Lorenzo Salvia, Magazine 5/3/2008, 5 marzo 2008
Centrale del Foro italico, sette e mezza del mattino. Sulle tribune ci sono solo due carabinieri con gli occhiali da sole e l’auricolare da body guard
Centrale del Foro italico, sette e mezza del mattino. Sulle tribune ci sono solo due carabinieri con gli occhiali da sole e l’auricolare da body guard. Silenzio, freddo, un po’ di vento. Dagli spogliatoi sbucano due signori in pantaloncini e maglietta bianca. Qualche scambio per riscaldarsi: un dritto, un rovescio, una volée. La differenza di tocco fa quasi tenerezza. Poi quello un po’ legnosetto si liscia il baffo, si avvicina all’altro e gliela butta lì: «Così mi annoio, Adria’. Facciamo una partita vera. Chi batte per primo?». Comincia come un duello all’alba fra gentiluomini il primo singolare della storia fra Adriano Panatta e Massimo D’Alema. Una disfida sulla terra rossa che risale al 1999, quando Panatta era consigliere comunale a Roma per i Ds, e D’Alema presidente del consiglio. Al punto più alto della sua parabola politica, quindi, ma sempre alla ricerca di un terreno diverso sui cui misurare se stesso e la propria (smisurata) ambizione. Non durò tanto quella partita, seguita negli anni solo da palleggi non competitivi: «Non abbiamo neanche finito il primo set», racconta Panatta, «mi sembra che ci fermammo sul cinque a zero per me. Anche se lui un paio di punti li ha fatti». Inevitabile, vista la differenza di classe. Ma se il tennis è lo specchio dell’anima (pensate al gioco di Lendl o Mc Enroe e alle loro nevrosi) quella mezz’ora in pantaloncini fotografa baffino meglio di cento tribune politiche o comizi in piazza. «Tecnicamente», racconta Panatta, «Massimo è migliorabile, specie sul rovescio e sul servizio. Ma è molto grintoso». Due esempi. «Cerca di andare al di là dei propri limiti. Anche se nei colpi al volo non è un granché scende coraggiosamente a rete». E i passanti di Adriano gli bruciano ancora, più di una sconfitta elettorale. «Ma la cosa che più mi impressiona è quanto corre». Nonostante il ”tergicristallo”. «Sì, quella volta lo facevo andare da una parte all’altra del campo incrociando i colpi, come diciamo noi gli facevo fare il ”tergicristallo”. Lui non si fermava mai. Incredibile per uno che non fa sport da professionista». Vittoria facile senza infierire sull’avversario: ormai le partite del trionfatore di Roland Garros e Coppa Davis sono così. Perché dall’altra parte della rete c’è quasi sempre un politico amico. Anche lui fa parte del giro, come assessore allo sport della Provincia di Roma, quota Partito democratico, e in odore di candidatura magari nazionale. LE PAGELLE DI RUTELLI E AMATO Chi meglio di lui, allora, può giudicare i politici tennisti? Un altro che conosce bene è Francesco Rutelli. Anche con lui una partita al mattino presto sul centrale del Foro Italico. Ma questa volta in doppio: Rutelli-Panatta contro il sindaco di Mosca Yuri Luzhkov in visita ufficiale e accompagnato da apposito maestro portato dalla Russia. «Stilisticamente Francesco è il migliore. Si vede che da ragazzino ha preso lezioni e quindi ha una buona impostazione classica. Alla Federer per capirci». Ma sul campo i risultati non sono proprio gli stessi. «Purtroppo gioca poco e quindi si è un po’ arrugginito. Mi sa che negli ultimi tempi si è dato al golf. Peccato». Un altro bello da vedere è Enrico Letta: «Movimenti puliti, un dritto rotondo. Pure lui impostazione classica da scuola di una volta. Magari manca un po’ di dinamismo, ma per chi non può allenarsi con continuità è normale». Con Letta, Panatta è sceso in campo qualche volta a Orbetello, in Toscana, zona di un altro del giro, quel Giuliano Amato che grazie alla racchetta ha persino trovato moglie nel circolo di Lucca che bazzicava da liceale. IL PIU’ PALLETTARO «Ecco, con lui ho giocato diverse volte. Tecnicamente non è pulito come Rutelli o Letta ma è quello che ha il tennis più redditizio. Gioca con costanza e quindi ha più mestiere». Nessun difetto? «Forse è un po’ pallettaro», che per i non adepti vuol dire cultore del gioco da fondo campo, uno che preferisce aspettare l’errore dell’avversario piuttosto che rischiare e cercare il punto. Dottor Sottile anche sulla terra rossa. L’esatto opposto di un insospettabile Massimo Cacciari: «Ho fatto qualche scambio con lui una volta a Venezia per l’inaugurazione di un campo. Era sindaco, quindi vestito di tutto punto. Oh, nonostante la giacca e la cravatta quello scendeva sotto rete lo stesso e non colpiva neanche male». Meno generoso il giudizio su Antonio Meccanico: «Non mi è sembrato un granché. Ma non ci ho mai giocato sul serio. Solo due scambi davanti alle telecamere nello studio di Porta a porta. Magari sul campo è un’altra cosa». D’Alema, Rutelli, Cacciari: nemmeno uno sparring partner nel centrodestra. I nemici sul campo li sceglie tra gli amici in politica? «Ma no, è solo un caso. Io sono da questa parte ma ho buoni rapporti anche con gli altri. Solo che non gioca nessuno». Forse stavolta a parlare non è il tennista ma l’assessore del Partito democratico. In attesa di candidatura e con il sospetto delle larghe intese. Lorenzo Salvia 05 marzo 2008