Panorama 6 marzo 2008, DAN MCDOUGALL, 6 marzo 2008
Piccoli schiavi in nome del calcio. Panorama 6 marzo 2008. Papa Samuels sbuffa mentre sbroglia la rete arrancando nell’acqua giallastra e schiumosa dell’Atlantico africano, a bordo di una scialuppa colorata
Piccoli schiavi in nome del calcio. Panorama 6 marzo 2008. Papa Samuels sbuffa mentre sbroglia la rete arrancando nell’acqua giallastra e schiumosa dell’Atlantico africano, a bordo di una scialuppa colorata. Dalle baracche di lamiera, lungo la spiaggia, coperte con malridotti teloni blu dell’Onu, arriva l’acciottolio mattutino: promessa di latte caldo e banane per colazione. Cambia il vento e verso il mare soffia il fumo acre del primo fuoco della giornata. Sfidando il volere delle madri, i bambini stanno già giocando a calcio sulla sabbia. Corrono tra le pozzanghere e colpiscono palloni di stracci tra pile di mattoni rotti, pezzi di amianto e vetro. Magliette sbiadite dei club europei Schalke, Ajax, Torino e Benfica coprono il loro magrissimo torace. Poco oltre, sulla polverosa strada del lungomare di Accra, troneggia un poster gigantesco della star del Chelsea Michael Essian, che invita i suoi concittadini a «essere orgogliosi». Mentre il motore scoppietta e la barca si allontana dalla terraferma, gli strilli dei ragazzini svaniscono in lontananza. Nel pomeriggio, dopo aver saltato la scuola, i più piccoli saranno ancora sulla spiaggia. Il loro sogno è diventare uno dei prossimi milionari africani disputando la Champions league con il Chelsea. Al crepuscolo, però, i loro giochi non saranno più così spensierati. Intorno alle 5, quando il caldo opprimente concede una tregua, ogni minuscolo spazio libero della capitale ghanese è punteggiato di giovani calciatori neri. La maggior parte frequenta scuole illegali di football che hanno nomi biblici come «Figli di Mosè» o «Amanti di Cristo». Ognuna con le proprie malandate magliette o pettorine. I bambini vengono allenati a dimenticare tutto il resto, e nel caso dei più dotati ad abbandonare la loro terra come gli antenati schiavi che partirono da qui. Con la condiscendenza dei genitori e la complicità dei sogni di gloria dei bimbi, mediatori europei, arabi e in numero crescente africani stanno comprando i migliori baby giocatori imponendo alle famiglie precontratti capestro, spesso accompagnati da minacce. La speranza è quella di far fortuna cedendo i ragazzi o estorcendo il costo del passaggio in Europa. Un sistema di sfruttamento che sta allarmando ong come Caritas o Save the children e anche i servizi sociali di Parigi, Marsiglia e Bruxelles. A piedi nudi, con la pettorina gialla che sventola lasciando intravedere il petto ossuto, Mafiua Asare corre con la palla. Il campo stretto tra il mare e uno dei più grossi bassifondi di Accra è composto di terra rosso sangue e sabbia. Nella sua testa, però, Mafiua è al Bernabeu o allo Stade de France. La sua azione è bloccata da una fortissima folata di vento colma di polvere e fumo di eternit bruciato. Mentre si sfrega gli occhi, il bimbo è rimproverato rudemente dal suo allenatore, Isaac Aloti, 23 anni, titolare della Jay Gyemie academie (la scuola Accettare Dio): «Devi imparare a non fermarti, per nessuna ragione» urla al suo allievo. «Questi sono i miei ragazzi» dice Aloti con l’aria del padrone. Al suo fianco Daniel Vijo e Imano Buso, entrambi dodicenni. «Ho i loro contratti, le firme dei genitori. Quando saranno pronti andranno in Europa a fare provini. Abbiamo già l’interesse del Paris St. Germain. I talent scout vengono qui e rastrellano la città, osservando i ragazzi alla ricerca della magia». I bambini recitano come preghiere i nomi dei loro campioni preferiti: Essian, Kuffur, Appiah, Drogba, Weah. «La mia famiglia sta risparmiando i soldi per il mio viaggio in Francia, se ce la farò porterò mia madre a Parigi e le comprerò una casa» si entusiasma Daniel. «Mi aspetto una ricompensa per tutte le cose che gli ho insegnato» aggiunge Isaac. «Se Daniel firma un contratto da professionista, voglio il 50 per cento». Nella sola Accra si stima che ci siano almeno 500 scuole illegali di calcio, migliaia d’altre sono sparse in tutto il paese. Ma in Africa occidentale arrivano anche i soldi di squadre come Ajax o Feyenoord, che gestiscono accademie informali in Ghana, mentre Paris St. Germain e Monaco mantengono reti di talent scout nell’area. Queste strutture, se ben gestite come quella del Feyenoord, non offrono soltanto lezioni di calcio, ma anche una vera educazione. Sfortunatamente sono poche. E nella vicina Costa d’Avorio la situazione è anche peggiore. Ad Abidjan gli uomini d’affari libanesi, un tempo dediti al contrabbando di diamanti e legname, stanno spostando la loro attenzione sul lucroso mondo del football, fondando accademie di calcio illegali, con l’intento di coltivare i migliori talenti da spedire nei club europei e del Medio Oriente. In un campetto polveroso alla periferia di Adjame dozzine di giovanissimi in canottiera blu saltano le lezioni per imparare a domare la palla. La «scuola» è di proprietà di Mr Shalhoub, in cambio dei contratti per i ragazzi fornisce pettorine, palloni e un pezzo di terreno sul quale 40 bambini, alcuni di appena 9 anni, corrono su e giù dimenticando i quaderni. Tra loro svetta Doho Lou Olivier. «Lo chiamiamo Shacala, come lo stregone di un famoso film brasiliano» sussurra il coach K Toussaint, guardando la sua piccola stella con timore reverenziale. «Il Lille vuole prenderlo. La scorsa settimana è venuto qui un uomo che ha detto di essere un procuratore e di voler portare Doho in Francia. Il suo contratto appartiene a un libanese e noi lo stiamo allenando, per conto suo e della famiglia. Se lo vendiamo avremo tutti una fetta di guadagno». A casa di Doho, in uno slum dove pochi si avventurano, appare subito evidente quanto sia importante che lui ce la faccia. In due stanze abitano nove membri della famiglia, inclusa la sorella con il figlio neonato. L’odore di cibo scadente è soffocante. La madre Gasso Youa, una matriarca imperiosa, afferra uno dei trofei metallici di Doho e colpisce in testa il ragazzo, facendolo indietreggiare. «L’abbiamo tolto da scuola per farlo diventare un calciatore. Mi hanno detto che è bravo abbastanza da andare in Europa. Ha solo 14 anni, ma può andarci subito. il nostro futuro» afferma la donna. «Ci avevano detto che potevano venderlo a un club marocchino per 20 mila dollari, poi sarebbe potuto andare in Europa. Ma noi aspettiamo una squadra francese, lì ci sono i soldi veri. Un uomo ci ha offerto di portarlo con una barca in Europa, in cambio del pagamento di parte del suo viaggio». Mon Emmanuel, il campione ivoriano più famoso dopo Didier Drogba, ha affermato che almeno il 90 per cento dei calciatori che lasciano l’Africa occidentale lo fa illegalmente, e la maggior parte finisce nell’oblio. «Basta farsi un giro ad Abidjan per vedere ovunque queste ”scuole d’eccellenza” per calciatori. Ce ne sono a centinaia» accusa Emmanuel. «Sono organizzate per lo più da libanesi. Alcune chiedono una tassa di iscrizione e la metà del ricavo della cessione, altri comprano semplicemente i bambini di 12 anni: non si sa mai che riescano a sfondare. Un babycalciatore può valere quanto un diamante. solo una merce, come tutto il resto». la nuova tratta degli schiavi, secondo Emmanuel. «Usciti dal paese, molti di queste giovani promesse vanno incontro ad abusi e povertà, dormono in 14 in una stanza o finiscono per strada». I giovanissimi africani, però, sono determinati. «Siamo pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo pur di giocare in Europa» proclama Sori Emmanuel, 14 anni. «Se questo vuol dire ottenere documenti falsi o viaggiare attraverso il deserto e poi sulla barca, lo farò». Dice di aver ricevuto un’offerta per allenarsi a Marsiglia e un libanese gli ha assicurato che può guadagnare 600 euro al mese, una fortuna per un adulto di Abidjan. La leggenda del calcio africano, il camerunense Roger Milla, arriva ad accusare i genitori dei bambini di essere il cuore di questa nuova tratta degli schiavi. «Vengono lusingati dall’idea che il figlio possa fare tanti soldi e finiscono per ipotecare la casa pur di pagargli il viaggio. Ogni anno migliaia di giocatori lasciano l’Africa nella speranza di diventare il nuovo Michael Essien, o Samuel Eto’o, e i trafficanti ci guadagnano. Con i costi altissimi toccati dai campioni europei, c’è la corsa a cercare equivalenti africani, molto più economici». L’anno scorso il numero uno della Fifa, Sepp Blatter, ha accusato le squadre europee di essere coinvolte in uno stupro economico e sociale. «Trovo spregevole che i ricchi club mandino i loro osservatori a fare shopping in Africa, Sud America e Asia» ha tuonato. «Si comportano come neocolonialisti». Come in molti casi, però, i problemi dell’Africa cominciano in patria. I presidenti di lega di Sud Africa, Camerun e Mali sono finiti in galera, e quattro dei cinque principali dirigenti della federazione ghanese sono accusati di corruzione in alcune cessioni di giocatori. Negli ambienti diplomatici i passaporti per i babycalciatori vengono regolarmente venduti e comprati. Il corridoio di un palazzone in cemento di Clichy-sous-Bois, uno dei peggiori ghetti di Parigi, è bagnato di urina. Sui muri graffiti in arabo e francese, porte e finestre degli appartamenti sono sbarrate con lastre d’acciaio per tenere fuori drogati e occupanti abusivi. Bernard Bass, 17 anni, è seduto e trema dal freddo. Il suo viaggio dalla Guinea Bissau, attraverso Ghana, Senegal e Tenerife, lo ha portato in Francia. Con la promessa di un provino al Metz. L’impresa è finita con un prevedibile fallimento e, subito dopo il suo quindicesimo compleanno, Bernard si è ritrovato sulla strada. «Mia madre ha venduto la casa e i miei due fratelli hanno cominciato a lavorare a12 anni per pagarmi il viaggio» racconta. «L’agente libanese ci ha detto che ottenere un visto per la Francia era impossibile, ma che potevo farcela in barca. Dal Senegal ci sono volute due settimane. Una donna è morta durante la traversata e hanno buttato il corpo in mare». Raggiunta Tenerife, Bernard è stato rinchiuso per un mese, poi trasferito in Spagna, dove ha detto di avere 18 anni. «Mi hanno lasciato andare, ma quando sono arrivato a Metz non avevano idea di chi fossi e hanno minacciato di chiamare la polizia» continua. «Alla fine mi hanno fatto provare nelle giovanili, con un altro nome. Ora sono qui e dormo da un amico, sul pavimento. Vendo orologi di plastica e bussole finte. Gioco a calcio quando posso. Spero sempre in un altro provino. Ma da clandestino è dura. Quando telefono a casa, mia madre piange. I creditori si stanno prendendo tutto». Jean-Claude Mbvoumin, un ex giocatore del Camerun che ha creato Culture Foot Solidaire, un’ong per aiutare i piccoli schiavi traditi dal pallone, accusa: «Il Barcellona ha tre camerunensi di 10, 11 e 12 anni a libro paga. Pochissimi ce la fanno, ma quelli che ci provano sono sempre più giovani». Secondo Mbvoumin gli intermediari africani non sono neppure più interessati a fare soldi con i migliori. Sfruttano le famiglie e il sogno che il loro figlio diventi milionario. Simon, clandestino camerunense, rabbrividisce nel gelo di Parigi. Indossa solo una polo. Non ha i soldi per un giaccone. «Sono arrivato due anni fa con la speranza di giocare per il Paris St. Germain, ma non ci sono riuscito. Dopo che il club ha detto no, mi vergognavo troppo a tornare a casa e così sono rimasto illegalmente» sospira. «A mia madre racconto che sto andando bene, che presto le manderò i soldi per pagare l’agente. Lei ci crede, ma la mia vita è uno schifo. Mi sento un dannato, senza speranza. Ho 18 anni e nel mio villaggio in Camerun sono un eroe». DAN MCDOUGALL