LiberoMercato 5 marzo 2008, Camilla Conti, 5 marzo 2008
Così Unicredit paga il silenzio sui derivati. LiberoMercato 5 marzo 2008. La lettera è stata inviata a fine 2007 da Unicredit Banca d’Impresa a una società cliente della quale per ovvi motivi abbiamo omesso il nome
Così Unicredit paga il silenzio sui derivati. LiberoMercato 5 marzo 2008. La lettera è stata inviata a fine 2007 da Unicredit Banca d’Impresa a una società cliente della quale per ovvi motivi abbiamo omesso il nome. Una lettera riservata e non producibile in giudizio che la stessa società in questione ha dovuto rispedire controfirmata all’istituto. Dopo che l’azienda aveva sollevato alcune "doglianze" alla banca sui prodotti finanziari sottoscritti, fra le due parti è stato raggiunto un accordo sulla sistemazione bonaria della posizione in derivati su tassi di interesse. "Le parti - si legge infatti nel documento - hanno potuto approfondire ogni utile circostanza raggiungendo una soddisfacente intesa diretta anche al fine, più in generale, di escludere ogni vertenza o contestazione, anche potenziale, comunque connessa a tutti i contratti e/o operazioni in derivati" in modo che "risulti definita ogni reciproca ragione o pretesa a qualunque titolo ricollegabile alle dette operazioni, ancorchè riguardanti altre società del gruppo Unicredito Italiano". Nello stesso documento si sottolinea che la somma dovuta dalla società alla banca per poter procedere all’estinzione anticipata e alla conseguente sistemazione contabile del prodotto in parola ammonta a 0 euro. In sostanza: il derivato lo chiude la banca a sue spese, così come gli interessi sul derivato "a tacitazione di ogni pretesa della società", mentre alla società rimangono da pagare le spese connesse al conto e parte degli oneri connessi. Infine viene richiesto al cliente di certificare "la correttezza dei conteggi afferenti i flussi finanziari già maturati e contabilizzati" rinunciando comunque "sin d’ora la società medesima a qualsiasi potenziale futura contestazione o pretesa al riguardo". Subito dopo, il gioco del silenzio: "La società si impegna a mantenere il presente accordo, nonché ogni informazione allo stesso inerente, strettamente riservati e a non divulgarli in alcun modo - in tutto o in parte - a terzi, riservandosi la banca la facoltà di dichiarare il presente accordo risolto in caso di inadempimento di tale obbligo". Una clausola di riservatezza, assolutamente regolare in punta di diritto, come sottolinea l’avvocato Pierluigi Fadel di Verona che ha all’attivo un centinaio di controversie: "Le banche tendono a chiudere le controversie con accordi transattivi. E questi prevedono una clausola di riservatezza che vieta al cliente di divulgarne il contenuto". La prassi, ormai consolidata, spiega anche perché molti imprenditori rimasti vittime dei derivati offrono ampia documentazione, ma pochi vogliono essere nominati. "E’ disarmante perché quello che è stato chiesto alla società può tradursi cosi: chiudiamo il contratto, mi accollo io tutte le spese e rimaniamo amici come prima ma il prezzo da pagare è il silenzio", ribatte Andrea Consoli, fra i fondatori dell’Associazione delle Vittime dei Derivati. Ponendosi anche un’altra domanda: "Che motivo ha di chiudere il derivato a sue spese una banca il cui amministratore delegato ribadisce a ogni occasione di avere agito correttamente e che Unicredit non è la banca dei derivati? Se i contratti non sono studiati a tavolino in modalità seriale ma offrono un prodotto ad hoc per le esigenze delle aziende e dunque non c’è dolo, perché quando si chiedono spiegazioni assistiti da un avvocato la risposta della banca è sempre chiudere subito tutto a zero spese?". Di transazioni come quella del documento l’Associazione ne possiede almeno una decina. "In un convegno organizzato a Milano sui derivati la scorsa settimana, - aggiunge Consoli - il pm Francesco Greco ha detto che non è facile avere le denunce per la procura. Ebbene, come si può vedere dal documento il "sommerso" è tantissimo". C’è chi ha paura di denunciare ma anche chi ha accettato di non pagare non sapendo che i soldi che gli spettavano erano ben superiori alla mera chiusura del derivato. "Il fenomeno che contestiamo, e che lo stesso Greco ha citato, è anche un altro: non solo i funzionari erano spinti a far budget dalla direzione, ma l’accesso alla centrale rischi è stato anche utilizzato da qualcuno come strumento per individuare imprenditori bisognosi e pronti a firmare documenti pur di uscire dalla crisi finanziaria" Camilla Conti