La Repubblica 3 marzo 2008, PAOLO BERIZZI, 3 marzo 2008
L’Italia delle panic room. La Repubblica 3 marzo 2008. Qui si vive bene e si respira meglio, ti sentivi dire
L’Italia delle panic room. La Repubblica 3 marzo 2008. Qui si vive bene e si respira meglio, ti sentivi dire. L´aria è buona, altro che il fiato rugginoso di Milano. Poi sono arrivati quelli incappucciati con le spranghe e le pistole. Quelli che prima di rubare picchiano e violentano, anche per sfregio, «per vendetta sociale contro i ricchi» - dice il procuratore capo di Monza Antonio Pizzi. Quando hanno finito, quando hanno razziato soldi e gioielli e trasformato la notte in una morte esaltante, resti lì imbavagliato, la faccia viola, aspettando polizia e carabinieri. Controlleranno se l´antifurto perimetrale era acceso. Interrogheranno le telecamere che sorvegliano la villa, che se va bene avranno fissato le immagini di quegli uomini in fuga, il volto coperto, le sporte piene. Poi l´esame delle voci: che accento avevano?, quasi sempre slavi, o albanesi, o rumeni, e però anche italiani, che ultimamente vanno molto le bande "miste". La mente è autoctona - spesso con incorporato basista che sa tutto della vittima - la manovalanza è straniera. Il lavoro sporco degli assalti alle ville della ricca Brianza e della vasta area del Parco del Ticino, tra Milano e Pavia, anche questa punteggiata di belle case di campagna, è però soprattutto roba loro: dei rapinatori dell´Est. Spietati, feroci, sempre più violenti. A volte senza motivo. Sono fantasmi. Muovono o semplicemente transitano dai campi nomadi cresciuti sulla pelle infetta della città. E lì a volte trovano riparo. Si organizzano in staffette a formazione ricambiabile, è buona regola inserire in squadra almeno un minorenne. In certi casi - avviene pure in Veneto, dove nacque il fenomeno, e in Emilia Romagna - si dividono il territorio "per competenza". Decidono di non pestarsi i piedi, come per il mercato della droga e il racket della prostituzione. Poi ci sono le bande last minute: gruppi che si formano in quattro e quattr´otto e in poco tempo decidono dove e quando, e dopo due o tre colpi si sciolgono, ognuno a casa sua. «Molti sono pendolari, salgono dalla Sicilia e dalla Campania. Sono in due, massimo tre. Abbiamo preso una banda che partiva ogni settimana dall´aeroporto di Catania. Fatta la rapina - spiega ancora Pizzi - ripartivano». Sono democratici i predoni delle ville. Colpiscono chiunque purché sia abbastanza danaroso. Assaltano la cascina del ricco agricoltore e la villa di Seedorf (Robecco sul Naviglio, 2005, due irruzioni in un mese); profanano il fortino del notaio con moglie e figlia e uccidono un medico (Marzio Colturani, soffocato il 13 novembre dell´anno scorso durante una rapina nel suo elegante appartamento in zona Fiera a Milano dopo che la colf aveva preparato il terreno). Sequestrano, picchiano, scappano col bottino. Freddi strateghi no; più che altro pirati senza scrupoli. A volte scelgono la vittima con attenzione, la studiano, la seguono; altre volte non stanno tanto lì a guardare. Individuano una villa, saltano dentro forzando porte e sfondando finestre. Sorprendono nel sonno. Il focus della loro azione è la cassaforte. In villa ce n´è sempre una. E di solito è nella camera da letto. Impossibile ripulirla senza prima neutralizzare i padroni di casa, farli prigionieri. «Si mostrano subito violenti per abbassare la capacità di reazione delle vittime - dice il colonnello Antonino Bolognani, comandante del nucleo investigativo provinciale dei carabinieri - Intimidiscono, terrorizzano per poter compiere la rapina senza problemi». Bolognani, quattro anni in servizio a Treviso e Padova, dice che «gli assalti alle ville nascono nel Nord-Est, e da lì negli ultimi anni si sono spostati in Lombardia e Piemonte e fino al centro Italia». Ma la zona più appetibile, per i banditi, resta la Brianza. «Per due motivi: perché è ricca e perché i paesi sono pieni di ville isolate che diventano facili obiettivi». L´ultimo colpo, il 24 febbraio a Santo Stefano Ticino, Magenta. Erano in quattro. Guanti e passamontagna. Nella villa di un imprenditore la famiglia sta cenando. I banditi sono armati di pistole e coltelli. Fanno irruzione nella casa, sotto la minaccia delle armi e con percosse si fanno aprire la cassaforte, portano via contanti, gioielli e orologi e fuggono sulla vicina autostrada A4 Milano-Torino. Al notaio Giampaolo Colli, di Magenta, 55 anni, la paura gli è sbattuta addosso mentre era appisolato sul divano. Tre col passamontagna, schiaffi, una chiave inglese per tenere sotto scacco moglie e figlio: «Ma siamo stati più fortunati di altri, i miei non li hanno quasi toccati». Gli "altri" si chiamano, per esempio, Cesarino Biffi, che di mestiere fa l´agricoltore a Aicurzio, piccolo borgo brianzolo, e che nel 2005, quando era ricoverato in ospedale a Vimercate, ha ricevuto la visita di 250 compaesani. Volevano vedere com´erano ridotti padre e figlio, stargli vicino. Cesare l´hanno massacrato col cacciavite; suo figlio l´hanno legato al tavolo, gli hanno spezzato la caviglia, poi per farlo soffrire hanno cominciato a tirare. La moglie portata in cantina e violentata. Tutto per una manciata di euro e due telefonini. Difendersi? C´era una volta il cartello "attenti al cane". Adesso le ville brianzole si sono trasformate in fortini: vetri antisfondamento, telecamere, antifurti ipertecnologici, sistemi di allarme collegati con la polizia, ronde private. Ma tant´è. «La maggior difesa è l´attenzione - dice ancora Bolognani - Queste bande specializzate sono attentissime agli spostamenti. Basta un passo falso, e ti fregano». A Milano è nato un pool di carabinieri contro le rapine in villa. Dicono che la statistiche sono più o meno stazionarie; quello che è aumentato è il livello della violenza. Perché bisogna rapinare in fretta e senza intoppi. Più sono spietati e prima si apre la cassaforte. In Brianza l´aria è rimasta buona, ma il respiro ora è più affannato. PAOLO BERIZZI