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 2008  marzo 06 Giovedì calendario

In fuga con Puccini. L’espresso 6 marzo 2008. L’opera di un compositore spesso tesse misteriose trame, intricati disegni, con quella del suo interprete

In fuga con Puccini. L’espresso 6 marzo 2008. L’opera di un compositore spesso tesse misteriose trame, intricati disegni, con quella del suo interprete. Ne traggono linfa per i loro testi gli esegeti, creando proverbiali connubi fra Verdi e Toscanini, Rossini e Abbado, Richard Strauss e Sinopoli o Cherubini e Muti. Questa delicata alchimia si è prodotta anche fra Puccini e Riccardo Chailly. "Partii prima con l’esperienza pucciniana e poi con quella mahleriana, un parallelo per me decisivo, due coordinate fondamentali della mia vita musicale, presenze intese come l’una complementare all’altra, con molti aspetti in comune", afferma baldanzoso il cinquantacinquenne direttore milanese. A 150 anni dalla morte del lucchese il suo carnet pucciniano è ovviamente pieno zeppo di appuntamenti. Si va dal ’Trittico’ scaligero il 6 marzo nell’allestimento di Luca Ronconi, capolavoro assente da ben 25 anni sul palcoscenico del Piermarini, alla ’Manon Lescaut’ di Lipsia a maggio con la regia di Giancarlo Del Monaco per la prima volta nella versione originale impreziosita da cinque brani inediti, all’inaugurazione, il 15 giugno con i complessi scaligeri, del nuovo teatro all’aperto di Torre del Lago, luogo dell’anima, buen retiro del musicista toscano. Un interprete della musica e delle avanguardie del Novecento come lei, cui hanno affidato opere in prima assoluta Henze, Berio, Rihm, Schnittke e Trojahn, dovrebbe rifuggire da un compositore all’apparenza in contraddizione con un diffuso concetto di modernità... "Stiamo parlando del più grande compositore d’opera del Novecento italiano. Che inoltre aveva un interesse quotidiano, assai raffinato e nient’affatto naïf per tutte le novità di linguaggio del suo tempo. Prenda a esempio il ’Trittico’. Le prime quattro note del ’Tabarro’, con quella musica in 12 ottavi che lui definiva ’quel color di Senna’, doveva darci l’idea del movimento acquatico: sono le quattro note che concludono ’La Mer’ di Debussy, composta 13 anni prima. E il ’valzerino stonato’ che procede per intervalli di settima è una reminescenza del ’Petrouschka’ di Stravinskij se non addirittura un’anticipazione della scena della taverna del ’Wozzeck’ di Berg. E nell’’Aria dei fiori’ di ’Suor Angelica’ la musica che descrive il suicidio della protagonista ha un’alterazione armonica che si rifà a quel sistema modale delle note annunciato dal mondo impressionista di Debussy. Non dimentichi inoltre che Puccini volle approfondire la conoscenza del ’Pierrot lunaire’ di Schoenberg e ne rimase soggiogato. Non è un caso che quando Luciano Berio ha studiato gli schizzi del finale di ’Turandot’, in uno di questi fogli sparsi trovò una serie dodecafonica. Se Puccini non fosse scomparso così rapidamente sarebbe arrivato alla dodecafonia o perlomeno, come Mahler nell’Adagio della Decima sinfonia, all’utilizzo dei nove suoni sovrapposti". Alessandro Baricco, a proposito del rapporto fra Puccini e Mahler, ha scritto che ciò che li unisce è la ricerca di una specifica dimensione di teatralità... "Un’analisi intelligente. In ogni sinfonia di Mahler c’è sempre un momento di teatralità, talvolta addirittura parossistica, dettato magari dai campanacci di un gruppo di mucche al pascolo, dall’orchestrina di strada o dagli strumenti fuori scena. Assonanze imprescindibili, come il senso del colore orchestrale, le idee timbriche. In Puccini esiste un determinato carattere espressivo, specialmente per quanto riguarda il suono degli archi, che in certi casi lo avvicina allo stile di Mahler". Un altro aspetto che avvicina lei e Puccini è la fuga da tutto, in primis dal trambusto della vita quotidiana. Lei appena può si rifugia in Engadina o in Liguria... "Sono fughe del pensiero, dello spirito, della mente. ’Luoghi di obbligo di ricarica’ li chiamo. Mia moglie, Gabriella, è stata bravissima a intuirne il senso. , in definitiva, l’assoluta necessità di protezione della propria forza creativa che a volte rischia di andare in esaurimento. Puccini rinunciava volentieri alla mondanità e ad appuntamenti artistici, per poter rigenerare nuove energie intellettuali". Eremi nei cui dintorni Puccini amava scorrazzare, come lei? "Puccini fu tra i primi in Italia a possedere un fuoristrada, anche per assecondare la sua vena di cacciatore. Io fin da ragazzo ho avuto la mania del motocross e con la bella stagione mi diverto ad attraversare le belle colline del Golfo del Tigullio con il mio Scarabeo 125". Una moglie, diverse amanti più o meno accertate, cinque sorelle, una cugina suora. In Puccini l’universo femminile è preponderante. Anche per lei? "Oltre al mio felice matrimonio, la rilevanza della presenza femminile è innegabile: due sorelle, una figlia, una nuora e, da poco tempo, una nipotina, Cloe. Nel prossimo film di Paolo Benvenuti dedicato alla vita di Pucccini verrà analizzata la storia delle sue relazioni personali. Certo, l’universo femminile conta molto per lui. Dei dieci capolavori che ha scritto solo tre sono parzialmente a lieto fine: in ’Turandot’ l’amore trascende la morte e, pure al prezzo della vita di Liù, consente l’unione di Calaf e Turandot. Poi c’è ’Fanciulla del West’ e la beffa sulla morte di ’Gianni Schicchi’. Per il resto solo ruoli femminili tragici. In definitiva il suo rapporto con l’altra metà del cielo è stato un travaglio continuo, fino alla fine. Anche con la moglie, Elvira: crisi di anni, conflitti mai risolti. Ma la donna appare sempre come elemento portante, musa assoluta nell’ispirazione, pur descritta sul pentagramma con il senso del tormento, la fatica, la complessità, l’ambiguità dei sentimenti. Puccini, nella vita reale, fu capace solo di amori simultanei e nella descrizione dei caratteri femminili questa ansia biografica si rivela, pure nelle opere a lieto fine, in una costante angoscia di fondo, di una profonda complessità interiore. Ecco, Puccini è un autore che fa male all’ascoltatore, portandolo fin quasi al malessere fisico, alla commozione totale. Il dolore di vivere è descritto implacabilmente e la cosa straordinaria è che è compreso in ogni parte del globo: non vi è nazione che abbia bisogno di un decoder, di sottotitoli, per toccare quasi con mano questo aspetto della sensibilità umana. Come notava Berio, Puccini in questo è veramente un compositore universale". Qual è l’aspetto della donna in Puccini che l’ha particolarmente intrigato? "Mi affascina il rapporto fra melos ed eros, espresso attraverso una sensualità totalizzante, immersa in un’atmosfera di tragedia incombente. Nelle sue storie c’è sempre questo contrappunto cupo, drammatico. Vi è, come sospesa su tutto, una premonizione immediata, una presenza inquietante. Ce lo fa avvertire attraverso l’uso raffinatissimo del linguaggio armonico, che ci dà quasi tangibile il senso dell’ineluttabilità della morte. Un esempio? Nell’’Aria dei fiori’ da ’Suor Angelica’, quando la protagonista ha già preparato la pozione mortale, nella frase ’e siate benedetti amici fiori’, Puccini inserisce un accordo di tritono che è un re - la bemolle nei corni raddoppiato dalle viole: l’intervallo soprannominato fin dal medioevo ’Diabolus in musica’, dove il diavolo simboleggia la morte". Uno dei compositori sperimentali del Novecento da lei particolarmente amato, Edgar Varèse, considerava Puccini il più grande melodista del suo tempo: "Nessuno è capace come lui di prendere il pubblico per le orecchie", diceva. "Correggerei la seconda parte, sarei più diretto: nessuno è capace come lui di prendere il pubblico per la gola. Perché è proprio lì che ogni volta ti prende l’emozione, ascoltando i suoi capolavori: ti attanaglia la gola, non puoi evitarne il morso". Riccardo Lenzi