La Repubblica 2 marzo 2008, TOMMASO PINCIO, 2 marzo 2008
Quelli che ci rubano il nome. La Repubblica 2 marzo 2008. «ho pagato i miei debiti, ho persino lasciato una mancia» dice di sé Christopher Rocancourt
Quelli che ci rubano il nome. La Repubblica 2 marzo 2008. «ho pagato i miei debiti, ho persino lasciato una mancia» dice di sé Christopher Rocancourt. Se lo ha davvero fatto lo sa soltanto lui. Di sicuro, però, non lo ha fatto di tasca sua. Oggi Rocancourt ha una quarantina d´anni ed è uno fra i più grandi impostori in circolazione. Nel corso della sua poco onorata ma fantasiosa carriera si è spacciato per membro della famiglia Rockefeller, produttore cinematografico, finanziere, figlio di Sophia Loren e nipote di Dino De Laurentis. Le sue effettive origini sono assai più modeste, sebbene dal sapore vagamente romanzesco. Sua madre era una prostituta a tempo perso e suo padre adottivo un alcolizzato che lo ha pescato in un orfanotrofio all´età di cinque anni. Ma vai a sapere se è realmente così. Questa storia l´ha raccontata lui stesso in un´intervista rilasciata un paio di anni fa, e tutto quello che dice Rocancourt va preso con le molle. Si stima che l´ammontare delle sue truffe superi i quaranta milioni di dollari. Il New York Times ha tracciato il suo profilo con un´iperbole: «Le donne si gettavano ai suoi piedi, gli uomini gli gettavano contante». Di talenti come Rocancourt non ne esistono molti, ciò nonostante la truffaldina arte dell´impostura è un´attività in continua espansione. Tecnicamente si chiama furto d´identità. In parole povere significa che qualcuno ha pensato bene di appropriarsi dei vostri dati personali. Nome, indirizzo, data di nascita, codice fiscale, numero di cellulare e forse anche della carta di credito. Se ne è appropriato per essere voi. Gli scopi possono essere molteplici, per non dire infiniti. Si parte da abusi quasi innocenti, come noleggiare video con l´intenzione di non restituirli oppure molestare telefonicamente una ragazza. Quindi si passa al livello successivo, il più ricorrente: accumulare debiti e svuotare conti correnti. Infine, se siete davvero sfortunati, si può arrivare a reati di prima grandezza quali traffico di stupefacenti e terrorismo. La possibilità di vedersi sottratti pezzi della nostra persona è meno remota di quel che si potrebbe credere. «In America viene rubata un´identità ogni sei secondi» si diceva in un film di qualche tempo fa ispirato a una storia vera. Probabilmente è un´esagerazione. I numeri ufficiali non sono però più confortanti. I rapporti governativi parlano di dieci milioni di vittime ogni anno. Dalle nostre parti il fenomeno non è ancora altrettanto diffuso ma è comunque preoccupante. In base a una recente ricerca effettuata da una nota azienda specializzata nella sicurezza informatica, un persona su quattro in Europa rischia di subire un furto d´identità perché usa password troppo semplici per accedere ai propri account online. E internet costituisce soltanto una faccia del problema, in quanto la sottrazione dei dati personali avviene perlopiù nel mondo reale. A peggiorare le cose c´è poi il fatto che la scoperta del furto non è mai immediata. Non è come quando ti rubano l´auto. Il ladro può servirsi della vostra identità per mesi o addirittura per anni prima che ve ne accorgiate, e quando ciò avviene è sempre perché, da un giorno all´altro e senza motivo apparente, vi ritrovate nei guai. Ecco uno dei tanti modi in cui può andare: vi chiamate Alex Halter, siete una giovane donna di trentatré anni che non ha mai avuto a che fare con la giustizia. Da bambina, una meningite spinale vi ha danneggiato i nervi uditivi e siete rimasta sorda. La natura vi ha però fornito di un carattere indomito, per cui non vi siete persa d´animo e conducete un´esistenza normale. Insegnate inglese in una scuola per non udenti e avete un fidanzato che lavora nel cinema, ritocca gli effetti speciali al computer. Una mattina uscite di casa un po´ trafelata perché siete in ritardo sulla tabella di marcia. un vostro difetto, quello di essere sempre ritardo. Così vi mettete a correre un po´ più del dovuto e nella foga vi capita di bruciare uno stop sotto il naso della polizia. Vi viene intimato di accostare. Vi vengono chiesti patente e libretto. L´agente si allontana per i controlli di rito. Voi restate in attesa. Sbuffate e pensate che la giornata è cominciata male. Non immaginate quanto avete ragione. Dopo qualche minuto l´agente torna e vi punta la pistola contro. Sembra piuttosto agitato. Urla qualcosa. Voi non potete udirlo ma vedete le sue labbra. Ciò che vi leggete non è il genere di cosa che ci si aspetta di sentirsi dire per non avere rispettato uno stop. «Metta le mani dove possa vederle»: è questo che vedete nel movimento delle labbra. Complimenti, siete appena diventati un pericoloso criminale. La lista di accuse a vostro carico è lunga: assegni scoperti, droga, rapina a mano armata e una sfilza di altri reati commessi un po´ qui un po´ là, in posti di cui fino a ieri ignoravate perfino l´esistenza. L´incubo in cui precipita Alex Halter e che potrebbe riguardare ciascuno di noi è il tema di un romanzo dell´americano T. Coraghessan Boyle: Identità rubate, per l´appunto. Abbiamo dunque scherzato? Niente affatto. Benché si tratti di finzione narrativa, il libro di Boyle è «così attuale e ben informato che l´Fbi potrebbe perquisirgli casa in cerca di carte di credito clonate» ha scritto il Washington Post. La sua storia immaginaria ha inoltre molti aspetti in comune con un caso presentato quattro anni fa nella trasmissione Mi manda Rai Tre, quello di un giovane napoletano affetto da una grave malattia invalidante la cui identità è stata rubata per aprire due conti correnti ed emettere assegni a vuoto. opinione diffusa che la proliferazione di simili truffe sia dovuta a internet. In effetti una delle tecniche preferite dai criminali è il cosiddetto phishing, lo "spillaggio" di dati sensibili attraverso l´invio di falsi messaggi di posta elettronica che simulano la comunicazione di una banca o magari di un ente pubblico. Il fine è quello di convincere il malcapitato a rispondere fornendo informazioni personali. Questa è però soltanto una delle insidie possibili. Spesso il furto viene messo in atto con sistemi ben più artigianali e che non lasciano tracce. Del resto, stiamo parlando di un imbroglio vecchio quanto il genere umano. Nel libro della Genesi si legge che Giacobbe, approfittando della momentanea assenza del fratello Esaù, si spacciò per lui così da poter carpire al padre Isacco la sua benedizione. Lo fece presentandosi al cospetto del genitore con il corpo coperto di pelli di capra perché suo fratello era molto peloso. «Sono Esaù, il tuo primogenito. Dammi la tua benedizione» gli disse. Isacco, la cui vista era ormai indebolita, lo invitò ad avvicinarsi perché lo voleva tastare. Sentendo tutto quel pelo si convinse e diede la sua benedizione, seppur con qualche dubbio: «La voce è quella di Giacobbe, ma le mani sono di Esaù». Questa storia biblica è una metafora perfetta del mondo in cui viviamo oggi. I sistemi di verifica e controllo sono spesso ciechi come Isacco. Non potendo vedere, si affidano alle pelli di capra dell´era informatica: stringhe di dati. Non di rado la cecità non è un inconveniente della tecnologia, bensì della cultura del credito istantaneo. Compra oggi, paga quando sarà: è l´affare del secolo e chi lo gestisce è talvolta disposto a chiudere un occhio pur di accaparrarsi un nuovo debitore. Quanto ai Giacobbe di oggi, hanno mille modi per procurarsi le loro pelli di capra. Internet, lo si è detto, è soltanto uno di questi e nemmeno il più consistente: soltanto l´uno per cento dei furti avviene attraverso il famigerato phishing. I ladri d´identità possono sapere quello di cui hanno bisogno rubando portafogli o la corrispondenza dalle cassette della posta o addirittura rovistando alla maniera dei barboni tra i rifiuti. Oppure rivolgendosi a chi le informazioni le ha già. Un tabloid britannico ha fatto una prova assoldando un esperto di sistemi di sicurezza. Costui ha preso contatto con l´operatore di un call center il quale gli avrebbe offerto dati riservati, inclusi codici di carte di credito, al modico prezzo di quattro sterline e venticinque per ogni informazione. Ma c´è dell´altro. Una bella fetta dei furti d´identità avviene alla maniera di Giacobbe, vale a dire in casa. Un rapporto della Federal Trade Commission rivela che ben il sedici per cento delle vittime conosce il ladro. A quanto pare, bisognerebbe guardarsi da amici, vicini, domestici e, nel sei per cento casi, persino da parenti e membri del nucleo familiare. La buona notizia è che al momento più della metà delle vittime riesce a cavarsela senza sborsare una lira sbrigando le noie burocratiche derivate dal furto in un tempo medio di quattro ore. Basta dunque augurarsi di non finire in quello sventurato cinque per cento che ci rimette almeno cinquemila dollari e passa più di centotrenta ore tra banche, studi legali e commissariati. Per quanto: i danni di un furto d´identità non si pesano soltanto in termini economici. Ci sono persone che hanno perso il posto di lavoro o si sono viste negare un prestito o sono state molestate in vario modo e per lungo tempo da un´agenzia di recupero crediti. Un uomo ha pure rischiato di essere lasciato dalla moglie perché il suo ladro d´identità ha avuto un incidente automobilistico mentre se ne andava in giro con una graziosa fanciulla. Essere impersonati da qualcun altro ha conseguenze imprevedibili e rappresenta inoltre un grosso shock emotivo. Michelle Brown, una ragazza il cui caso è stato tra i più pubblicizzati negli Stati Uniti, ha definito l´esperienza come il «capitolo più terrificante della mia vita». La si può capire. Ognuno di noi tende a considerare la propria identità come un patrimonio scontato, naturale. Eppure basta che qualcuno si appropri di frammenti della nostra esistenza per ritrovarci nella sconvolgente situazione di dover provare chi siamo. E può non essere facile. Come definire l´identità? Per il sentire comune è l´insieme di cose che ci rende persone, vale a dire esseri unici e distinti dagli altri. Ma anche un fiocco di neve è unico e distinto, ciò nonostante riconoscerlo in quanto tale è impresa non da poco. Nella nostra società la soluzione più pratica di cui disponiamo sono piccoli pezzi di carta o plastica con una fotografia, un nome, una data di nascita e pochissimo altro. Sappiamo bene però che questi documenti sono un´espressione assai riduttiva e falsificabile della persona. Il codice genetico potrebbe essere un´alternativa infallibile e nemmeno troppo fantascientifica, ma siamo disposti ad accettarla? Il controllo è una sicurezza a doppio taglio. In Francia, la carta d´identità fu introdotta nel 1940 e l´uso immediato che ne fece il governo di Vichy fu di facilitare l´individuazione di settantaseimila ebrei da deportare nei campi di concentramento. Senza contare che quel che la scienza prova è solo la nostra identità biologica. Il cuore dell´identità umana è però un altro: il posto che ciascuno di noi occupa nella società. Qui il discorso si fa più complesso perché l´identità sociale comprende tantissime cose, va dalla fedina penale al pettegolezzo. proprio questo sterminato territorio dagli incerti confini che gli impostori inquinano rubandoci l´identità. Ciò che costoro ci sottraggono è quel che gli altri pensano di noi, il nostro buon nome, forse la cosa più preziosa che abbiamo, giacché, non dimentichiamolo, siamo pur sempre animali sociali. La paura di perdere la reputazione è talmente radicata che talvolta arriviamo addirittura al punto di temere che il ladro siamo noi. Gli psicologi la chiamano sindrome dell´impostore: è la paura di aver imbrogliato il prossimo inducendolo a sopravvalutarci, a stimarci più bravi, competenti e onesti di quel che in effetti siamo. Una sindrome connessa a un malessere tipico del nostro tempo: l´ansia da prestazione. Poi ci sono quelli che impostori di se stessi lo sono veramente, ma questa è un´altra storia. O forse no. TOMMASO PINCIO