Il Giornale 5 marzo 2008, Filippo Facci, 5 marzo 2008
C’era una volta il Codice. Il Giornale 5 marzo 2008. Quando vedo episodi come quello di Filippo Pappalardi, il padre dei fratellini di Gravina tenuto in carcere per palese incaponimento dei magistrati (pardon, per «libero convincimento del giudice»), beh, è brutto dirlo, ma del rispetto della Magistratura io me ne sciacquo le tasche
C’era una volta il Codice. Il Giornale 5 marzo 2008. Quando vedo episodi come quello di Filippo Pappalardi, il padre dei fratellini di Gravina tenuto in carcere per palese incaponimento dei magistrati (pardon, per «libero convincimento del giudice»), beh, è brutto dirlo, ma del rispetto della Magistratura io me ne sciacquo le tasche. In Italia, sorry, i magistrati fanno quello che vogliono e come lo vogliono: non ne sconteranno comunque pegno. Possono scrivere, per dire, che Filippo Pappalardi potrebbe «reiterare il reato»: cioè che potrebbe buttare in un pozzo altri due figli che non ha. Gli basta scriverlo, dubbi zero: e tanti saluti a quel Nuovo Codice, datato 1989, che spesso non è stato acquisito neppure da chi dovrebbe applicarlo. La custodia cautelare dev’essere l’extrema ratio? Chi se ne frega. I giudici delle indagini preliminari vergano carte come se fossero magistrati di Cassazione, non li sfiora che la custodia cautelare e il tribunale del riesame non sanciscono colpevolezze né estraneità oggettive, ma solo opinioni soggettive. Non gli frega che il cuore del rito accusatorio dovrebbe essere solo il processo, dove si forma la prova: e gliene frega poco anche ai giornalisti, purtroppo. Si è innocenti sino a sentenza definitiva: una frase vacua e scollata dalla realtà. Si è colpevoli dopo sentenza definitiva: solo una formuletta anche questa. Filippo Facci