La Repubblica 6 marzo 2008, NATALIA ASPESI, 6 marzo 2008
Juno, giù le mani da questo film. La Repubblica 6 marzo 2008. Il film "Juno" di Jason Reitman, carico di premi compreso l´ambito Oscar appena conquistato dalla trentenne Diablo Cody per la miglior sceneggiatura originale, diventato un "caso" in tutti i festival nei quali è stato presentato, da Toronto a Roma, esce in Italia il 4 aprile, nove giorni prima delle elezioni politiche
Juno, giù le mani da questo film. La Repubblica 6 marzo 2008. Il film "Juno" di Jason Reitman, carico di premi compreso l´ambito Oscar appena conquistato dalla trentenne Diablo Cody per la miglior sceneggiatura originale, diventato un "caso" in tutti i festival nei quali è stato presentato, da Toronto a Roma, esce in Italia il 4 aprile, nove giorni prima delle elezioni politiche. Si immagina lo sbandieramento massiccio, del resto già iniziato, del carinissimo film americano usato come una clava, per ragioni molto più politiche che etiche, dai movimenti pro-life e dai sostenitori della famosa e molto confusa «moratoria sull´aborto». vero, Juno, sedicenne rimasta incinta dopo il suo primo e unico rapporto da lei imposto come un gioco, «proviamo!», a un reticente coetaneo, prima pensa d´impiccarsi (con un cordone di liquirizia!), poi di abortire: ma davanti alla clinica c´è una ragazzina con cartello antiabortista che le grida, «ha già le unghie!», e dentro lo squallido studio «che puzza di dentista» solo donne in età, affrante, rassegnate, ed è la sua estrema giovinezza a ribellarsi a quel dolore impotente. Decide quindi di portare avanti quell´impiccio (chiama affettuosamente quel che le vive in pancia, fagiolo, mai bambino): ma non di diventare madre, «perché non sono pronta». Sugli annunci economici cerca una coppia che le piaccia, cui dare in adozione ciò che per lei non può essere un figlio, perché lei non può e non vuole esserne madre. Ma nel film non si parla mai di difesa della vita, non ci sono vescovi o predicatori o profittatori politici che evochino assassinio, il feto non è un personaggio, non c´è il peso del moralismo o del senso di colpa, nessuno che giudichi o minacci o consigli o imponga. Juno ribadisce semplicemente ciò che i pro-life non riescono ad accettare: che spetta alla donna, e solo a lei, anche quando è ancora una quasi bambina, il diritto di decidere cosa fare del proprio corpo, e quindi della propria vita. lei a decidere che non avrebbe senso coinvolgere il ragazzino inaspettatamente padre: «Che ne facciamo?» chiede al timido bamboccione sedicenne, «Fa quello che ti sembra giusto», risponde lui, desolato e spaventato, affidandole ogni responsabilità, impaziente di tornare a correre con i compagni. Ma se ogni decisione è solo sua, irriflessiva e istintiva, immatura, generosa e infantile (quando si immalinconisce, Juno fa scorrere sul pancione un´automobilina giocattolo), il piccolo mondo della sua adolescenza, in un paesotto del Minnesota, le sta intorno serenamente, amorevolmente, in quei nove mesi che attraverseranno le stagioni mentre lei ingrossa e va a scuola (i compagni la chiamano balena vagante, qualche prof la osserva accigliata), in quella pausa sospesa nel tempo che sarà cancellata, che non inciderà sul suo futuro, che non graverà come un macigno sulla sua vita non ancora decisa. La forza del film è nel viso sensibile, allegro e talvolta inquieto, nel corpicino asessuato della giovanissima canadese Ellen Page, nella sceneggiatura premio Oscar, in parte autobiografica, scritta da una bella trentenne che si definisce «femminista liberal», che ha mantenuto il nome, Diablo Cody, di quando s´impegnava, come dice lei, «in atti sessuali in cambio di denaro». Secondo film del regista Jason Reitman (quello del beffardo "Thank you for smoking"), Juno è costato 7 milioni di dollari e ne ha già incassati 124, più dei due grandi premi Oscar messi insieme, "Non è un paese per vecchi" (61 milioni) e "Il petroliere" (31). Parla di adolescenti con una grazia e un realismo sconosciuti ai film per adolescenti, parla di aborto e gravidanza precoce senza deprecazioni sociologiche e morali. E infine suggerisce una domanda: perché un film in cui c´è una ragazza che decide di non abortire viene immiserito, stravolto, avvilito, sino a essere ridotto a un semplice e cinico messaggio antiaborto? Juno è altro, è un commovente, intelligente, divertente racconto sul passaggio dall´innocenza alla presa di coscienza, un viaggio dall´immaturità alla responsabilità, certo pro-life, se la vita è la propria e quella delle persone che si amano; è una riflessione profonda sulla confusa adolescenza di oggi, che consuma il sesso con pigra e spaventata innocenza, sulla distanza tra genitori e figli che l´amore sa colmare, sulla fragilità e inconsistenza maschile, sulla famiglia e infine sì, sulla maternità, sull´immenso potere delle donne, libere di generare e non essere madri, o di essere madri senza generare. Le famiglie del film non sono quelle del family day, papà maschio, mamma femmina, uniti da santo matrimonio più numerosi piccini. Eppure paiono meglio. Il papà di Juno e la sua matrigna accolgono con sollievo la gravidanza della ragazzina («Temevamo che ti avessero espulsa da scuola, che ti drogassi» e poi chi l´avrebbe detto, quel bambinone «non pareva un campione di virilità»). Il papà accompagna la sua bambina incinta dalla coppia yuppie che vorrebbe adottare privatamente (negli Stati Uniti si può) il bambino che non riescono ad avere. Ma si capisce subito che mentre lei, bella ed elegante, nella casa color crema come piace ai ricchi, spasima per avere un figlio, lui già scalpita verso altre storie. Magari con la stessa piccola Juno, con cui divide la passione per i film horror di Argento e il vecchio rock. Alla fine il bambino nascerà, e avrà tutto l´amore che gli spetta, sia pure di un solo genitore; mentre l´ancora bambina Juno avrà tutto il tempo per crescere. Natalia Aspesi