Corriere della Sera 29 febbraio 2008, Mario Gerevini, 29 febbraio 2008
Da «Ramses» ad «Antea». Corriere della Sera 29 febbraio 2008. Ramses Stiftung, Imek, Antea, Yarda, Aladin Stiftung, e via così
Da «Ramses» ad «Antea». Corriere della Sera 29 febbraio 2008. Ramses Stiftung, Imek, Antea, Yarda, Aladin Stiftung, e via così. Sigle che nascondono ricchezze italiane nelle banche e nei registri commerciali del Liechtenstein. Il paradiso fiscale al centro dell’Europa è scosso, quasi in lutto, per lo scandalo fiscale internazionale. Heinrich Kieber, un ex dipendente della banca della casa regnante, la Lgt, ha venduto per 4,2 milioni di euro alla Germania un dvd con centinaia di nomi di clienti-depositanti di mezzo mondo, presunti evasori. Italiani compresi. Il nostro ministero delle Finanze ha una lista, si dice, di oltre 100 «cattivi». Ma in realtà, compresi i «buoni», gli italiani che legalmente o illegalmente fanno sponda con il piccolo paese chiuso nel sandwich tra Austria e Svizzera sono probabilmente qualche migliaio. A Vaduz, per esempio, capitale con 5 mila abitanti di un Paese da 30 mila, saltò fuori durante Mani pulite la fondazione Arana, attribuita al Psi di Bettino Craxi. Dunque soldi, patrimoni familiari, immobili, quote societarie: questo finisce nelle fondazioni-stiftung, quasi sempre in modo legale quasi sempre dribblando il fisco. Ma non sono fondazioni benefiche bensì costruite per ragioni di riservatezza, per schermare la proprietà. In una cinquantina è individuabile, almeno in parte, la ricchezza che è stata conferita: gestione di conti bancari in Svizzera, società immobiliari in Italia («Conchiglia», «Montegrappa», «Vittorio Veneto», tra le decine individuate), gruppi industriali (gli ascensori della Romanun Stiftung), partecipazioni in società quotate. Molte fondazioni controllano a loro volta società in altri paradisi fiscali. un sistema perverso e al tempo stesso tollerato. Nei Paesi anglosassoni, l’ex dipendente che ha spifferato i nomi dei clienti evasori sarebbe un «whistleblower» (cioè colui che dall’interno di un’azienda denuncia illeciti e irregolarità), figura tutelata dalla legge. Qui a Vaduz gli impiegati di Lgt, come i tassisti, i baristi, l’edicolante, lo chiamano ladro, lo considerano un traditore, la procura lo bracca e tra queste montagne non potrà più tornare. Ma come nasce una Stiftung «italiana »? Un esempio lo fa Antonio Monti, avvocato svizzero, sentito dai magistrati dell’inchiesta Antonveneta: «Nel 1999 assieme a Rombelli (Alessandro Rombelli, banchiere e allora numero 2 in Italia dell’americana Jp Morgan, ndr), ci siamo recati a Brescia dove ho conosciuto Emilio Gnutti e Romano Marniga (i capi della cordata che proprio quell’anno scalò Telecom, ndr). Avevo ricevuto incarico (...) di costituire una società all’estero per fare trading mobiliare. Ho costituito la Real Partners Stiftung e ho indicato le tre suddette persone quali beneficiari economici della fondazione». La Real Partners compra e vende titoli in Borsa e, guarda caso, punta anche su Telecom. In pochissimo tempo 700 milioni di lire di guadagno. Altre storie. Il tesoro della famiglia Rovelli transitò in parte per la Dakari e la Rondix Stiftung di Vaduz. sempre rimasta un mistero la Capital Leben, alla quale arrivarono soldi sospetti della Parmalat di Tanzi. L’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia aveva la fondazione familiare Ecara con un conto bancario alla Ubs di Chiasso. Stefano Ricucci comprò Villa Cacciarella dalla Portfolio Finanz dietro la quale si diceva ci fosse il deputato di An Giulio La Starza. Riservatezza, soprattutto: Gianni Agnelli costituì nel 1989 (e liquidò nel maggio 2000) la Julian Stiftung per gestire il pacchetto di maggioranza relativa dell’accomandita al vertice del gruppo Ifi-Fiat. Per anni non se ne seppe nulla. Mario Gerevini