Marco Baldini Il Giocatore Baldini e Castoldi 2005, 6 marzo 2008
Marco Baldini, Il giocatore (ogni scommessa è debito), Baldini Castoldi Dalai editore, 2005, 219 pagine, 14 euro
Marco Baldini, Il giocatore (ogni scommessa è debito), Baldini Castoldi Dalai editore, 2005, 219 pagine, 14 euro. Prima volta. Estate, tempo di vacanze scolastiche. Marco, tredici anni, ozia con gli amici davanti all’officina di quartiere, quando l’elettrauto, Cosimo (detto Vittorio perché nella mano destra gli sono rimasti solo il dito indice e medio), chiude la saracinesca, e fa: «Oh ragazzi, venire con me che andiamo a chiappare un po’ di soldi». In agenzia ippica Marco, unico ad aver seguito Cosimo, gioca e vince (600 lire, tempo dieci minuti). Problema. «Se perdi ti è andata di culo, perché la delusione è grossa e la voglia passa in fretta. Il problema è se vinci. Perché a quel punto sembra che possa durare all’infinito». Litigi. Ma Marco voleva diventare ricco fin da quando aveva sette anni, da quella volta che i suoi genitori litigarono a morte per soldi. La madre, che pure non si risparmiava nei lavori domestici, non riuscendo a far diventare il pavimento della cucina lucido come voleva lei, ebbe l’idea di chiamare un tecnico. La macchina lucidatrice professionale aveva sortito il suo effetto, ma lei non fece in tempo a goderselo che rientrò dal lavoro il padre, che venuto a sapere quanto gli sarebbe costato l’intervento, saltò su tutte le furie (Marco era sul balcone che giocava con le macchinine e per non sentirli si mise a fare brum brum a voce sempre più alta e a fare scorrere le macchinine sempre più veloci). Ricostruzioni. «Penso che la prima molla a spingermi verso il gioco fu la decisione di non essere più povero. Mai più. Volevo denaro facile e lì ce n’era, c’era la chiave per non sentire più il sibilo velenoso di quelle parole, che fanno male ancora oggi come una vecchia ferita mai completamente rimarginata. Questa è la mia ricostruzione dei fatti ma, si sa, sono un giocatore e racconto un sacco di cazzate». Regali. Di nuovo estate. Marco, vent’anni, si ritrova in mano, tutte in una volta, 300 mila lire (deve camparci tutto agosto, è il regalo dei genitori, che patendo per le vacanze marittime, si premurano di lasciargli i soldi per qualche divertimento). Marco gioca, perde 150 mila lire, si gioca le rimanenti 150 per recuperare, ne vince 600. «C’è chi dice che i soldi vinti al gioco sono soldi presi in prestito e che prima o poi li restituisci con gli interessi». Infatti rigioca, e perde tutto. Rimedio: svendere una catena d’oro della mamma, e col ricavato mangiare un giorno sì e uno no fino al ritorno dei genitori (mancano due settimane alla fine del mese). Radio. Oltre al gioco un’altra passione, la radio. Lo prendono a Radio Sesto International per condurre la trasmissione del mattino. «Ai tempi quell’orario era l’inferno delle radio private, con ascolti vicino allo zero a causa della concorrenza imbattibile di Radio Rai. Le uniche e più accanite fan erano le vecchiette del rione confuse dalla manopola della radio e convinte di essere sintonizzate appunto su Radio Rai». La svolta: il presentatore di punta, Carlo Conti, viene investito da un motorino, e Marco lo sostituisce. Salvezza. «Giocare era ormai diventata la mia seconda attività, seconda perché nemmeno nei momenti più bui sono riuscito ad abbandonare il lavoro e dedicarmi completamente al gioco. Penso sia stata la mia salvezza. Ne buttavo tanti ma altrettanti ne guadagnavo, dunque il conto tornava. Quasi, perché la matematica e il gioco non vanno molto d’accordo». Assi. La prima grande perdita durante una partita di poker: due milioni (battuto con un tris di assi da un poker di donne). Marco, trent’anni, si ipoteca la sua Mercedes Benz bianca, e non rimane senza macchina solo perché suo padre gli estingue il debito. Sperando che sia l’ultimo, visto che Marco, nel frattempo, è stato chiamato a lavorare a Milano a un network nazionale, Radio Deejay (primo stipendio cinque milioni al mese). Tentazioni. I primi tre mesi in radio registra le trasmissioni senza successo («I tecnici che a turno assistevano alle mie registrazioni avevano la stessa faccia di chi è rimasto chiuso in ascensore con un o scorreggione»). Un giorno, al colmo dello sconforto, uscito dalla radio segue un itinerario insolito a piedi, finché non si trova davanti un’agenzia ippica ed entra. «D’improvviso mi sentii bene, era come se fossi tornato a casa, mi sentivo come un italiano in America che capita per caso a Little Italy». Febbre. Il 7 luglio 1990 esordisce in diretta. l’inizio del suo successo professionale (ottiene anche l’approvazione di Claudio Cecchetto, il direttore). «Con la tranquillità tornò però anche la febbre del gioco. Anzi, fu un processo diverso, più profondo e grave. La mia fu pigrizia mentale. Feci l’errore più banale e stupido che si possa fare». Vedere in radio Cecchetto, Jovanotti, Albertino, Linus, con le loro belle auto e le loro belle case, gli fa desiderare di fare subito più soldi possibile. «Per me essere un personaggio di successo significava essere subito alla loro altezza, se no non funzionava. Volevo tutto e subito… Volevo e dovevo trovare una scorciatoia e la scorciatoia era là. Pronta davanti a me, là che mi aspettava… Il Gioco». Usurai. «Mi ci tuffai. Forte del fatto che avrei guadagnato sempre di più, investii sulla mia capacità professionale. Giocavo cifre sempre più alte, dalle 20 mila lire passai alle 200 mila lire, per poi toccare il traguardo del milione. Il mio primo milione lo giocai su un cavallo che correva al galoppo e si chiamava come me, Baldini». Perde, e siccome nel giro di due mesi si è ballato due stipendi, ed è sotto di 6 milioni con gli allibratori, comincia a rivolgersi agli usurai. Fresca. ”Denaro”, nel gergo usato da Marco. Uno scudo, per dire 5 mila lire; un deca, 10 mila; un marengo, 20 mila; mezza gamba, 50 mila; un palo o una zucca, 1 milione. Tradimento. Il lavoro va sempre meglio (Cecchetto lo affianca a Fiorello nel programma di punta W Radio Deejay), ma dopo un anno a Milano Marco è sotto di 30 milioni e in giro ha già tre o quattro assegni post-datati (dalla redazione ottiene il primo prestito di 40 milioni). Finché Cecchetto non scopre a che gli servivano i quaranta pali: «La cosa più grave è che hai tradito il tuo talento. Avevo in mente grandi cose per te, adesso non lo so più» (nel frattempo il debito è salito a 200 milioni). Urgenza. Quella volta che un cravattaio gli presta cinque milioni (ma a Marco ne servono 30 subito). «Conoscete un modo per trasformare 5 milioni in 30? Quel pomeriggio, appena uscito dall’ufficio del cravattaio, persi tutti soldi ai cavalli. Proprio così, tutto talmente stupido che basta una riga a raccontarlo». Paghetta. Marco accumula un debito di 300 milioni, ma le sue trasmissioni vanno così bene che Cecchetto pensa che abbia messo la testa a posto, e per aiutarlo gli affianca tale Tony, che si occuperà di pagare i debitori e farà a lui (Cecchetto), un resoconto mensile. Per non farlo più giocare, d’ora in poi darà a Marco solo 200 mila lire a settimana (il resto lo userà Tony per estinguere i debiti). Salvo il fatto che Marco ha ammesso di avere un debito di appena 150 milioni (della metà del debito rimanente, 70 milioni sono al 10 per cento di interesse mensile). Zanza. Per pagare i 150 milioni di debito che ha nascosto a Cecchetto, Marco chiede altri soldi in prestito, e gioca nella speranza di guadagnarli. «Sembravo il dottor Jeckyll, che di giorno era un deejay simpatico della radio più simpatica e che dopo le 14 si trasformava nel peggiore degli zanza da agenzia ippica» (ai 150 pali di debito originario, se ne aggiungono altrettanti di soli interessi). Intanto parte la trasmissione Baldini Ama Laurenti (dove Ama è il diminutivo di Amadeus), che va fortissimo. Idea. «Avete mai provato a vivere a compartimenti stagni, a dedicare un quarto della vostra giornata al lavoro e tutto il resto a naufragare? Io sì e mi sento di sconsigliarvelo». Per tornare a galla a Marco viene l’idea di bancare lui, cioè ricevere le scommesse degli altri e reggere il gioco. Inizia con la partita di calcio Juventus-Fiorentina, puntando sulla squadra viola. A mezz’ora dall’inizio il risultato è 0-2, a fine partita 3-2. Marco perde 11 milioni 700 mila lire da pagare entro il martedì pomeriggio (lunedì Linus gliene presta cinque). Neri. Marco non rispetta una scadenza e i neri (quelli della mala che gli hanno prestato un bel po’ di fresca), gli mettono un sacchetto di plastica in testa e lo saccagnano di botte («lo sapete cosa c’è di peggio di farsi pestare? Prenderle senza veder da che parte arrivano»). Tutto questo all’insaputa di Cecchetto, che invece pensa che Marco si stia togliendo dai guai, e a un certo punto gli passa 3 milioni al mese, anziché 200 mila lire a settimana (il resto serve ancora a pagare i debiti). Ozono. «Volevo smettere di giocare, non ne potevo più, ma ormai ero terrorizzato dalle conseguenze che avrebbe comportato dire la verità a tutti. Continuavo a pensare che l’unica soluzione potesse essere una grossa vincita per coprire la voragine e ricominciare. Oppure avevo bisogno di un finanziatore capace di tappare il buco e rientrare un po’ alla volta. Ma all’orizzonte non si vedeva nessuno con questo profilo e il buco era ormai pari a quello dell’ozono» (ammontare del debito nel 1995: un miliardo, la metà a strozzo). Sollievi. Il sollievo di leggere sul giornale: «Sgominata a Milano una banda di pericolosi banditi pugliesi che da tempo estorceva denaro a privati e commercianti» (tra questi alcuni neri che gli avevano prestato soldi). Quello di ricevere in prestito altri 70 milioni da Linus. Latitanza. La volta che un amico lo avverte che i neri lo vogliono fare fuori, Marco si assenta per un po’ dalla radio (intanto Cecchetto se n’è andato da Radio Deejay), e va a dormire dalle amiche o in albergo per paura che lo vadano a prendere a casa. Finché non riesce a trovare un prestito di 100 milioni, in cambio di 8 assegni da 15 milioni l’uno post-datati di tre mesi (torna a lavorare in radio). Marche. Un tabaccaio gli offre 200 milioni se lui riesce a piazzargli 2 miliardi di marche da bollo (da vendere al 50 per cento). Marco propone l’affare ai neri, che gli chiedono un campione per verificare la genuinità. Infatti le marche sono false, e la notte dell’appuntamento per concludere l’affare, invece se lo caricano in macchina, destinazione ignota. Arrivati - in mezzo ai campi, non una luce, non una macchina di passaggio -, gli danno una pala per scavarsi la fossa. Si salva perché fa il nome di uno della mala (Biscotto), fingendo di essere un suo amico. Lo fanno risalire in macchina, e lo lasciano a piedi a 10 chilometri da casa. «Nemmeno 1000 chilometri mi sembrerebbero molti in questo momento. Cammino e penso… Chi avanza soldi da me si può andare a impiccare, per quel che mi riguarda». Tunnel. «Sono uscito dal tunnel, non senza conseguenze che ancora purtroppo si fanno sentire, anche se in modo molto meno drammatico. Ho dei rimpianti, so che se avessi messo da parte tutti i soldi che ho guadagnato e buttato via avrei comprato casa per me, per i miei genitori e forse ben buona parte dei toscani» (nel frattempo se n’è andato da Radio Deejay, per passare con R.I.N., senza successo, finché non lo ha ricontattato Fiorello). Esempi. «Non sono un moralista, non lo diventerò mai, ma quando vedo un ragazzino che si avvicina al mondo del gioco provo una fitta forte perché ripenso a com’è andata a me e mi verrebbe voglia di dirgli di lasciar perdere. Ma non lo faccio, perché sarebbe ipocrita. Credo infatti nel potere del buon esempio e io non sono un buon esempio». Bugie. «Se ogni tanto gioco ancora? Non chiedetemelo, perché comunque vi direi una bugia».