La Repubblica 2 marzo 2008, PIERO COLAPRICO, 2 marzo 2008
La banda del buco. La Repubblica 2 marzo 2008. non li conosce nessuno. Preferiscono impugnare il trapano e non la ballerina, la pistola, che quando spari ti balla in mano
La banda del buco. La Repubblica 2 marzo 2008. non li conosce nessuno. Preferiscono impugnare il trapano e non la ballerina, la pistola, che quando spari ti balla in mano. I "bucanieri", come si chiamano gli uomini della banda del buco, costituiscono una specie di segretissima setta criminale. Ci sono stati assalti ai caveau clamorosi e miliardari, ma arresti altrettanto clamorosi mai, o quasi mai. Secondo "Radiomala", sono napoletani, romani e milanesi i migliori di questo settore. E forse al top restano i milanesi, come confermerebbe l´ultimo colpo, quello della settimana scorsa a Casa Damiani, la gioielleria quotata in Borsa che ha visto la sua sede di corso Magenta svuotata da sette uomini d´oro. Un colpo da «svariati milioni», forse addirittura quindici. Un precedente che fa scuola c´è. Maggio 1984, piazza Diaz. Nella città dove tutti corrono, dove si lavora e si produce, c´è una banca che esalta l´uso delle rampe, per permettere ai clienti più affezionati alle quattro ruote una serie di operazioni senza nemmeno mettere il freno a mano, il tutto a duecento metri dal Duomo. La Banca provinciale lombarda sembra perfetta per la Milano rampante di quel periodo, ma sotto la pioggia del penultimo weekend di quel mese, accanto al muro, non posteggia una Ferrari. Appare uno strano, gigantesco cubo nero. Nasconde una "carotatrice", e cioè una macchina da oltre una tonnellata capace di succhiare una carota di cemento larga quaranta centimetri e alta quarantadue. Il materiale impiegato dai ladri-ingegneri per quel cubo è un misto di truciolato e gommapiuma, coperto di catrame. Funziona come il silenziatore della pistola. E anche come il sipario di un teatro. Il cubo attutisce il rumore dei denti della carotatrice e impedisce agli estranei di vedere la tempesta di scintille che sarebbe scoppiata da lì a poco. "Svitato" il tappo di cemento, i muratori cedono il passo a chi sa usare la lancia termica per fondere come burro in padella l´ultima protezione d´acciaio del muro di cinta della banca. Si può accedere al caveau. Il lavoro di attacco dura alcune ore, c´è chi dice tredici o quattordici. Su mille cassette di sicurezza, ne vengono svuotate duecento: per un bottino sui cinquanta miliardi di lire di allora. Agli investigatori, basiti, rimasero in mano un bel po´ di bottigliette vuote di Enervit e sette paia di stivali usati dai sette uomini d´oro e lasciati lì, per andarsene carichi di soldi e, si immagina, con le scarpe perfettamente pulite. Una carotatrice era stata usata anche per fare razzia, sei anni prima, in un´altra banca, in via Moscova. E circa sedici anni dopo ecco che tocca alla Cariplo di piazza della Scala subire l´assalto. Nei giorni delle vacanze del Natale del 2001 la filiale è in ristrutturazione interna e ha spostato il locale dove sono custodite le cassette di sicurezza: ai ladri, in possesso di ottime informazioni, basta bucare con la lancia termica la porta blindata di un cortile, sfondare un muro a picconate e poi, invece di usare di nuovo la lancia termica per la pesante porta d´accesso al caveau, picconano e trapanano il muro tutt´intorno. L´incasso è di poco più di un milione di euro in contanti e altre centocinquanta cassette di sicurezza vengono aperte. Chi si nasconde dietro questi blitz? Chi ha le "dritte" per arrivare al caveau? La speciale qualità umana dei "bucanieri" aiuta a spiegare il fallimento di tante indagini. Questi banditi non-violenti hanno un rapporto con il tempo, con il sudore della fronte e con l´adrenalina molto più sano rispetto ai "duristi": gli esperti della "dura", e cioè della rapina, vivono infatti con il cronometro nel cervello, sanno che devono stare in banca per pochi minuti e poi l´imperativo è scappare, scappare, tutto sul filo della velocità, delle pulsazioni, dei nervi tesi. Se molti rapinatori, per via delle telecamere difensive, delle impronte che lasciano, dei "pentiti" che parlano, vengono prima o poi catturati, gli uomini della "banda del buco" sono quasi tutti rimasti dei signori nessuno. Ricchi quanto basta e inafferrabili. In più, come dicono, «tra noi non ci sono rifarditi», mancano cioè i traditori al loro interno. Per due ragioni. Un po´ perché quel loro mondo di tecnologia ed elettronica è un mondo di amicizie decennali (anche politiche), chiuso, molto speciale, dove se si sbaglia, si sbaglia da professionisti. E perché spesso le grandi organizzazioni mafiose hanno tentato di "rubare" a loro volta il bottino a chi, grazie ai buchi nel sottosuolo, ai cunicoli delle fogne, alle ristrutturazioni, penetrava dove i loro picciotti non erano riusciti a entrare. Insomma, si sono cementati rapporti privilegiati che nessuna carotatrice potrebbe bucare e nessuno spione sporcare. Una persona è - anche se lui non vuole e protesta quando lo si cita - l´incarnazione di questo universo. Bisogna ricordare che nelle indagini sull´assalto della carotatrice insonorizzata di piazza Diaz, spuntò infatti Ugo Ciappina. Esattamente lui. E cioè uno dei "cervelli" della famosissima rapina delle tute blu di via Osoppo, di cui ricorreva il cinquantenario pochi giorni fa. Condannato per l´assalto al furgone che segnò l´epoca storica del boom, finita la lunga detenzione, Ciappina era rimasto fedele alle regole della vecchia "ligera", la mala milanese. Aveva girato alla larga dalle grandi bande dei Turatello e degli Epaminonda. Si faceva gli affari suoi. Appena venne sbattuto in cella come inventore della carotatrice silenziata, proclamò la sua innocenza. In appello venne prosciolto per insufficienza di prove. E se l´è sempre cavata in tutti questi anni, anche se è stato notato in banche e uffici poi razziati dai "bucanieri", anche se è stato arrestato un´altra volta, nel marzo di cinque anni fa, a settantaquattro anni. Era in viale Piave, non lontano da un negozio di moda, che stava per essere svuotato dalla "banda del buco". I ladri erano entrati nel vicino palazzo, in ristrutturazione, e avevano fatto un buco nelle cantine. Che ci fai qua, Ciappina?, gli chiesero i poliziotti. «Cercavo una farmacia», rispose. Confidò un suo conoscente al cronista: «In casa non ha un romanzo. Ho visto la sua biblioteca, ci sono decine e decine di manuali di elettronica, sui metalli, sulle chiavi…». Oggi Ciappina ha quasi ottant´anni. Non ha mai dato un´intervista. Non ha mai cambiato casa, a Porta Vittoria. Al telefono, quelle rare volte che hanno provato a metterlo sotto intercettazione, non gli hanno sentito dire più di qualche parola ai parenti. «Un caffè insieme? Lo bevo da solo», risponde a chi va a cercarlo. Dice che non sta bene, ma gli occhi sono quelli di sempre: attenti, fiammeggianti. E forse anche per colpa dei suoi occhi, per colpa della sua storia e - diciamolo - perché è tra i pochi ancora in grado di saper fare qualsiasi "lavoro", il nome di questo decano delle bande sconosciute dei "bucanieri" è stato rilanciato dall´anticrimine anche per ragionare su quest´ultimo assalto, quello a Casa Damiani. Come si ricorderà, una settimana fa è comparso in una cantina di corso Magenta 80 un foro nel muro di sessanta centimetri per ottanta. I lavori, notturni e misteriosi, erano cominciati per lo meno a Natale. Alcuni inquilini s´erano lamentati per i rumori: «Sentivamo lo zzz zzz del trapano». Un paio di custodi avevano dato un´occhiata. Non avevano notato nulla. E nulla era successo per mesi, sino alle prime ore di domenica scorsa, quando da quel buco spuntano sette persone, quattro con la pettorina della Guardia di Finanza. Si materializzano nel caveau del palazzo al numero 82, sede della famosa gioielleria e svuotano un armadio blindato di due metri per tre, pieno di cassetti carichi di preziosi. Questo colpo rappresenta un "ibrido". E cioè alla tecnica del buco, si è sommata la rapina con travestimento. risuonato il «fermi tutti e non vi succederà niente». In un´epoca di rapinatori cocainomani, i sette uomini di Casa Damiani sono sembrati dei signori perché non c´è stato l´uso di armi, a parte le manette per immobilizzare i dipendenti. Ma mentre i "bucanieri" classici non entrano quasi mai in contatto con i "dannati", i derubati, in questo caso è successo. Proprio come succedeva negli anni Ottanta e Novanta, quando non erano rari colpi simili, soprattutto ai danni di grossisti di gioielli, con bottini record di decine e decine di chili di preziosi portati via, soprattutto a Napoli, Roma e Milano. Uno di questi colpi, a Napoli, ebbe come vittima Diego Armando Maradona. I ladri-rapinatori, passando dalle fogne e sfondando una parete, erano riusciti a immobilizzare i dipendenti di una banca vicino piazza del Mercato. Avevano svuotato centinaia di cassette di sicurezza, nella fuga in via Orefici avevano anche perso gioielli per settecento milioni di lire, ma non il pallone d´oro consegnato al campione argentino da France Football. E a Roma, nel novembre del 2000, una banda sbucata da un muro che si sbriciola tenne in ostaggio settanta tra clienti e dipendenti, in una filiale della Banca di Roma al quartiere Magliana. Decine e decine di colpi ci sono stati in Italia, a banche, poste, gioiellerie, tutti praticamente senza colpevoli. Gli investigatori pensano di avere a che fare con persone che hanno superato gli "anta", persone abili e mature. Con gli eredi di quel ladro celebrato in un noir francese degli anni Cinquanta, dove si diceva che quando occorreva un esperto in casseforti, si chiamava «l´italiano, uno di Milano». La realtà investigativa, negli anni, ha solo confermato quell´intuizione letteraria. PIERO COLAPRICO