola, aiuta, consiglia» (19 maggio’ 59). SESSANTOTTO «[viene] il dubbio che qui noi stiamo assistendo, non già alla rivoluzione, ma a un semplice trapasso del potere da una generazione all’altra. Il dubbio che i figli si stiano preparando a conquistare il diritto di mandare la polizia a bastonare, fra venti anni, i nipoti. già successo altre volte» (26 maggio’ 68). TELEVISIONE «è un ente solo per definizione burocratica, di fatto è uno strumento, un mezzo. Non esiste perciò la Lingua della Televisione in assoluto. La televisione parla come noi altri -tutti quanti- vogliamo che parli» (4 febbraio’ 65). TOT «Charlot a un certo punto divenne Charles S. Chaplin e fu chiosato dagli Aristarchi di tutto il mondo, pronti a buttarla in cultura, lui rimase Totò, e non mai Antonio De Curtis eccetera (aveva almeno sei cognomi)» (21 maggio’ 67). Luciano Bianciardi