La Stampa 6 marzo 2008, NATHAN GARDELS, 6 marzo 2008
Pagheremo l’Iraq. La Stampa 6 marzo 2008. L’economia americana, sull’orlo di una recessione o di qualcosa di ancora peggio, ha di nuovo scelto la guerra in Iraq come argomento chiave della campagna elettorale
Pagheremo l’Iraq. La Stampa 6 marzo 2008. L’economia americana, sull’orlo di una recessione o di qualcosa di ancora peggio, ha di nuovo scelto la guerra in Iraq come argomento chiave della campagna elettorale. Qual è il legame tra i guai economici e quella guerra? «La guerra ha portato dritto filato al rallentamento economico americano. Innanzitutto, prima che gli Usa andassero in guerra in Iraq, il prezzo di un barile di petrolio era 25 dollari. Ora è cento. Certamente ci sono altri fattori implicati nell’aumento di prezzo, ma quella guerra è chiaramente il primo. Anche mettendo in conto la crescente domanda di energia dell’India e della Cina, gli analisti finanziari avevano previsto, prima della guerra, che il prezzo del barile sarebbe rimasto intorno ai 23 dollari per almeno dieci anni. Sono la guerra e l’instabilità che essa ha causato, insieme alla caduta del dollaro per i bassi tassi di interesse e l’alto deficit della bilancia commerciale, i responsabili di questa enorme differenza. Quel prezzo ben più alto significa che i miliardi che sarebbero potuti finire nelle tasche degli americani perché li spendessero a casa loro, sono finiti invece all’Arabia saudita e ad altri Paesi esportatori di petrolio. In secondo luogo, il denaro speso in Iraq non stimola l’economia interna americana. Se assoldi un contractor filippino perché lavori in Iraq, non avrai l’effetto moltiplicatore di qualcuno che costruisce una strada o un ponte nel Missouri. In terzo luogo, questa guerra, a differenza di tutte le altre guerre della storia americana, è stata interamente finanziata con l’indebitamento pubblico. I deficit sono un guaio perché bloccano gli investimenti e accumulano un debito che in futuro dev’essere pagato. Questo danneggia la produttività perché resta poi poco sia per gli investimenti pubblici nella ricerca, nell’istruzione e nelle infrastrutture, sia per gli investimenti privati in macchinari e fabbriche. Fino a pochissimo tempo fa, non abbiamo sentito l’effetto deprimente sull’economia di questi tre fattori, perché la Federal Reserve rispondeva con l’atteggiamento di chi deve tenere un’economia forte indipendentemente da quanto il presidente Bush spende nella guerra in Iraq. Vedendo un’economia debole, la Banca centrale americana ha tenuto bassi i tassi d’interesse, ha stampato moneta sommergendo l’economia di liquidità e girato la faccia dall’altra parte quando cattive procedure di prestiti per la casa gettavano il denaro dalla finestra. I controlli erano fiacchi, il rubinetto delle erogazioni di mutui ben aperto. Solo negli ultimi cinque anni il debito garantito da immobili è salito a più di millecinquecento miliardi di dollari. E’ una somma enorme! Contemporaneamente il risparmio americano è crollato a zero. Così tutto ciò che si spendeva, dalla ricostruzione in Iraq alla tinteggiatura nella propria casa, veniva finanziato con denaro preso a prestito. Tutti i problemi venivano nascosti con il credito. La bolla è scoppiata quando il rapporto tra prezzi degli immobili e salari non è più stato sostenibile. Ora che possiamo vedere dietro la bolla, si individua perfettamente la debolezza economica causata dalla guerra in Iraq. Pagheremo tutto, e con gli interessi. Una delle bizzarrie della globalizzazione è che i cinesi, che all’Onu si sono opposti alla guerra in Iraq, hanno finito per essere tra i suoi maggiori finanziatori, fornendo bond al tesoro americano attingendo alle enormi riserve in dollari che hanno guadagnato con il surplus della bilancia commerciale con gli Usa. Così, una democrazia di consumatori priva di risparmi prende denaro a prestito da uno Stato leninista orientato al mercato per combattere il terrorismo, e tiene libere elezioni in uno Stato arabo dalle quali, per la prima volta in 800 anni, esce un governo sciita! Come possiamo districarci in tutto ciò? «... e gli americani non hanno indicazioni su ciò che stanno appoggiando, il che indebolisce anche la democrazia interna. Ma l’ironia della storia non finisce qua. Questa è la prima guerra americana dai tempi della Rivoluzione che viene finanziata dall’esterno. All’inizio di tutte le altre guerre c’è sempre stato un vero dibattito pubblico sui costi da accollare alle generazioni future e su quelli da sostenere subito con le tasse. Questa è la prima guerra in cui c’è stata una riduzione delle tasse quando è cominciata. La guerra in Iraq non solo è stata finanziata da stranieri, ma è anche la guerra più privatizzata di tutta la storia americana. E i risultati sono singolari. Per esempio, un contractor impiegato nella sicurezza - sto parlando di una body guard, non di un ingegnere altamente specializzato - guadagna più di mille dollari al giorno, spesso più di 400 mila all’anno. Un soldato dell’esercito americano viene pagato infinitamente meno - circa 40 mila dollari all’anno - per gli stessi compiti. Ora tutti sanno che un posto di lavoro dove una persona guadagna dieci volte più di un’altra per fare le stesse cose è un focolaio di malcontento. Così, per attrarre soldati, l’esercito americano ha dovuto offrire dei bonus a chi si arruola. Siamo diventati concorrenti di noi stessi! Questo ovviamente aumenta i costi. Ma le assurdità non finiscono qua. La più grande è che i contribuenti americani pagano l’assicurazione per l’invalidità o la morte dei contractor, ma poi la politica delle assicurazioni è quella di non pagare il premio in caso di ”ostilità”. Per che paghiamo allora? In buona sostanza, il contribuente paga le compagnie in cambio di niente. Bell’affare! Quali sono le stime economiche americane per la guerra in Iraq? «Secondo le stime più tradizionali, questa guerra finora è costata almeno l’incredibile cifra di tremila miliardi di dollari. Una stima più realistica arriva a cinquemila miliardi di dollari, includendo tutti i costi fuori bilancio per i benefit e le cure a lungo termine dei veterani, il ripristino dell’esercito nella sua forza prebellica e il costosissimo ritiro dall’Iraq, con il riposizionamento delle forze altrove nella regione. Poi ci sono le microspese che non sono state incluse tra i costi della guerra. Per esempio, se un soldato viene ucciso in battaglia, la sua famiglia riceve un indennizzo di 500 mila dollari. Questi costi, che non sono stati inclusi nel bilancio di previsione, sono però reali. Non si può continuare a nasconderli sotto il tappeto. Come con la carta di credito, i costi aumentano quanto più li ignori. Infine, chiunque dica che dovremmo restare in Iraq per almeno altri quattro anni - o non meno di cento, come ha detto McCain - deve dire onestamente agli americani come pagheranno il conto di 12 miliardi di dollari al mese. Dove li troveremo? E questo, renderà l’America più sicura? Usciamone il più presto possibile. Soprattutto, smettiamo di fantasticare. Sono quelle fantasie che ci hanno messi nei guai». Secondo lei, questo caos economico è il risultato della fantasia neo-con o di un occultamento consapevole dei costi? «Entrambe le cose. Una fantasia neocon che abbiamo accolto con mazzi di fiori, convinti che avremmo dovuto solo spazzare via i petali delle rose e il petrolio iracheno avrebbe pagato tutto il resto. E un tentativo voluto di nascondere i costi al popolo americano. Come si potrebbe giustificare altrimenti il fatto di non dare alle truppe americane l’equipaggiamento di cui avrebbero avuto bisogno? Come giustificare il fatto di non concedere i fondi per le invalidità dei nostri eroici soldati menomati fisicamente e psicologicamente? Lo si può solo interpretare come un deliberato tentativo di nascondere i costi reali della guerra. L’Amministrazione Bush ha anteposto vantaggi politici immediati alla sicurezza del Paese». I costi economici sono ora venuti a galla minando tutti gli sforzi di sicurezza del dopo 11 settembre. Quando John McCain dice di non essere interessato all’aspetto economico delle cose e comunque di non capirlo, perché lui sa solo come mantenere sicura l’America, questo atteggiamento che cosa dice delle sue capacità di leader? «Se non capisce l’economia, non capisce la sicurezza. Se avessimo risorse infinite, forse saremmo capaci di avere una sicurezza perfetta. Ma l’America, come tutti gli altri Paesi, ha risorse limitate. Questo significa che devi essere abile - cioè economico - con il denaro che spendi. Se indebolisci l’economia americana, non troverai le risorse che servono per la sicurezza. I due aspetti non possono essere tenuti separati». NATHAN GARDELS