Note: [1] Tonio Attino, La Stampa 8/3; [2] Alessandro Piperno, Corriere della Sera 8/3; [3] Fulvio Milone, La Stampa 28/11/2007; [4] Carlo Vulpio, Corriere della Sera 28/11; [5] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 26/2; [6] Giusi Fasano, Corriere dell, 28 novembre 2007
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 10 MARZO 2008
«Scarcerate Pappalardi». la richiesta della petizione con un migliaio di firme arrivata sul tavolo del gip Giulia Romanazzi che oggi deciderà il destino di Filippo Pappalardi, camionista di 42 anni arrestato il 27 novembre con l’accusa di avere ucciso i figli a Gravina in Puglia. Il comitato chiede che sia liberato dopo gli ultimi avvenimenti: il ritrovamento dei corpi in fondo a un pozzo a poche centinaia di metri da casa e i risultati degli esami medico-legali secondo cui i ragazzini non hanno subito alcuna violenza ma sono morti per le ferite riportate nella caduta (Francesco) e di fame e freddo (Salvatore). [1] Alessandro Piperno: «Dal poco che ne sappiamo, sembra essere stato già condannato per ragioni biecamente lombrosiane». [2]
Filippo Pappalardi e Rosa Carlucci si sono sposati nell’89 e lasciati nel ”97: dopo otto anni di violenze e soprusi, incomprensioni e litigi. Fulvio Milone: «In tribunale la causa di separazione fu lunga e dolorosa. Rosa accusava il marito di maltrattare lei e i figli: oltre Ciccio e Tore, anche la primogenita, F., che oggi ha 17 anni. Lui contraccambiava dicendo che Rosa non sapeva educare i bambini, era assente e ”moralmente inadeguata” alla gestione della casa». Il gip Giuseppe De Benedictis nell’ordinanza di custodia cautelare contro Pappalardi: «Il suo ragionamento era semplice: a lui toccava il ruolo di padre-padrone e di portare i soldi a casa. I figli dovevano andare a scuola e il pomeriggio Ciccio l’avrebbe dovuto aiutare in officina». [3]
Nel 2001 il tribunale aveva affidato i bambini al padre, non essendo Rosa più in grado di mantenerli. Milone: «Ciccio e Tore erano andati a stare con Filippo e la sua nuova compagna, Maria Ricupero, che aveva già due figli da un matrimonio precedente e che da Pappalardi ha avuto un’altra bambina che oggi ha 4 anni. I bambini dovevano rispettare regole assurde e orari rigidissimi. Erano guai se rincasavano con un po’ di ritardo; le loro continue fughe, spie di un malessere che un adulto avrebbe dovuto comprendere, erano punite duramente. Vivevano come in una scuola militare d’altri tempi: i bambini-reclute dovevano un’obbedienza pronta e assoluta al comandante». [3]
Le sera del 5 giugno 2006, sostiene l’accusa, Pappalardi sarebbe rientrato a casa poco dopo le otto e non avrebbe trovato i figli. Carlo Vulpio: «Si è arrabbiato ed è andato a cercarli. Li avrebbe trovati in piazza Quattro fontane, che giocavano e si bagnavano con gavettoni e pistole ad acqua. Qui, Pappalardi, secondo la testimonianza di un altro ragazzino, sarebbe stato visto rimproverare i figli e farli salire in auto». [4] I cadaveri dei due bambini sono stati ritrovati lo scorso 25 febbraio durante il salvataggio di un ragazzino caduto per gioco. [5]
«Non le nascondo che non ci ho dormito di notte. Che ho pianto. Che sto male ogni volta che penso a quei due bambini là sotto al freddo e al buio», ha confidato Angela Rosa Nettis, presidente del Tribunale del Riesame di Bari che il 13 dicembre disse no alla scarcerazione di Pappalardi: «Io credo che il ritrovamento non crei contrasto con l’impianto accusatorio dell’epoca quando gli elementi acquisiti risultarono sufficienti per sostenere il coinvolgimento del padre e la sua custodia in carcere. La situazione non è cambiata, anche alla luce dei due corpi ritrovati. Quando la difesa riuscirà a scalfire l’impianto dell’accusa e a dimostrare che invece lo è, saranno possibili altre valutazioni. omicidio anche se si vede cadere qualcuno o se si sa che è in pericolo di vita e non si fa nulla». [6]
Secondo l’accusa, resta un punto fermo, e cioè che quella sera Pappalardi fu visto nella piazza delle quattro fontane con i suoi figli. Nettis: «E mi chiedo: qual è il padre che non vede tornare a casa i suoi figli e che alle sei e mezzo del mattino se ne va a lavorare? Lui ha dimostrato quantomeno noncuranza, indifferenza e disaffezione». [6] Piperno: «A questo punto è lecito domandarselo: ci troviamo di fronte all’ennesimo caso in cui gli inquirenti si innamorano letterariamente d’un affascinante teorema giudiziario? Un uomo sta per essere condannato perché non ha pianto in modo convincente la scomparsa e la morte dei figli? Perché la sua scorbutichezza tradisce indifferenza se non addirittura soddisfazione?». [2]
Pappalardi è stato arrestato anche per alcune frasi intercettate dalla polizia. Essendo le conversazioni in ”gravinese” stretto, la trascrizione è però controversa. Nella conversazione contrassegnata dalla progressiva N.5480, secondo la difesa Pappalardi dice alla convivente «se fanno del male ai bambini, mai sia, mi uccido!», secondo l’accusa «non lo dire a nessuno dove stanno i bambini. Come è vero Iddio, mi uccido». Nella conversazione N.12 tra Pappalardi e Giuseppe Alloggio, a 60 ore della scomparsa dei figli, la frase «devo portare l’acqua ai cani; da domenica non ci vengo, dovessero morire pure i cani» sarebbe secondo l’accusa la prova che già sapeva della morte dei figli. [7]
Li avevano cercati ovunque, Ciccio e Tore. Giusi Fasano: «Tranne che nella cisterna alla fine del pozzo, in mezzo alla bella Gravina». Nettis: «Adesso tutti sono bravi a dire questo o quello, con il senno di poi. Ma prima era come cercare un ago in un pagliaio». [6] Paola Ciccioli: «I passi e i secondi sono le nuove unità di misura della tragedia di Gravina in Puglia. I passi, 133 piccoli passi di bambino, sono quelli che separano il rudere dentro il quale sono stati recuperati i corpi di Francesco e Salvatore Pappalardi dagli scalini di accesso alla Pineta comunale del paese, luogo in cui il padre Filippo aveva sollecitato le ricerche la sera stessa della scomparsa dei due fratelli, il 5 giugno 2006. I secondi, non più di 30, mezzo minuto, quelli che i ragazzini, magari correndo, possono aver impiegato per lasciare il giardino pubblico, dove Ciccio e Tore erano ”soliti andare a giocare”, e scavalcare il muro di cinta dell’antico edificio dove, in fondo a un pozzo profondo 25 metri, hanno smesso per sempre di respirare a 13 e 11 anni». [8]
Serve un passo indietro verso i verbali stilati nelle decisive prime fasi dell’inchiesta e verso l’ordinanza che motiva l’arresto di Pappalardi, colpevole, secondo i pm, «di una instancabile e reiterata attività di vero e proprio depistaggio». Che oggi, con il ritrovamento casuale dei corpi di Ciccio e Tore, si rivela invece di segno opposto. Relazione di servizio del 9 luglio 2007, firmata dall’assistente della polizia di Stato Nicola Sardone, in servizio presso il commissariato di sicurezza di Gravina: «Alle ore 23.50 del 5 giugno, si veniva a conoscenza dagli stessi Pappalardi Filippo e dalla sua convivente, che i figli minori Francesco e Salvatore di 11 e 13 anni si erano allontanati nel tardo pomeriggio del giorno 5 giugno 2006 senza più dare notizie. Lo scrivente alle successive ore 00.10 lasciava il commissariato per effettuare delle ricerche per queste vie cittadine e in particolare in zona Pineta comunale in quanto i due bambini, a dire del loro padre, erano soliti andarci». [8]
Le ricerche, spettacolari, scattarono la mattina del 7 giugno 2006, quando ormai per i due fratelli non c’era più nulla da fare. ”Cabina di regia” nel commissariato di Gravina, vennero convocati speleologi, responsabili della protezione civile e della forestale. Ciccioli: «A ogni corpo viene assegnato uno spicchio di territorio: i carabinieri battono per 20 giorni la periferia e si spingono fino a Matera. Da Modugno viene fatta arrivare un’unità cinofila e sono attivati anche i sub. La Finanza mette a disposizione pattuglie, mentre per tre giorni di fila gli elicotteri delle fiamme gialle sorvolano le campagne intorno a Gravina, per compiere poi altri sei sorvoli tra la fine di giugno e il 14 novembre. Il 31 luglio, gli istruttori del centro addestramento alpino della polizia di Moena elencano gli 11 ”controlli effettuati in locali, cantine e abitazioni in stato di abbandono”. Il Palazzo Pellicciari, il rudere dove Ciccio e Tore sono distesi in fondo al pozzo, in questo elenco non c’è». [8]
Non si riesce a sapere con certezza se qualcuno è andato a fare il sopralluogo nella «casa delle cento stanze», in particolare nella cisterna dove Ciccio e Tore sono morti. Luigi Liguori, dirigente della squadra mobile di Bari, a capo delle indagini che hanno portato all’arresto di Pappalardi: «Il fondo del pozzo è stato esaminato dall’alto, non serviva andare giù». Ciccioli: «Ma quando è avvenuta la ricognizione? ”Segreto istruttorio” oppone il questore di Bari, Vincenzo Speranza». Un passaggio, nell’atto d’accusa contro Pappalardi, è raggelante. «L’ipotesi di duplice e contemporanea disgrazia appariva scarsamente probabile dato che, salvo pensare a un crollo che avesse fortuitamente coinvolto entrambi o alla ipotesi di una disgrazia accorsa al secondo che magari tentava di soccorrere il primo, per esempio caduto in un vascone per irrigazione, resta il fatto insuperabile che Gravina di Puglia non è un comune d’alta montagna, con crepacci, burroni e slavine pronti a seppellire per sempre i corpi dei malcapitati». [8]
Alla fine dell’atto d’accusa, quasi una premonizione della tragedia: «Se i due fratelli fossero caduti in un pozzo o in un vascone per irrigazione, prima o poi il proprietario lo avrebbe ispezionato, dando l’allarme». Angela Aliani, difensore di Pappalardi: «Una ordinanza obbrobriosa. Un uomo maltrattato, offeso, come con lui è stata offesa la civiltà giuridica». [8] Il giallista Massimo Carlotto: «Si è inseguita un’idea. Hanno messo le microspie e intercettato il padre, hanno sentito alcune sue frasi e questo ha deviato tutto. Sono arrivati fino in Romania e non hanno guardato lì, a due passi dal centro». [9]
Molta gente in buonafede cerca a tutti i costi il colpevole perfetto. Piperno: «Non c’è nulla di più rassicurante di un colpevole. Eppure ci sta che due fratelli giochino. Ci sta che uno dei due caschi in una buca profondissima. E che l’altro, per una toccante fraterna solidarietà, gli vada dietro, inconsapevole (pensate al panico, alla giovane età!) della morte cui sta condannando entrambi. Ci sta che il primo dopo poche ore muoia e che l’altro per un paio di giorni ne vegli il cadavere. Per poi morire a sua volta per le immani privazioni e per la paura. Sì, ci sta. Non per forza dev’esserci un uomo nero dietro». [2]